Cellula per una Casa minima
Appartamento nella “Nave” di Leonardo Ricci a Sorgane
Questa piccola ristrutturazione sottende un’ambizione più grande, costituire un primo esempio, capace di dare nuova vita al quartiere residenziale di Sorgane che Giovanni Michelucci ideò a Firenze: quartiere quello si Sorgane ormai dimenticato e desideroso di esprimere finalmente “relazioni fra l’abitare e gli altri atti umani quali il lavorare, l’educare, il muoversi, l’integrazione in un organismo unico aperto di tutte le funzioni oggi settorialmente separate, in una architettura a scala urbanistica”.
Il progetto trova la sua collocazione all’interno della siedlung di Leonardo Ricci, edificio storicamente ribattezzato, la “Narve”.
Scarnificato fino a palesarsi solo nella sua macrostruttura in cemento armato, l’edificio ricciano diviene un contenitore disponibile, un gigantesco armadio a giorno fatto di montanti, coperture e terrazze, sotto le quali poter liberamente installate le varie cellule abitative.
Questa anche la filosofia che aveva guidato la pulsione teorica ed utopica della scuola fiorentina che, nell’ideazione di macrostrutture, prefigurava organismi flessibili ed ampliabili, caratterizzati dalla possibilità di continue modificazioni.
Il nostro rogetto tenta questa possibilità: la macrostruttura portante, preesistente e persistente, viene ripulita dalle microstrutture sottostanti, facendosi così contenitore vuoto in attesa di accogliere il nuovo lavoro.
La nuova cellula, di dimensioni fisse, è stata intesa come elemento replicabile ed inseribile nel telaio strutturale: “rifiutando una formulazione episodica, si pone come ipotesi di un nucleo ripetibile tale da produrre, per sommatoria verticale, un grande organismo”.
Nei limiti imposti dalle misure strutturali del colosso moderno, il progetto si attua con pochi gesti, una grande libreia divide la zona notte (composta da due camere e dai servizi igienici) dalla zona giorno (collocata in fregio alla terrazza e al paesaggio).
La forma, liberata dai suoi vincoli tradizionali e fissi, acquisisce capacità di continuità, variabile testimonianza degli atti della esistenza quotidiana. Si attua così il superamento del quartiere ghetto a favore di una struttura aperta, nella quale siano compresenti tutte le scale sociali e in cui coesistano tutte le culture religiose e laiche.
“(..) compito fondamentale dell’Architetto sta nell’individuare tutte quelle possibili operazioni che siano capaci, per così dire, di sbloccare sin dall’interno la fissità, la schematicità, la perentorietà dello spazio urbanistico architettonico (…)”.