Open Air Theater
Primo intervento del progetto del Giardino del Carmine.
Il quartiere del Carmine a Salemi era già gravemente danneggiato prima del terremoto: gli abitanti lo avevano in gran parte abbandonato, il terremoto ha fatto il resto. Dopo il ‘68 la nuova carta geologica del paese lo definisce pericoloso per le abitazioni, si accentua così il processo di abbandono, vista preclusa per sempre la strada del ripopolamento come un modo per risanarlo. Questo accade nonostante la felice posizione. Il quartiere si allunga da monte a valle, è attraversato da una strada perfettamente integra e i suoi bordi si affacciano, diversamente definiti, sui fianchi del crinale su cui si attesta. Per molti anni è stato un pezzo di città fantasma, unico collegamento in via di erosione tra il paese sulla collina ed i quartieri più recenti a valle. Nel quartiere era la Chiesa del Carmine, crollata prima del terremoto, e del chiostro restavano solo due arcate.
Nel proporci la conservazione del rudere, l’Amministrazione ci poneva anche molte domande sul destino del quartiere. Siamo rimasti incerti finché non abbiamo avvertito di disporre di diverse materie astratte per fare un progetto più rivolto al futuro che al passato e che questa disponibilità esigeva una strategia. Il Carmine andava risanato come parte di città e l’unica strada per farlo ci sembrò fosse una sorta di conversione tipologica, un passaggio di scala e di uso.
Chiamammo tendenziosamente “parco urbano” quella parte di città attribuendole, in accordo con l’Amministrazione, il programma di diventare il Giardino Comunale di Salemi, istituzione tuttora mancante. A partire da questa idea del quartiere si è proposta la sua complessiva geografia, l’insieme delle risorse costituite dalla sua struttura ma anche da una grande cava di materiali preformati.
Forse troppo suggestiva per le procedure usuali dei lavori pubblici, certamente interessante era l’ipotesi di lavorare all’interno dell’area conducendo una graduale redistribuzione delle materie, come in un cantiere continuo in cui si possano progettare le costruzioni come le demolizioni. Condotta analoga a quella adottata nel contemporaneo cantiere della Chiesa Madre (Siza/Collovà).
Si mise a punto per il quartiere un progetto di demolizioni e di tagli che ha l’obbiettivo di trasformare i muri delle case in bastioni di giardino, in balaustre di terrazze, in recinti di giardini particolari.
Con l’elaborazione del progetto esecutivo e durante la costruzione è stato integrato abbastanza radicalmente anche il concetto del primo intervento. Diventava sempre più chiaro quanto il tema centrale fosse da cercare nel rapporto con la forma del terreno e con i tracciati longitudinali e trasversali di vecchi e nuovi percorsi. L’edificio per i ruderi ha perduto sempre di più le caratteristiche di costruzione autonoma per diventare parte della sistemazione del suolo, una delle tante terrazze del giardino stesso.
“... consiste nella costruzione delle prime due terrazze nell’area centrale del quartiere: la più alta si costituisce come una piazzetta che, attraverso piani inclinati, si raccorda alla strada principale; la più bassa estende la superficie del vecchio basamento della chiesa e del convento del Carmine, così da formare il piano di posa per una cavea all’aperto.
Essa, insieme ad altre sistemazioni del terreno, ottenute per mezzo di scale e terrapieni, funge da collegamento tra i due livelli. ...”. (dalla relazione di progetto).
Il recinto del teatrino ha trovato così dimensioni adeguate, e la sua altezza si è andata riducendo fino a sfumarsi nel suolo della parte a monte.
Questi adattamenti successivi hanno messo a punto anche la scelta dei materiali che sono stati ridotti a quattro.
Durante la costruzione è sembrata utile l’eliminazione della pietra lavica e della ceramica, previste per scale e copertine. Arenaria, travertino, ciottoli e tufina sono sufficienti ad assimilare il teatro e le sistemazioni esterne alle materie dei muri e delle superfici lastricate che costruiscono il quartiere. Le liste delle pavimentazioni prendono spessore lungo le pareti della cavea che, con la gradinata, sembra scavata nel travertino.
Infine, il rapporto con i ruderi è stato affrontato circoscrivendolo alla scena dove le parti essenziali dell’ordine architettonico del chiostro, base, colonna, capitello, come abbattute da una sollecitazione ondulatoria, restano semisommerse in una colata di ciottoli.
(testo del 1987 riveduto il 04.05.2009)