Vicenza - Nel segno del sogno
Il progetto per Vicenza ha l’obiettivo di fissare, attraverso le immagini qui presentate, un punto di vista sul luogo che lavori sulla relazione tra due paesaggi - due diversi livelli dello sguardo: il paesaggio urbano o storico-culturale e il paesaggio naturale (la storia e la geografia della città). Un’opera in particolare a Vicenza può rappresentare questa relazione: i portici settecenteschi di Francesco Muttoni, che salgono a sud della città sul colle che la domina, il Monte Berico, un luogo di straordinaria importanza in quanto determina un livello che si può definire della visione - della comprensione della città sottostante attraverso lo sguardo. I portici sono un’opera attualmente incompleta, alla quale, nell’ultimo secolo è stato negato completamente il rapporto con la città, negando di conseguenza il rapporto tra la città stessa e il suo paesaggio. Il progetto lavora su quest’opera, proponendone un completamento, o meglio una prosecuzione.
Prima di affrontare qualsiasi considerazione in merito alla città e al progetto che da essa si è sviluppato, è necessario prendere coscienza del carattere della cultura in cui questo si situa. La cultura contemporanea produce immagini del mondo prettamente tecnico-scientifiche, in cui le cose del mondo si pongono a noi completamente isolate le une dalle altre.
Soltanto nella forma del paesaggio l’immagine che possiamo avere sul mondo tiene in relazione le cose che vediamo, lavora dunque sul piano dell’ apparire-estetico, il piano invalicabile di architettura, che è stato completamente rimosso dalla cultura contemporanea. Parlare dunque di paesaggio oggi significa reintrodurre uno sguardo sul mondo in cui le cose si danno ai nostri occhi l’una accanto all’altra, “coesistono nella loro organica unità e sono percepite nel loro complesso.”
Vicenza vive del suo paesaggio. La sua forma coincide con il paesaggio geologico su cui è fondata, che la eleva rispetto al livello della pianura circostante: un dosso alluvionale, un’altura che assume il profilo di una lente. La città è dunque la lente attraverso cui il paesaggio si rivela ai nostri occhi.
Ed è proprio l’immagine della lente ad introdurre il tema della costruzione di un punto di vista, della definizione di un determinato sguardo sulle cose. Non dovrebbe essere lo scopo di ogni progetto di architettura quello di imprimere un punto di vista sul mondo e sui luoghi in grado di ri-velarne il senso più intimo? Quale immagine del luogo è possibile mettere a fuoco attraverso questa lente, che altro non è se non Architettura?
Da questi interrogativi nascono le prime considerazioni di un progetto per Vicenza, città in cui tutto sembra essere predisposto per l’occhio umano.
Il progetto si fonda dunque su tre paesaggi - tre diversi livelli dello sguardo:
- Paesaggio naturale: lo sguardo della città
- Paesaggio storico-culturale: lo sguardo sulla città
- Paesaggio della dissoluzione contemporanea: assenza dello sguardo
Paesaggio naturale: lo sguardo della città
Una breve descrizione delle grandi figure che compongono la geografia della scena in cui è collocata la città berica, senza la quale sarebbe impossibile comprendere il carattere che il paesaggio le ha impresso.
- Theatrum Adriae: la maestosa scena delle Prealpi chiude a settentrione la pianura veneta orientale.
- I Colli Berici: a fronteggiare questo teatro naturale, “un’increspamento della pianura” a meridione.
- La lente: alla confluenza di due fiumi, tra le due grandi forze esercitate da Nord e da Sud rispettivamente dai monti e dai colli, un’altura originata da detriti alluvionali predispone il piano privilegiato su cui la città sarà fondata dai romani. Un palcoscenico da cui Vicenza contemplerà il grande teatro della natura.
Paesaggio storico-culturale: lo sguardo sulla città
1. La città e Monte Berico (sguardo esteriore)
A sud della città, il miglior versante per esposizione, le ultime propaggini dei Colli Berici predispongono il piano predestinato alla contemplazione di Vicenza.
E’ utile in questo caso riportare uno sviluppo cronologico della vicenda che nei secoli vede costruirsi la più solida relazione tra una città e il suo paesaggio.
Ad una distanza di circa 100 anni si susseguono le grandi opere attraverso cui si sedimenta l’originaria attrazione tra Vicenza e il suo occhio (Monte Berico):
1428 - costruzione del primo santuario sul Monte Berico
1592 - costruzione dei 192 scalini (prima via ascensionale al colle) e del rispettivo arco trionfale d’accesso (Andrea Palladio)
1688 - ricostruzione del santuario nell’attuale veste barocca
1780 - costruzione dei portici del Muttoni (seconda via ascensionale al colle)
1920 - costruzione del piazzale della Vittoria prospiciente il santuario
2018 - ...
