Six
Il nuovo indirizzo nella Milano segreta tra design, ricerca e atmosfere underground.
Six nasce dall’idea dell’imprenditore Mauro Orlandelli di realizzare «un contenitore olistico, dove il risultato fosse superiore alla somma dei suoi addendi». Insieme a lui, l’art director Samuele Savio e gli architetti David Lopez Quincoces e Fanny Bauer Grung hanno dato forma alla visione iniziale collaborando – ciascuno con la propria esperienza e cifra stilistica - alla configurazione globale del progetto. Savio ha pensato al nome e ai loghi - «Six come “sei”, il più piccolo dei numeri perfetti, prodotto dalla somma dei suoi divisori» spiega - mentre gli architetti si sono occupati dell’interior design.
Infine, il musicista Sergio Carnevale (assieme al socio Nic Cester della band australiana dei Jet) ha concepito il locale dedicato al food e la paesaggista Irene Cuzzaniti ha introdotto un tocco floreale con il suo studio di progettazione del verde.
La location, un angolo intimo e segreto dietro a un grande portone in via Scaldasole, è caratterizza- ta da una corte “vecchia Milano” punteggiata a sorpresa da innesti di vegetazione tropicale. Sul patio si affacciano ballatoi e grandi aperture ad arco dell’edificio cinquecentesco che fu, in principio, un monastero. La ristrutturazione ha rimosso gli strati d’intonaco dagli interni e fatto riaffiorare il motivo dei mattoni a vista, i pavimenti originari sono stati riportati alla luce. «Volevamo che ogni cosa, dagli arredi alle piante, sembrasse risiedere qui da sempre» racconta Bauer Grung.
Il mood complessivo è il risultato di un gioco rarefatto di contrasti, pertanto, se le pareti tinteggiate di grigio fumé hanno un sapore quasi brutalista, il mobilio è selezionato tra i classici del design e l’attenzione al dettaglio non contraddice l’atmosfera bohémien del luogo.
Allo stesso modo nella galleria si mescolano vasi vietnamiti e mobili scandinavi moderni, tappeti nomadici di Altai e tavoli di Gabriella Crespi, le poltroncine di Giò Ponti e i fauteuil che Le Corbusier e Pierre Jeanneret crearono per Chandigarh, in India.
Il bistrot – rischiarato da una lampada scultura di Isamu Noguchi – offre una cucina semplice e stagionale, mentre per le cene speciali dispone di un dining privato che ricorda un antico tinello.
Lo studio di Irene Cuzzaniti, infine, con il piccolo lavatoio in pietra, diventa la sua base operativa e un luogo dove imbattersi in oggetti insoliti, tra natura e cultura.