Ganzfeld
Ambienti di resistenza per individui sociali
In the contemporary forms of living boundaries between public and private vanish until they conflagrate. While home is an economic asset in which every component is fit to sale through processes of "scheduled" invasion, shops dress up like living rooms, offices are playground and cats crawl around your table restaurant. The environments of resistance for the social individuals are the last authentically private places (private in the sense of “deprivation”); anomalous piece of furniture of anthropometric dimensions, shaped on the vices and virtues of their occupants.
I
L’oggetto d’arredo più diffuso al Mondo è la Billy di IKEA. Si calcola che se ne venda una ogni 10 secondi. Diamo spesso per scontato che il mobilio, tanto quanto pittura, scultura e architettura, riveli lo spirito di un epoca; tendiamo addirittura a sostenere che osservando come un soggetto arredi il proprio spazio, del soggetto in questione, se ne possa individuare il carattere. Suona allora quantomeno strano che ad una globale ed irreversibile crisi dell’editoria corrisponda una tanto frenetica corsa all’acquisto di librerie.
Dal 2012 il catalogo IKEA è diventato, superando la Bibbia, la pubblicazione più diffusa al Mondo. Realizzata da 250 addetti ai lavori e tradotta in 29 lingue è distribuita in più di 200 milioni di copie all’anno. Sarebbe limitativo pensare che l’onnipresente catalogo IKEA sia in grado di intercettare il gusto del tempo, viene più facile immaginare che svolga un ruolo attivo nel definirlo, circuendoci con immagini patinate di amorevoli genitori che sorridono ai figli, rigogliosi cactus, variopinti tappetini da bagno, candele profumate e improbabili paralumi.
Veicolato da una poderosa attività di marketing, amplificato da internet, lo zeitgeist a basso prezzo e facile da montare penetra tanto profondamente nel pensiero collettivo da generare l’illusione che combinando una serie finita di oggetti ogni individuo sarà in grado di produrre il proprio personalissimo e personalizzato ambiente domestico. Un’allucinazione di massa, un potente strumento di controllo capace di travalicare la soglia domestica e di scardinare la radicale ambizione di democratizzazione della creatività riassorbendola in un noioso gioco di calcolo combinatorio.
II
In un maturo contesto di mercificazione della società il confine tra pubblico e privato si dissolve fino a disintegrarsi. Mentre la casa diventa un asset economico, gli oggetti da cimeli personali si trasformano in parametri di definizione del valore d’uso di un immobile. Mentre l’abitazione diventa sempre più un luogo di lavoro ed un strumento di sussistenza, la ‘domesticità’ invade ogni campo dell’attività umana con negozi che si camuffano da salotti, uffici da stanze da gioco e ristoranti da cucine.
Se pensiamo all’abitazione come ad una risorsa finanziaria, nel bilancio tra valore e costo tutto lo spazio non strettamente necessario a performare l’attività umana è una perdita economica se non messa a rendita. In città come San Francisco è stato rilevato che il 56 per cento di chi affitta la propria casa su AIRBNB utilizza gli introiti generati per pagare il mutuo della casa in cui vive. La peer-to-peer economy ha completamente stravolto il mercato immobiliare e se da un lato permette a proprietari agiati di affittare seconde casa per brevi lassi di tempo a cifre sensibilmente più elevate che in passato, per altri è diventato un meccanismo di sopravvivenza.
Tale genere di distinzione non traspare minimamente dagli annunci che vengono postati on-line. Gli appartamenti, in ogni angolo del globo, si somigliano tutti. In foto grandangolari luminose e ritoccate si cerca di trasmettere il proprio messaggio di unicità e domesticità continuando a ricombinare arredi economici in legno con oggetti personali che aiutino ad accattivarsi il potenziale cliente. Dato per assunto che i mobili oggi servano a vendersi piuttosto che a raccontarsi, sentirsi a casa ovunque è possibile, dopotutto è quasi certo che anche l’ospite abbia una casa arredata alla stessa maniera. Essere effettivamente a casa propria ovunque insomma.