E’ necessario ora soffermarsi sugli ultimi tre episodi (l’ultimo dei quali verrà ripreso in seguito) per capire quale eredità si vuole cogliere da questa straordinaria vicenda.
Le 150 arcate dei portici fissano come un nervo ottico la più nobile relazione tra la città e il suo occhio. In seguito, con lo sbancamento di 120.000 metri cubi di roccia si aprì il piazzale prospiciente il santuario verso la città e lo spettacolo del suo paesaggio. Con quest’ultima opera il divino si spostò dall’interno della chiesa allo spettacolo del mondo ( dal teologico allo theologico).
2. Palladio (sguardo universale)
“...si può dire che l’intera città, nel suo apparire, aspiri al perfetto. (...) Tale aspirazione si è trasfusa nei palazzi, nelle strade, nella formazione e nelle mutazioni del luogo; da città ad empireo.”
L’opera del Palladio incarna tale aspirazione, di cui la città è manifestazione. Grande interprete del paesaggio veneto e della cultura classica, mette in scena con le sue architetture la sintesi compiuta tra natura e cultura. Ed è proprio l’incontro tra misura classica e paesaggio veneto ad imprimere alla città berica la sua più intima essenza. Secondo Guido Piovene il mondo classico a Vicenza assume la “morbidezza e la violenza della cosa sognata”, come se la grandezza romana acquistasse in Veneto la sostanza immateriale del sogno. E’ proprio il Palladio ad imprimere alla città quel carattere prettamente teatrale (il sogno) che la contraddistingue. E’ in un “ligneo vascello di vie” della scena di un teatro che si cristallizza infatti l’immagine più efficace di Vicenza, la città metafisica dell’utopia palladiana. Il Teatro Olimpico è il luogo in cui si concentra una potenza simbolica che da secoli attende di essere tradotta in opere attraverso le quali ridefinire costantemente l’immagine della città.
3. Paesaggio letterario: Goffredo Parise, Guido Piovene, Fernando Bandini
(sguardo interiore)
La letteratura fissa un livello dello sguardo sulla città, in accordo con il carattere proprio dell’architettura palladiana, che si pone sempre in una posizione intermedia tra sogno e realtà. Emerge infatti costantemente nell’opera degli scrittori vicentini la precarietà del confine tra mondo reale e mondo onirico.
Goffredo Parise mette in scena una città sempre reale e insieme fantastica, rivelando come solo nella dimensione del sogno sia possibile accedere al senso più intimo di Vicenza (“un sogno improbabile” ).
Le poesie di Fernando Bandini, in gran parte dedicate a Vicenza, è come se nascessero oltre il livello dei tetti. La città è rappresentata in una costante tensione che la induce ad elevarsi (“la città sui trampoli”) per raggiungere il livello della grazia.
L’opera di Guido Piovene traduce in letteratura “lo spazio creativo espresso da Andrea Palladio (...) e il contenuto di quest’opera dentro gli spazi e la geografia della città”. I colli vicentini rappresentano il fondale di quasi tutte le sue opere, ma in una in particolare, Le Furie, una passeggiata da Vicenza ai Colli Berici è l’occasione per sondare attraverso il paesaggio la profondità dell’animo umano. In questo romanzo descrive la naturale propensione della vicentinità (dalla città ai colli) all’interno della geografia della città.
Paesaggio della dissoluzione contemporanea : assenza dello sguardo
“La città moderna è dunque o-scena. Rifiuta la scena perchè non interpreta se stessa come paesaggio offerto alla contemplazione riflessiva”
Lo sviluppo della città dell’ultimo secolo rappresenta la dissoluzione di quella fitta trama di relazioni nella quale i paesaggi sopra descritti concorrevano a definire l’immagine di una città interamente retta sulle possibilità dell’occhio umano di comprenderne la sua più intima natura. La città non si costruisce più secondo quella “razionalità oculare” che per Comisso era l’architettura palladiana ma secondo una razionalità pragmatico-funzionale che ignora totalmente il senso della città e delle sue origini. Nello specifico la costruzione del principale asse infrastrutturale (direzione est-ovest), erroneamente posto a sud della città, ha completamente reciso il nervo ottico che ha mantenuto nei secoli il legame tra il cuore e l’occhio di Vicenza.
...2018. Il progetto
Il progetto per Vicenza aspira a costruire la relazione diretta e compiuta tra due dei principali simboli della città: la Basilica Palladiana, il cuore pulsante; Monte Berico, l’occhio esteriore della città, il livello da cui Vicenza “contempla incessantemente se stessa”. Le logge della Basilica conservano da secoli un principio latente di espansione che il progetto vuole tradurre: aspirano ad estendersi, entrare in accordo con il paesaggio circostante, superare il limite della loro finitezza.
