In uno scenografico percorso, il complesso termale - che sostituisce il vecchio stabilimento realizzato a partire dal 1905 su progetto di Garibaldi Burba, di cui si conserva solo il portale - si estende in una valle alberata, leggermente in declivio, da nord a sud, tra le fonti Bonifacio VIII e Anticolana. Il progetto - che supera una precedente ipotesi di Mario Loreti - si sviluppa in un’area di 70 metri di larghezza per 350 metri di lunghezza.
Su quote diverse Moretti, affiancato da Ingrami nel ruolo di tecnico dell’Amministrazione comunale, dispone una ‘sequenza di spazi’,– modalità di composizione che deriva dai suoi originali e insistiti studi sull’architettura barocca - che reagiscono all’ambiente e alla luce tramite la tensione delle superfici che li definiscono. Perciò le strutture che li animano che sfruttano la malleabilità del cemento armato, non sono mai ordinarie (in questo caso studiate con la collaborazione dell’ingegnere Silvano Zorzi, noto per i suoi studi sperimentali sulle strutture leggere) e le superfici non sono mai semplici piani, ma membrature avvolgenti che fasciano tutti gli ambienti diversi per forma, tipo, dimensione. Il complesso, pur suggerendo numerosi riferimenti all’architettura classica, per il tema dell’inserimento nella natura e per la composizione di ambienti chiusi, aperti o semiaperti - da Villa d’Este a Villa Adriana, al Pantheon, per restare in ambito romano - assume l’immagine di un’architettura avveniristica e inedita rivelando 'di come questa architettura, per più versi rivoluzionaria, sia sostanziata da segreto senso della storia' (A. Pica).
Sono padiglioni, aperti o chiusi, caratterizzati da coperture diverse, collegati da percorsi variegati che permettono anche di raggiungere le numerose fontane sparse nel parco salendo a monte, o scendendo a valle, tramite scale, cordonate e una funicolare. Più che di un impianto planimetrico si tratta di un impianto spaziale in cui Moretti mette a frutto la sua originale ricerca teorica: immersi nella rigogliosa vegetazione i padiglioni si misurano con l’ambiente mettendo in scena, in un raffinato sistema di relazioni, un abile rapporto tra natura e artificio in cui l’architetto misura e definisce le viste e gli scorci prospettici (pratica già sperimentata con grande successo nel piazzale dell’Impero al Foro Italico).
A sud, a quota più bassa, il padiglione di ingresso, circolare, è sagomato su una copertura impostata su un unico pilastro a fungo, eccentrico. Alle spalle si sviluppa in salita un ampio parco lineare che occupa il fondo valle, delimitato sui due lati dai locali commerciali preceduti da una sequenza di venti ‘ombrelli’ affiancati, ma separati da una fessura di luce, che filtrano il contatto con il verde centrale, ombreggiando la passeggiata e le pareti a tutto vetro dei negozi. Queste coperture curve, che alludono alla tenda, hanno una pianta rettangolare (circa 130 mq) e sono appese a due travi disposte a X estradossate e
sostenute da un pilastro centrale che fora la tenda e supera in altezza la quota delle travi configurandosi, anche dall’alto, come un elemento che ritma il percorso.
A nord la composizione è conclusa da una serie di terrazze sovrapposte e aggettanti su cui domina la ‘rotonda’ destinata alla sala mescita: una terrazza coperta di circa 40 metri di diametro, affiancata da aeree scalee di accesso contenute da parapetti pieni modanati. La terrazza, che definisce al piano terra un ambiente chiuso da vetrate continue, è ombreggiata da una volta sottile tesa e, come fosse una cupola, forata al centro da un oculo per l’ingresso della luce che piove direttamente sulla fontana centrale. La copertura, appoggiata su quattro piloni perimetrali – ma da questi separata - di sezione variabile e curiosamente inflessi, è sagomata sui bordi in una veletta continua cui corrisponde, in basso, la fascia di parapetto, dall’attacco a terra stondato. La ‘rotonda’ è affiancata dalla cosiddetta ‘tenda araba’, un padiglione a pianta trapezoidale la cui ampia pensilina, anche qui una tenda tesa e inflessa caratterizzata da un intreccio di travi emergenti, si protende verso il parco. Essenziale la scelta dei materiali: cemento faccia a vista bianco o dal tono leggermente rosato per accordarsi con i serramenti in alluminio anodizzato nei toni del bronzo, granito e peperino di Viterbo per le pavimentazioni.
Motivi come l’eccentricità dei pilastri, la loro sagoma originale - una sezione variabile o l’entasi come memoria dell’architettura classica - l’accuratissima e sofisticata distinzione delle parti nei punti di contatto tra gli elementi portanti e le tende di copertura, lo spessore ridotto delle solette, le fasce di bordo, gli spigoli arrotondati e le modanature, trovano qui applicazione a rivelare la riuscita e personalissima relazione tra le ricerche teoriche e il processo, prima compositivo, poi costruttivo, che governa l’architettura.
Lo scenografico complesso ha mantenuto intatta nel tempo la sua immagine architettonica pur sopportando i necessari adeguamenti.