VILLA ADRIANA E IL RAPPORTO CON IL PAESAGGIO, TIVOLI
Villa Adriana descritta da Antonio Nibby (storico, archeologo e topografo italiano) nel suo "Viaggio antiquario ne' dintorni di Roma".
Frammenti del saggio dell'autore accompagnati dal reportage fotografico della villa.
L'archeologo e topografo romano Antonio Nibby (Roma 1792 - Roma 1839) nella composizione di quest'opera, decise di indagare con gli occhi e con le fonti, sugli aspetti che resero Roma e i suoi dintorni un pittoresco capolavoro ancora oggi visibile. Lo studioso in punta di piedi s'incamminò tra le vie, in un percorso lento, meticoloso, catturando ogni dettaglio.
Da ritenersi oggetto prezioso per il viaggiatore, descrisse ogni luogo come un'epigrafe, che appare muta davanti allo sguardo dell'inesperto viandante, ma si rivela fonte di cultura sotto gli occhi di chi cerca tra le rovine una storia. Il pensiero di Antonio Nibby, in perfetta armonia con le attrattive del luogo, dà vita ad un brillante itinerario.
«Dove c'è paesaggio c'è itinerario; certamente spesso si tratta di tragitti concreti, definiti nei loro tratti agilmente percorribili o impervi, ma non solo di quelli. Infatti al paesaggio si lega anche l'immagine del viaggio, oltre alle azioni che lo realizzano nella realtà e per questo esso offre a ciascuno la possibilità di scegliere un proprio itinerario che è principalmente quello della mente, verso mete che non sono solo fisiche, ma che si configurano piuttosto come "orizzonti" (...)»
Tra le righe della sua opera, ci mostra, concepita dalla brillante mente di Adriano, come una delizia imperiale seduta su di un colle, che si erge in solitudine fra due valli, offrendo respiro e piacevoli vedute. Tornato da alcuni viaggi in provincia, l'imperatore fu spinto dal desiderio di realizzare una dimora degna di un Romano Augusto che riunisse in unico complesso, quanto di bello l'architettura e la scultura potessero offrire alla sua figura.
Nella villa trascorse gli ultimi anni della sua vita, circondato da tali meraviglie, che risvegliavano in lui ricordi e sentimenti provati di fronte alle bellezze viste nei territori provinciali. Nel 138 d.C. la morte portò via Adriano e pian piano la decadenza portò via la villa.
«Malgrado però tutte queste rovine, malgrado tutte queste devastazioni, in ogni scavo, che si è fatto in questa villa, si sono rinvenuti, come si vide di sopra, oggetti di gran valore per l'arte; e le rovine stesse degli edifici presentano masse enormi, e pittoresche, e quantunque deformati, in alcuni si riconosce ancora la primitiva destinazione, onde riesce di sommo vantaggio, e diletto il visitarli (...)»
Come in un elogio romano, Antonio Nibby ne descrive ogni sua parte. Il teatro, nel quale si rintracciano ancora linee guida costruttive - identificabili nei gradini, nella scena, e nell'ambulacro - è uno degli edifici meglio conservatosi. Costituito da un corpo circolare si univa sul lato occidentale ad un altro edificio che volgarmente chiamano l'Ippodromo.
È Vitruvio ad informarci circa l'uso di questa fabbrica mostrando come sia uso consueto dotare i teatri romani di un portico coperto dove poter ripararsi in caso di pioggia. Un frammento della scultura di Ercole, preservato nei pressi dell'ambulacro, testimonia quanto Adriano fosse affine al filellenismo imperiale. La sua complicità con lo stato ellenico è anche testimoniata dalla costruzione, di edifici civili e religiosi, da lui promossa, in varie città greche.
Passando per un'antica strada giungiamo al Pecile (un quadriportico). Adriano, progettò la sua realizzazione ispirandosi ad un edificio (la Stoà Poikile), visto nell'amata Atene, che aveva la capacità di destare tanta meraviglia nell'anima dei visitatori per la varietà di pitture che offriva ai loro occhi. Lo stesso effetto ebbero su Adriano che decise di impreziosire la sua dimora con alcune pitture. Circa queste ne parla lo scrittore Pausania:
«Le pitture, che ornavano in Atene il portico di questo Pecile rappresentavano alcuna delle imprese più segnalate degli Ateniesi, cioè la loro battaglia ad Oenoe contro i Lacedemoni ; quella di Tesco contro le Amazzoni (...) ivi pure si vedevano parecchi trofei, ed armi tolte ai nemici, ed alcune statue di bronzo, fra le quali quelle di Solone, e di Seleuco Capitano di Alessandro (...) »
Alcuni frammenti riportano l'esistenza di un muro, che divideva in due il portico, che serviva a riparare dal sole i passanti. Al di sopra del muro dovevano trovarsi le pitture eseguite dai migliori, artisti del tempo. Nelle vicinanze del Pecile si giunge ad un tempietto che l'ignoranza appella tempio degli Stoici.
Nibby presume che in questo ambiente si svolgessero incontri letterari e che le nicchie servissero come armadi per collocare i libri. La presenza di alcune sostruzioni, che davano vita ad una serie di nicchie, testimoniano la presenza di una biblioteca. La biblioteca prendeva corpo in due ambienti, uno di vocazione greca, culla della paideia ellenica (formazione umana).
«La Biblioteca greca, della quale ancora esistono le vestigia, era a due piani; ad essa si saliva per una scala rivolta verso settentrione; una sala per trattenimento di chi studiava la precedeva (...)»
L'altro di vocazione latina sotto forma di tribuna. In questo secondo ambiente tutti i principi dell'humanitas - dignità, nobiltà d'animo, buon gusto - affioravano ed entravano a far parte del cittadino romano. Ultime ma non meno importanti sono le rovine del Palazzo imperiale.
«Questa massa di rovine, che offre tanti punti di vista pittoreschi coperti di edere, ed altri arbusti, si trova nella parte più alta della villa, e si estende da oriente ad occidente nella direzione del muro del Pecile, venendo ad unirsi con una delle sue estremità alle fabbriche appartenenti alla Biblioteca. Le rovine presentano la più grande magnificenza, le colonne di cipollino, granito, e bigio, che vi sono state trovate in varie epoche, mostrano quanto fossero le sue sale decorate. Dalle rovine però si può poco concepire la forma, e disposizione antica, meno che esso era a più piani. Vi si veggono ancora vari corridori ora sotterrati, me quali rimangono indizi delle pitture, che li decoravano (...)»
Queste sono solo alcune delle strutture monumentali descritte da Antonio Nybbi. Ogni singolo complesso ha donato alla villa eterna bellezza.