Gibellina. Utopia / L'isola che non c'è
Gibellina, insieme ad altri paesi della valle del Belice, viene distrutta dal terremoto nella notte del 14 Gennaio 1968. E' ricostruita 18 km a valle, a partire dal 1970. La ricostruzione, imposta da Roma e senza mediazione con la popolazione locale, non tiene conto della vecchia pianta Araba. L’arroccato paese raso al suolo viene declinato in quella che pare essere un sorrbogo urbano nordeuropeo, dove 4000 abitanti si trovano spalmati su oltre 45 km quadrati. Giardinetti arsi dal sole, box auto presto trasformati (abusivamente) in locali cucine vista strada incorniciano schiere di villette unifamiliari. Sul retro i previsti percorsi pedonali sul retro finiscono presto inutilizzati.
Questi enormi vuoti fisici tra una casa e l’altra, lacerano il tessuto di strettissima familiarità, relazione e scambio che caratterizzavano la vita del vecchio paese.
E' dunque per riempire questo vuoto di senso e di funzioni, che il Sindaco Ludovico Corrao chiama in città artisti e intellettuali di fama mondiale. Pietro Consagra, Mario Schifano, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Leonardo Sciascia sono tra i tanti che rispondo all'appello. Sciascia parlerà di “trauma rivitalizzante”, artistico e culturale, che si pone di superare l’altro trauma, sociale e umano, causato dal terremoto e dalla ricostruzione.
La città, come auspicato da Corrao, diviene un laboratorio di sperimentazione e pianificazione culturale tra i più vitali mai pensati e realizzati nel nostro paese, facendo di Gibellina la “città d’arte” più moderna d’Italia. La Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, i Giardini Segreti di Francesco Venezia, la Porta del Belice di Pietro Consagra, la Torre Civica (da cui 5 volte al giorno sarebbero dovute levarsi, per 100 anni, “grida siciliane” - urla di bambini, lamenti, canti religiosi, rumori di strada, a scandire i momenti della giornata al posto del classico orologio) di Alessandro Mendini, il Sistema delle piazze (di Laura Thermes e Franco Purini), sono solo alcune delle tantissime incursioni artistiche che invadono la città.
L'intera intera vita e azione politica di Corrao si fondono in questa opera gigantesca, anche se certo non esente da contraddizioni e carenze. L’italico incompiuto anche a Gibellina infatti è di casa, a partire dal Teatro di Consagra, fermo coi lavori agli anni ’80 per mancanza di fondi.
L’utopia d’altra parte non s’è mai proposta di cambiare le cose, ma bensì di smuoverle (in questo caso con la spinta rivitalizzante dell’arte) affinché prendano un’altra strada. Gibellina e la Sicilia, per cui Corrao s’è sempre battuto, per farne un centro di rinascita in costante dialogo con le culture di tutto il Mediterraneo, forse ancora aspettano il cambio di direzione.