III
All’inizio degli anni Venti gli sforzi di architetti come Gropius, May e Klein erano concentrati nella definizione dello spazio minimo necessario all’essere umano per svolgere le proprie attività vitali; un’ indagine essenziale vista la tragica situazione della Germania tra le due guerre. Attanagliata dalla crisi economica e dall’inflazione galoppante, la popolazione cominciava a non potersi più permettere di vivere nelle proprie case, troppo grandi per essere sostenibili. Nel 1929 il CIAM di Francoforte pone L’Existenzminimum, gli standard minimi per una vita dignitosa, al centro del dibattito, nel tentativo di raggiungere il massimo livello di qualità domestica con il minimo sforzo economico.
Oggi, sulla scia di una crisi del tutto simile a quella di inizio secolo, gli strati più deboli della società, qualora tanto fortunati da possedere una casa di proprietà, sono costretti ad alienarne una porzione, ridimensionare la propria intimità e rifugiarsi nel poco spazio rimasto in una generale atmosfera di precarietà. Questa esistenza frugale è sopportabile solo perché i rituali domestici si sono ridotti all’osso e gran parte delle attività possono essere svolte altrove o addirittura nell’etere. Dati un bagno, un letto e un computer la casa è oggi il posto dove incontrare gli amici (Skype), dove amoreggiare con la propria ragazza (Facebook), dove andare al cinema (Netflix), dove fare sesso (Youporn, sempre che qualcuno ancora lo usi), dove riposarsi se possibile.
Sebbene questa atmosfera di condivisione forzata non sia di per sé negativa, è fuori di dubbio che richieda un certo sforzo. Chiunque può tranquillamente concordare sul fatto che convivere sia complicato. Prendere parte nella scena della sharing economy obbliga a riconsiderare cosa sia davvero essenziale per sopravvivere. Obbliga a realizzare spazi che siano realmente aderenti alle necessità del soggetto. Obbliga a smettere di decorare e tornare a progettare (auspicio sano per quanto possa suonare retorico e reazionario). Obbliga ad abbandonare i vari Råskog, Kopardal, Mölltorp, Saltröd, Ingatorp e disegnare ambienti di resistenza per individui sociali.
IV
Fissiamo deliberatamente la nascita del termine ambiente (trascurando per una volta le definizioni da Garzantina dell’Architettura) con la diffusione del mobilio rinascimentale. Se nel Medioevo la stanza è piuttosto un locale attrezzato, con panche, stufe, scaffali, basi per i pagliericci in muratura e pochi altri elementi lignei di semplice fattura. Nel Rinascimento mancando agli umanisti modelli classici per molti mobili, ci si lascia ispirare dall’architettura e cornici, paraste, lesene, modiglioni diventano elementi dello stipettaio come dell’architetto. Ma soprattutto, all’aumentare delle dimensioni dei palazzi aumenta la necessità di veri e propri luoghi intimi, ambienti appunto, all’interno di sale che perdono la scala umana.
Spazi come l’alcova, lo studiolo, il gabinetto di delizie e successivamente il boudoir, il pregadio aiutano a riconquistare una dimensione antropocentrica e soggettiva. La storia dell’arredo, probabilmente poco rilevante ma sicuramente divertente, è disseminata di oggetti eccezionali disegnati con il solo scopo di accogliere le idiosincrasie del committente. Non è allora difficile imbattersi in tinozze attrezzate come sale da pranzo e protette da paravento incorporato per un riservato dopocena o letti tanto grandi da poter ospitare decine di persone costrette a coricarsi mettendo i piedi al centro e disponendosi a raggiera.
Gli ambienti in mostra cercano di innescare una relazione tra vita e forma che non si risolva in meri termini funzionali ma che ‘sfidi’ la vita a sopravvivere in condizioni anomale; senza alcuna ambizione di modificare le abitudini di nessuno se non quelle di chi li ha progettati.