I TEMPLI DEL PARCO ARCHEOLOGICO DI PAESTUM, SALERNO
In Magna Grecia e in Sicilia si conservano i resti di alcuni dei più grandiosi e meglio conservati templi greci di ordine dorico. Alcuni di questi si trovano nel sito di Paestum, un sito unico nel mondo. Descrizione dei templi accompagnata dal reportage fotografico del sito.
Analizzando le caratteristiche costruttive dei templi di Paestum si può notare, come vedremo, un certo ritardo nel recepire i progressi e gli aggiornamenti tecnici e formali elaborati nel frattempo nella madrepatria. Contemporaneamente, però, si assiste in essi anche allo svilupparsi di tendenze costruttive assolutamente nuove e autonome, sintomo di come lo stesso ordine architettonico possa - entro certi limiti - modificarsi, adattandosi a soddisfare le esigenze costruttive di popolazioni anche assai diverse fra loro.
Paestum è il nome latino dell’antica e potente Poseidònia (che significa città sacra a Poseidóne, dio del mare), posta nella Valle del Sele, quasi a ridosso della costiera salernitana. La città sorse agli inizi del VII secolo a.C. come colonia di Sýbaris (l’odierna Sibari), a sua volta fondata da popolazioni greche di origine achea intorno al 720 a.C. Robustamente fortificata e munita di 4 porte ai 4 punti cardinali, la città presentava una regolare struttura a pettine, con tre grandi strade parallele di penetrazione orientate in direzione Est-Ovest e una fitta rete di vie minori, perpendicolari alle prime, a loro volta orientate in direzione Nord-Sud.
A settentrione della prima delle tre strade principali vi era l’area del santuario dedicato ad Athena, con il grande tempio omonimo, fra questa strada e la sua parallela di mezzo si estendeva l’asty vera e propria, con l’agorà e gli altri principali edifici pubblici, mentre nella fascia fra la strada di mezzo e quella più meridionale trovava spazio la vasta area del santuario dedicato a Poseidone, con i templi di Hera (Basilica) e di Nettuno (Poseidonion).
La cosiddetta Basilica di Paestum, risalente al 540-510 a.C., costituisce uno degli esempi più noti e meglio conservati di tempio dorico in Magna Grecia. Essa deve questo suo nome alla credenza settecentesca che si trattasse non di un tempio, ma di una basilica, appunto, nel senso romano del termine: vale a dire un ambiente coperto destinato a sede di tribunale e, in genere, alle riunioni pubbliche dei cittadini. Si tratta invece di un grandioso tempio periptero ennàstilo (cioè con 9 colonne sul fronte) dedicato alla dea Hera e collocato nella zona del santuario meridionale di Poseidonia. La sua superficie è più che doppia rispetto all’Heraion di Olimpia, mentre la peristasi presenta 9×18 colonne doriche e le dimensioni complessive risultano di 24,48×54,22 metri, superando di poco il rapporto ideale di 1 a 2.
Le sue cinquanta colonne perimetrali in pietra calcarea grigia si ergono ancora quasi completamente intatte mentre quasi nulla è rimasto del naos, diviso in due navate da una fi la centrale di sette colonne. Nella parete occidentale del naos, infine, doveva aprirsi un sacrario (o àdyton) secondo una tradizione che, anche se non molto diffusa in Grecia, si ritrova con una certa frequenza sia in Magna Grecia sia in Sicilia. Era nell’adyton, infatti, vero e proprio cuore simbolico dell’edificio, che si conservava il simulacro della divinità alla quale l’intero tempio veniva dedicato. Anche il fregio, la cornice e i frontoni sono andati in massima parte perduti.
I timpani e le metope, comunque, erano ancora del tipo arcaico: lisci (forse solo dipinti) e comunque non decorati a bassorilievo. Le colonne, alte 4,68 metri, sono molto rastremate e hanno un’entasi particolarmente pronunciata. Esse terminano con un capitello dall’echino assai schiacciato e panciuto, sormontato da un abaco molto largo (quasi il doppio del diametro del collarino al sommoscapo). Il collarino, infine, è decorato con una serie di piccole incavature regolari che imitano delle foglioline stilizzate. Questo si ricollega ad antichi modelli di origine micenea che i coloni che fondarono Poseidonia ripresero a loro volta dalla tradizione dalla quale provenivano.
Nell’area del santuario settentrionale dell’antica Poseidonia sorgono i resti di un secondo tempio dorico, di dimensioni più piccole, originariamente dedicato ad Athena ma oggi noto come Tempio di Cerere, in onore della veneratissima dea romana della fertilità e dell’agricoltura. L’edificio è del tipo periptero e presenta una peristasi di 6×13 colonne con venti scanalature, entasi molto pronunciata e collarino decorato con motivi in rosso, blu e oro. Viene qui applicata per la prima volta in Magna Grecia la regola secondo la quale il numero delle colonne sul lato maggiore deve essere uguale al doppio più una di quelle presenti sul lato minore. Tale regola proporzionale è la stessa che ritroviamo anche nel Partenone di Atene, il maggior tempio dorico rimastoci.
Il conflitto angolare viene qui risolto in modo molto semplice, allargando opportunamente tutte le metope d’angolo. Costruito in pietra calcarea locale su un crepidoma di tre scalini, il Tempio di Cerere risale all’incirca al 510-500 a.C. L’edificio misura 14,54×32,88 metri e si articola intorno a un vasto naos a navata unica (ora distrutto), posteriormente privo di opistodomo. In prossimità dell’ingresso due scale gemelle, in parte ricavate nello spessore dei muri della cella, conducono al sottotetto. Il pronao, invece, è delimitato da sei colonne (quattro frontali e una per ciascun lato) con capitelli ionici. È questa la prima volta in cui in Magna Grecia si trova la compresenza dei due ordini, segno di una certa vitalità di contatti fra la colonia italiota e le città greche del Mediterraneo asiatico, dove l’ordine ionico era allora maggiormente diffuso.
Infine, poco più a Nord della Basilica e a essa parallelo, sempre nell’area del santuario meridionale, sorge il grande Tempio di Nettuno (detto anche Poseidònion), uno fra i più imponenti e meglio conservati del periodo, completo ancora dell’intera trabeazione e dei due frontoni. Si tratta di un altro edificio dorico periptero con peristasi di 6×14 colonne, avente uno sviluppo complessivo di 24,30×59,90 metri, dunque - nonostante il numero inferiore di colonne - addirittura maggiore della stessa Basilica.
Costruito intorno al 460-450 a.C. in pietra calcarea (ma il fregio era realizzato con la più pregiata arenaria e l’intera struttura risultava poi vivacemente dipinta), presenta un naos suddiviso longitudinalmente in tre navate [1], con due ordini di sette colonne sovrapposte, secondo una tipologia già diffusa nel Peloponneso fi n dal secolo precedente, come si è visto anche nel Tempio di Athena Aphaia a Egina. L’accesso alla cella è rialzato, rispetto al pronao, da una scalinata di quattro gradini.
Nonostante il periodo relativamente tardo le colonne, alte 8,88 metri (pari a 4,33 volte il diametro all’imoscapo), appaiono ancora molto massicce, tanto che per snellirne l’aspetto sono state realizzate ben 24 scanalature, invece delle consuete 20. Nel complesso, però, le proporzioni hanno ormai acquisito il tipico equilibrio dell’ordine dorico maturo, con particolare attenzione anche a tutti quegli accorgimenti costruttivi tendenti a correggere la percezione ottica dell’edificio, al fine di adattarlo il più possibile a un modello ideale geometricamente perfetto.