Piazza Gino Valle
Milano.
Milano, una città, anzi due città. La città frenetica, affarista - dedita al lavoro - chiusa per lo più nei suoi edifici in vetro e acciaio e poi la città dinamica, sociale, relazionale che anima i luoghi dello stare. Luoghi dello stare, che però la città stessa, con scarsa generosità mette a disposizione. Essa infatti non si è dotata di molte piazze - tipico luogo di incontro, fortemente connotato nella cultura italiana - e quando lo fa capita che esse non svolgano il ruolo aggregativo per cui sono pensate o che non si sviluppi quel senso di appartenenza, da parte della popolazione, necessario a mantenerle vive.
È questo il caso di piazza Gino Valle, piazza di recente realizzazione, nonchè piazza più grande della città. Tale piazza nasce all’interno di un po’ ampio masterplan - progettato dallo stesso Gino Valle - che interviene nel recupero di una zona di Milano - quella del Portello - ricca di storia e di importanza per la città. La piazza si pone come nuovo termine dell’asse urbano e architettonico dell’ex fiera campionaria di Milano, il cui grande timpano si erge come uno dei bordi della piazza.
Piazza che però, a causa della sua morfologia e del suo trattamento, non è riuscita a sfruttare l’opportunità di essere un nuovo nodo aggregativo, ma è diventata al contrario un elemento di puro passaggio, che permette lo scorrimento del flusso di persone che, dagli edifici che ne costituiscono i bordi, si recano presso l’adiacente parco e verso il centro commerciale diffuso.
Risulta così, che la piazza grande della città, sia spesso vuota e non connotata da particolari modi di uso, tipici delle altre piazze della città; constata la condizione in cui versa questo luogo (o forse per dirla come Augè, questo non luogo) tornano in mente le parole dello scrittore e filosofo Nicolás Gómez Dávila: “per sfidare Dio, l’uomo gonfia il proprio vuoto”.
Una sfida - non nei confronti di Dio, ma con la cittadinanza - che la città di Milano sembra aver perso. Perso anche per la totale assenza di attività legate al settore dei servizi e più in generale del tempo libero, che si riscontra in questo brano urbano, connotato dall’esclusiva presenza di uffici, che durante le ore serali e di svago non sono aperti e facendo diventare la piazza un vero e proprio deserto urbano. L’esatto contrario di quello che succede in un’altra delle piazze di nuova realizzazione - piazza Gae Aulenti - che sicuramente grazie ad una posizione di maggior centralità e alla presenza della stazione ferroviaria di Garibaldi - porta della città - è divunta subito un punto nevralgico per la movida della città.
L’intento del lavoro proposto è quello di mostrare proprio lo scarso grado di utilizzo di questa piazza e provare a capire (e far capire) quale sia il vero valore dell’intervento, concordamente con quanto affermato dall’architetto toscano Giovanni Michelucci, il quale asserì che: “[...] il valore di un’ opera architettonica sta nel particolare modo di vita che essa propone e consiste, appunto, nei percorsi e negli spazi; nei movimenti di transito e di sosta, nelle occasioni che la struttura vivente suggerisce o sollecita negli ospiti: chi progetta un edificio segue mentalmente la vita che egli pensa potrà svolgersi un domani nell’edificio stesso [...].
Noi si guarda, si fa una fotografia dell’opera, della costruzione e si crede di conoscere quell’architettura; se uno non si rende conto del modo di vita che l’edificio o la città consentono o suggeriscono, vuol dire non essere dentro l’architettura”.
Per cercare di rendere comprensibili le dinamiche relazionali, i flussi e i modi d’uso, che rivelano la qualità dell’architettura, si è ricorsi ad un confronto tra i macro elementi che compongono la piazza - relazionati ad essa - con inquadrature di dettaglio che mostrano l’uso dello spazio considerato.
Pertanto la presenza della figura umana viene mostrata solo nel dettaglio, dopo aver compreso il contesto nel quale si inserisce ed opera, perchè “ attrae l’attenzione, più di quanto non faccia l’architettura e per questo la evito”, in quanto in queste foto non è più necessario leggere l’architettura nella sua totalità, ma risultano essere più importanti le relazioni con essa.