Una parte dell’opera - 150 arcate intervallate ogni 10 da un’edicola - a salire da quota + 52 a + 120 metri - è già stata costruita, tuttavia resta incompleta in quanto ambiva in origine a congiungersi alle porte della città. Oggi la cesura stabilita dal Viale Risorgimento Nazionale e dalla sottostante linea ferroviaria, rende vana l’aspirazione originaria dei portici.
346 arcate, 22 edicole, 770 metri di lunghezza, vogliono essere la più logica prosecuzione dell’opera settecentesca del Muttoni, ponendo come testa del percorso non più le porte della città (demolite assieme alle mura), ma la Basilica Palladiana e nello specifico il secondo livello delle sue logge (quota + 47).
Il nuovo tratto del percorso porticato adotta lo stesso linguaggio del portico neo-classico del Muttoni e mantiene la stessa scansione modulare stabilita dalla successione di arcate intervallate ogni dieci da un edicola.
Tuttavia il progetto dichiara la volontà di non aderire in maniera esplicita al mondo classico cui l’opera appartiene.
Il compito di porre il dovuto distacco nei confronti dell’opera alla quale ci si accosta è affidato al materiale: da un paesaggio lapideo di volte a crociera in muratura intonacata, ad un paesaggio ligneo di esili capriate in legno.
Il nuovo percorso porticato in legno appare dalla città come un’enorme scenografia urbana, e dal suo interno come una pellicola che fissa una successione interminabile di immagini inedite di un paesaggio urbano inatteso.
Il nuovo portico ha inizio prima della seicentesca Villa Volpe (che è sempre stata l’antefatto monumentale alla via porticata che sale al colle) dove cambia di orientamento (da est a ovest) rispetto al portico muttoniano, per poi svilupparsi in un tratto ipogeo contenuto nel basamento della villa stessa.
Il progetto prevede inoltre una nuova terrazza-giardino (quota +51) per la Villa Volpe, che si affianca ad un modulo del nuovo percorso porticato (40 metri di lunghezza). Il nuovo giardino pensile estende il piano su cui giace la villa (15 metri sopra la quota media del centro storico) verso la città con la quale viene ristabilita l’originaria relazione visiva. La terrazza ha lo scopo di reintrodurre lo sguardo della pittura vicentina (da M. Fogolino, a F. Zuccarelli fino a Tiepolo) che ha sempre rappresentato la città dalle pendici dei Colli Berici, luogo dal quale Vicenza era proiettata sullo sfondo del teatro naturale delle Prealpi.
Oltre la ferrovia, il portico supera il Retrone per poi affiancarsi al suo corso.
Il ponte porticato concede un ultimo sguardo al santuario di Monte Berico e determina l’inizio della salita alla città. Il portico, infatti, sollevato rispetto al piano della città su un basamento alto in media 10 metri, sale con una pendenza media dell’1% da quota + 42 alla quota delle logge della Basilica (+ 47).
All’interno del basamento del portico si sviluppa una galleria voltata, una nuova via urbana coperta alla quota della città, ai lati della quale delle pareti attrezzate inserite nella struttura lignea possono ospitare delle attività commerciali e di mercato. All’esterno un camminamento lungo fiume costituisce il nuovo argine di pietra della sponda sinistra del Retrone.
Il percorso porticato in quota incontra diversi livelli di densità del tessuto urbano: I primi quattro moduli si sviluppano tra il grande vuoto del Campo Marzo e il fiume; i successivi sette moduli si affiancano a parte del tessuto edilizio del centro storico senza entrarne in contatto, se non nel punto intermedio di risalita alla quota del portico ( una scala inserita all’interno di un edificio che sale da quota + 34 a + 45) ; l’ultimo tratto (di due moduli circa) è totalmente immerso all’interno del tessuto urbano (attraversa due isolati del centro storico, senza interferire con alcun edificio di valore storico-monumentale).
Il complesso di case che include l’ultimo tratto della via porticata si accosta attualmente a pochi centimetri dall’angolo sud del loggiato della Basilica, permettendo che la connessione del portico con le logge sia completamente invisibile dalla città e non alteri minimamente l’assetto dell’area circostante la Basilica.
Il portico si interrompe a 25 metri di distanza dall’angolo delle logge, la stessa distanza che separa a monte il portico del Muttoni dal santuario di Monte Berico.
Un grande vuoto definito dal taglio del tessuto abitato accoglie la maestosa mole della Basilica e contiene il ponte sostenuto da un fitto colonnato che copre la distanza che separa il portico dal suo fine.