TrevisoTiramisù | Palazzina Barberia
Un’architettura d’interni sospesa tra il coltivare memorie e l’esplorare connessioni
In un paese come il nostro, costituito da una fitta densità territoriale e dalle articolate relazioni tra paesaggi, centri storici, periferie di rara bellezza e contaminazione artistica e culturale, a volte capita di cogliere la sottovalutazione delle possibilità che i contesti possono donare alle capacità di impresa e di innovazione.
E’ la vicenda di Palazzina Barberia ad incoraggiare una più attenta lettura del nostro patrimonio edilizio esistente proprio in un tempo nel quale ci viene a gran voce richiesto di non consumare ulteriormente suolo e di riutilizzare risorse edilizie esistenti, riducendo, riusando, in un’approccio di economia circolare.
È il senso delle possibilità al quale si richiamano le lezioni di Salvatore Veca che ci invita ad innovare con abilità coltivando le memorie ed esplorando le connessioni che la modernità ci offre.
Torniamo alla storia recente di questo edificio sottratto ad un probabile destino di luogo per affitanza turistica, modello molto in voga nei centri storici di un paese che sicuramente crede proprio nell’ industria del turismo come la sua risorsa più profittevole.
L’ispirazione del progetto nasce dal fortunato incontro di culture diverse che ha consentito il realizzarsi di ciò che un celebre Sindaco newyorkese aveva profetizzato nelle visioni sul destino sostenibile della Grande Mela nel 2030 invitando gli innovatori ad una riflessione riassunta in una frase: “Old buildings need new Ideas and new ideas need old buildings”.
L’edificio PB racconta una vicenda che attraversa la storia della città: un lotto gotica di una calle che ricorda influenze del tessuto urbana della città di Venezia; un impianto tipologico nel quale sono facilmente leggibili le regole della tripartizione delle palazzine rinascimentali veneziane; una scala ottocentesca di distribuzione ai cinque livelli. In generale un impianto decorativo di affreschi rinascimentali di tutto rispetto e un pauperismo materico nella costruzione di legno e mattoni, tipico dell’edilizia veneta.
Di tutto ciò si occupato con grande passione, cura e sensibilità Paolo Arveda, architetto e amico ferrarese, lavoro che abbiamo colto come un’ opportunità, un punto di partenza per la rifunzionalizzazione degli spazi.
Il dialogo tra memoria e connessioni, evocato dal saggio di Veca ci ha guidato in tutte le scelte. Nei serramenti di ottone a lastra unica di vetro extrachiaro per cogliere le inaspettate visioni della città che si colgono ad ogni piano dell’edificio. Un’ascensore, definibile anche una piattaforma panoramica anch’essa totalmente vetrata dalla quale cogliere il fascino del restauro, ma anche l’articolarsi delle funzioni di un nuovo retail costituito da prodotti, da rituali di degustazione, da trasmissione di conoscenze e culture sui saperi della produzione e della gastronomia, attraverso spazi di dialogo e relazione con gli chef e lo staff giovane e preparatissimo degli spazi del caffè, del ristorante e della cooking class.
Proprio alle funzioni pubbliche, sociali e private è idealmente dedicata la sequenza degli spazi e dei livelli.
Il piano terra dominato da banchi espositivi tradizionali, ma tecnologici per gestione delle temperature e sostenibilità, modalità innovative nel porgere con attenzione il caffè raccontandone le qualità, spazi di lavoro accessibili alla vista e all’illustrazioni del dettaglio dei nuovi e antichi saperi.
La parte pubblica integra anche un dettaglio dedicato a chi ama lo stile urbano di consumo, il cosiddetto street food.
Il piano nobile è dedicato alla qualità ed al piacere della degustazione, della socialità, della conversazione in configurazioni libere consentite accomodandosi sulla cornice dello spazio costituita da studiatissimi divani ergonomici.
I piani superiori sono dedicati all’esplorazione delle nuove frontiere del retail: l’apprendimento e la condivisione del saper fare come esaltazione delle possibilità di conoscenza, convivialita, esperienza.
Gli spazi immersivi multimediali aggiungono opportunità di connessioni culturali e l’estensione dei notevoli contenuti della Palazzina in produzioni televise ed eventi in diretta.
I materiali nuovi cercano di sottolineare il carattere inclusivo dell’intera operazione: ai colori più razionalisti del bianco e del nero, sono stati preferiti toni chiari e scuri ispirati dai cibi e dagli ingredienti dei prodotti naturali ed elaborati, quelle che da noi vengono definite neutralità sensibili. Una sola eccezione nelle scelte cromatiche dei tavoli, delle sedute, dei divani, con colori più intensi e saturi a sottolineare il carattere gioioso, inclusivo e conviviale dell’intera iniziativa.
Il progetto è stato reso possibile dalle condivisione delle scelte ispirate dalla visione di un’imprenditrice illuminata che ha creduto nelle possibilità generatrice dell’architettura. A lei va il nostro grazie di cuore.
Le qualità passano ovviamente dal contributo di imprese, ditte, fornitori, scelti mai a caso che hanno un ruolo decisivo nell’ esprimere il valore non sempre apprezzato a sufficienza della capacità artigianale ed industriale di un paese condannato da sempre a produrre bellezza. Anche alla perseveranza di questi attori non trascurabili del progetto nel voler produrre qualità è dedicato un luogo assaporabile anche e forse soprattutto nella qualità di alcune loro produzioni.