VILLAGGIO MATTEOTTI
Mostra promossa dal Centro interdipartimentale di ricerca BAP dell’Università Federico II di Napoli nell’ambito delle iniziative per ‘Giancarlo De Carlo nel centenario’.
Palazzo Gravina, Napoli
Dipartimento di Architettura dell'Università Federico II di Napoli
8-22 novembre 2021
A cura di Andrea Maglio
Il centenario della nascita di Giancarlo De Carlo (1919-2005) ha fornito l’occasione di una serie di celebrazioni, studi, riletture e approfondimenti su tutto il territorio nazionale. Tra questi v’è il volume promosso dalla scuola di dottorato in Architettura dell’ateneo fridericiano, che raccoglie contributi di giovani studiosi di discipline differenti e a cui è legata la mostra fotografica di Mario Ferrara. La fortuna storiografica dell’opera di De Carlo non ha ricalcato una traiettoria lineare come converrebbe per il lavoro di chi è meritatamente – suo malgrado – assurto al ruolo di ‘maestro’, ma ha sofferto curiose ‘dimenticanze’, sospette censure e comodi luoghi comuni. La natura anarchica del personaggio, e quindi la sua lontananza dal mainstream culturale e disciplinare dei decenni successivi alla guerra, ha tuttavia reso ancor più interessante e istruttivo il suo lascito. La vocazione ‘libertaria’ di De Carlo, l’attenzione alla partecipazione e l’insistenza su una scala umana dell’architettura rendono oggi più che mai attuale il suo lavoro.
Realizzato a Terni tra il 1969 e il 1975, il Villaggio Matteotti, fornisce una perfetta riprova del metodo con cui De Carlo affronta il progetto, ossia un intenso e difficile percorso fatto di interviste, dibattiti e incontri con gli operai a cui le case sono destinate. Grazie anche alla collaborazione con il sociologo Domenico De Masi, viene così innescato un processo dialogico in cui le ragioni della più aggiornata cultura architettonica sono misurate con le aspettative degli utenti; peraltro non necessariamente i due termini si trovano a confliggere, come dimostrano la richiesta di separare i percorsi pedonali da quelli carrabili e quella di spazi verdi, sia pubblici che privati, poi integrati tra loro e decisivi per il disegno dell’architettura stessa. Attraverso mostre volute dallo stesso De Carlo si cerca di rendere gli operai, ignari delle acquisizioni della cultura architettonica internazionale e soprattutto delle realizzazioni di ambito anglosassone, in grado di maturare proprie riflessioni. Dei cinque blocchi realizzati, quattro formano cortine parallele, con una strada carrabile al centro e due pedonali ai lati, mentre il quinto assume caratteri del tutto differenti. I 240 alloggi sono definiti sulla base di 45 tipologie diverse. Nonostante le critiche pervenute dal mondo politico e dalle autorità religiose che bloccano il proseguimento del Villaggio, il risultato è un unicum a livello nazionale, in cui connettivo urbano e residenza sperimentano una totale permeabilità e in cui emerge quel valore pedagogico dello spazio urbano caro all’architetto.
A distanza di quasi cinquant’anni dalla sua costruzione, le fotografie di Mario Ferrara documentano la ‘tenuta’ del Villaggio Matteotti e, con un approccio fondato sulla dialettica tra analisi e sintesi, restituiscono la complessità e le identità multiple del progetto di De Carlo. Attraverso un lavoro costruito su tre ‘livelli’, che corrispondono ad un graduale avvicinamento all’oggetto, le vedute d’insieme sono seguite da scatti di maggiore attenzione alla scala architettonica e infine da quelli ‘di dettaglio’. Emergono in tal modo da un lato il rapporto tra abitazioni e attrezzature – come nel caso dell’asilo con il ponte di collegamento obliquo o del ruolo preminente del verde – e dall’altro l’uso degli spazi da parte degli abitanti, in grado di validare il processo partecipativo alla base del progetto – come testimoniano i vasi e il canestro da basket sistemati sul pianerottolo, le scarpe lasciate fuori dell’uscio d’ingresso e l’utilizzo delle terrazze. Le fotografie restituiscono anche la suggestiva combinazione delle geometrie, sottolineando ad esempio i tagli ortogonali mediante vedute frontali e dal basso oppure le direttrici oblique che dinamizzano le schema compositivo. Anche le ombre, sapientemente catturate, contribuiscono alla lettura di queste geometrie, evidenziando aggetti, volumi pieni, salti di quota e squarci negli spazi dei corpi scala. Walter Benjamin sostenne che non bisogna considerare la fotografia in quanto arte, ma l’arte in quanto fotografia, considerando il mezzo fotografico una ‘tecnica di riduzione’ con cui leggere l’opera più facilmente che davanti all’oggetto reale. Il lavoro di Mario Ferrara costituisce in tal senso una mirabile ‘tecnica di riduzione’ del Villaggio Matteotti con immagini eloquenti, evocative e dense di significati.