(Sovra)scritture pugliesi
Note sul paesaggio
Il paesaggio pugliese lavora spesso per sottrazioni, o meglio per assenze.
La terra, in molti casi, è brulla, piatta, libera. Per kilometri l'unica vegetazione è costituita da ulivi e viti che la punteggiano alternandosi con la macchia mediterranea e con sfumature di verde. L'orizzonte levantino del mare è spesso segnato dal passaggio dell'uomo: l'elemento antropico lo forma e lo destabilizza minandone gli equilibri, ma al contempo, definendone tratti di costa frastagliati. Il paesaggio che si traguarda appartiene al mondo che rappresenta, ma ne anticipa anche un altro: un palinsesto vergine pronto ad accogliere scritture e sovrascritture.
Mare, Cielo e Terra: sono queste le grandi anime del territorio pugliese.
Esse sono percepibili e palpabili ovunque si volga lo sguardo.
In questo dittico gli elementi naturali mutano forma, si ingigantiscono e, per parlarci, assumono sembianze architettoniche ai più già conosciute.
Le Architetture, dislocate in questi paesaggi, perdono la funzione che siamo soliti attribuirgli e forse tornano alle loro origini, all'idea originale che le aveva concepite.
Strutture leggere appena poste al di sopra della linea dell'orizzonte, grandi navi tornate da un lungo viaggio o grandi monoliti che si ancorano nelle profondità della terra diventano, in questo caso, grandi monumenti dedicati al Cielo e alla Terra.
Il paesaggio appare sconvolto dall'apparizione di queste immense architetture, ma esse non sono che visioni fugaci che non hanno altro scopo se non quello di dare "corpo" alla grandiosità di ciò che ci circonda.
Sterminati spazi che l'uomo, ospite e non padrone, non può fare altro che ammirare e venerare.
Ti guardo e tu stai li, fermo, immobile.
Ti guardo e vedo un elmo oramai caduto, una battaglia finita, il sangue sparso.
Come un elmo hai protetto e dato dignità.
Hai dato rifugio e lavoro ed hai innalzato l’uomo a valore assoluto di se stesso. Io sono qui a dirti il grazie che meriti, a renderti onore.
A stabilire con te il più vecchio dei dialoghi della nostra cultura. L’accumulazione.
ACCUMULAZIONE COME SANGUE.
ACCUMULAZIONE COME PROTESTA.
ACCUMULAZIONE COME FOLGORANTE VISIONE. ACCUMULAZIONE COME VITA
« Quei milioni di vite passate, presenti e future, quegli edifici recenti, nati su edifici antichi e seguiti a loro volta da edifici ancora da costruirsi, mi sembrava che si susseguissero nel tempo, simili alle onde »
M. Yourcenar.
Una superficie d'acqua, una superficie d'aria, l'orizzonte come diaframma. Pochi elementi definiscono uno scenario in cui tutto sembra impalpabile, inafferrabile, indefinibile. Un isolotto artificiale rappresenta l'unico punto fermo, una sorta di basamento che segna esattamente l'inizio di qualcosa, il metro di misura a cui riferirsi. È qui che si appoggia una struttura senza spessore, fatta di niente, come ciò che la circonda. Eppure è proprio questa che permette all'occhio di misurare l'orizzonte, di frammentarlo, di segnarne una ritmicità matematica. L'infinito diventa razionale, calcolabile. Pietre dorate si incastonano in essa, costituendo infiniti punti, infinite percezioni del paesaggio. Questa tensione tra calcolabile e indefinibile eleva l'animo dell'uomo e l'orizzonte è adesso abitabile attraverso il suo sguardo.
Porsi degli interrogativi, oltre a stimolare il processo di ricerca dei significati impone dei chiarimenti, quantomeno semantici, per ovviare a banali errori di campo. Se per paesaggio, declinato sotto la voce architettonico, si è soliti intendere la costruzione della scena urbana, quale sommatoria di: analisi, osservazioni, interventi progettuali e gestione dello spazio esterno allora è doveroso chiedersi quali siano gli elementi che compongono la suddetta scena urbana. Più che una ricerca sugli elementi comuni, essenziali per poter costruire modelli unitari, bisognerebbe preoccuparsi dell'arte del luogo ossia la sovrapposizione stratigrafica di qualità: estetiche, funzionali e simboliche intrinseche al topos. Se da un lato l'uso di elementi formali codificati l'arco e la relativa reiterazione che ne determina la matrice costituiscono lo strumento base per la lettura dell'ambiente che si osserva; dall'altro ne rappresentano una prima, inconscia, alterazione. Dunque il paesaggio oltre a comporsi di elementi determinati si arricchisce/impoverisce di attributi strettamente soggettivi in grado di generare ogni volta scenari differenti e soggetti a molteplici interpretazioni.
Nell'era del frenetico, dell'immediato, dell'ovunque e del tutto ad ogni costo; concedersi il tempo dell'osservazione significa dialogare con se stessi. Guardare, misurare, scomporre, ricollocare e modificare non si limitano a relative azioni metodiche ma costituiscono la partitura di un componimento sempre differente. Per parlare di paesaggio occorre prendersi del tempo. Il tempo è l'unica categoria che si può misurare ma non limitare, che si può frammentare ma non annullare, che si può circoscrivere ma non contenere. Così come il paesaggio che continuamente, inesorabilmente e con sommesso fragore, si rinnova. Si modifica. Costringe al confronto tra quello che esiste e quello che si percepisce; tangibile come il verde degli alberi ma impalpabile come l'orizzonte al di là del mare. Illude alla possibilità della regola, della matrice, dello schematico, del seriale; per poi sottrarsi, come l'acqua sulla battigia, alle briglie del razionale. Nel costruire gli strumenti dell'interpretazione tentiamo di dialogare con ciò che invece vorremmo riprodurre, certi di poter fornire soluzioni nuove a questioni mai risolte.
Il presupposto che ci ha spinti a interrogarci sul paesaggio fonda nell'esigenza di coniugare folgoranti visioni ad antiche convinzioni; sincere riflessioni a morbose pulsioni tali da costringerci all'incessante dubbio della forma, al pari dei manufatti costieri che « tornano alle loro origini, all'idea originale che le aveva concepite ». Ci rifugiamo nella sovrastruttura effimera e adorna di preziose congetture per fugare l'ordinario e concederci, ancora una volta, il tempo dell'osservazione. Ancora un'altra occasione per ripensare agli elementi dello spartito che chiamiamo paesaggio