Abitare nonostante
La città è stata in tempi recenti oggetto di studio, campo di sperimentazione, luogo di scontro tra diverse utopie e pronostici sul futuro che ci aspetta. Nuova arena di confronto per filosofi, amministratori, architetti, urbanisti, politici, ecologisti, economisti, ribelli e idealisti di ogni tipo. E’ una realtà il fatto che le città siano cambiate profondamente negli ultimi decenni: il pensiero dominante è renderle “smart”. Lavoro, servizi, tempo libero, tutto il nostro vivere la città va nella direzione di un rapporto declinato ai ritrovati spazi e luoghi dove recuperare l’armonia con ciò che ci circonda. La città umanizzata dopo la fase della città delle macchine, delle strade, delle fabbriche. Anche l’abitare risente naturalmente di questa svolta, le città più “smart” sono quelle in cui abitare non significa più semplicemente occupare un certo spazio all’interno di un edificio. I quartieri dormitorio o satellite, lontani dal centro di gravità costituito dai cuori storici delle nostre città europee e italiane soprattutto, sono qualcosa da dimenticare o eventualmente “rammendare”. Il decentramento forzato del residenziale dal centro propulsore delle attività non deve per forza essere visto e soprattutto vissuto come allontanamento o esclusione ma deve al contrario diventare un’occasione per inventare nuovi poli d’attrazione, nuovi luoghi di aggregazione autonomi e con tutti quei servizi che aiutano le nostre vite a essere considerate meno forzate, consoni all’esigenza di benessere dentro e fuori dagli spazi abitativi: appartamenti accoglienti e tecnologici, aree verdi e attrezzate all’esterno. Quanto di questo si sperimenta in una città come Genova? Poco o nulla.
Eppure questo glorioso porto mercantile, questo polo industriale di prima grandezza durante gli anni dell’industrializzazione italiana, racconta l’abitare nella sua ascesa e caduta come pochi altri luoghi. Genova ha accolto i cambiamenti che mano a mano ne hanno stravolto il tessuto riuscendo a mantenere una patina di antica bellezza nonostante tutto, certo non grazie a piani urbanistici illuminati o politiche del territorio avveniristiche. E’ la forza del suo ordito abitativo che ancora dà vita e carattere alla città. Le ferite sono tutte ancora aperte a ricordare che non c’è forse possibilità di cura o riparazione ma la città offre sé stessa senza veli, ricca di luci e ombre, di contraddizioni e di stridori a volte insopportabili. Il recente passato di Genova, un tempo era uno degli apici del “Triangolo industriale” d’Italia, con Torino e Milano, ha fatto sì che quartieri residenziali siano nati a ridosso delle fabbriche e del porto, densi agglomerati arrampicati sulle propaggini delle colline, lungo i fiumi che dall’Appennino scorrono verso il mare. Quartieri densi di abitazioni, poveri di grazia. Pezzi della città sono rimasti isolati, attraversati da strade di servizio per le movimentazioni delle merci o prodotti industriali. Gruppi di case o edifici singoli che si stagliano nella prospettiva, non dissimili dai cumuli di container che a poche centinaia di metri attendono di essere utilizzati al porto. Negli anni ruggenti delle grandi fabbriche anche le infrastrutture sono diventate protagoniste del paesaggio urbano genovese. La sopraelevata che raccorda le autostrade a levante e ponente è davvero passata sopra a tutto, interi quartieri ne sono sovrastati o vivono a diretto contatto: diverse finestre si aprono la mattina a pochi metri dall’autostrada che attraversa la città. L’espansione di Genova ha dovuto tener conto della morfologia del terreno su cui è sorta la città. Le case si sono arrampicate e accumulate le une sulle altre. Nel centro storico si ammira la stratificazione dei vari momenti storici, il farsi largo di piazze e piazzette, la valorizzazione di intere strade con palazzi signorili dall’architettura raffinata e sobria. Ma intorno e dentro questo tessuto urbano, le abitazioni più popolari sono una presenza che ancora offre il carattere peculiare di Genova a chi la guarda Genova (e chi guarda Genova sappia che Genova si vede solo dal mare cit.). Le alte facciate chiare e cadenti, tracciate da finestre tutte uguali, con i panni stesi come non si usa praticamente più, appaiono come custodi di vite, abitudini, attaccamento alla propria storia contro ogni dettame di modernità e confort abitativo. Sarà davvero così?
"L’obiettivo fotografico si è tenuto a distanza, ho preferito la visione d’insieme, focalizzando alcuni particolari che facessero risaltare i contrasti. La tecnica analogica e il bianco e nero mi hanno aiutato a estrarre l’essenziale, a far risaltare le velature delle ombre, a controllare i grigi dei cieli e dell’asfalto. La mia formazione di fotografo di architettura mi ha portato a far emergere un disegno, la precarietà delle geometrie, le offese del tempo sulla materia, la solitudine e l’orgoglio di una costruzione umana che resiste ai tentativi di annullamento". Genova mostra una pelle cosparsa di segni, cicatrici, rughe non più cancellabili, è un’architettura brulicante di segnali opposti come brulicante e segreta al tempo stesso sembra la vita che scorre all’interno delle sue mura. Abitare nonostante, abitare resistente e resiliente. Dai diamanti non nasce nulla d’altronde. Noi abitiamo le case e gli edifici convivono nello spazio ristretto e soffocante della città, il nostro e il loro destino sono legati indissolubilmente.