Intorno a Tomba Brion - Carlo Scarpa ed il paesaggio
Intorno a Tomba Brion - Carlo Scarpa ed il paesaggio
Commissione del Comune di Altivole (TV) per i lavori di manutenzione della Tomba Brion a San Vito di Altivole (TV)
INTORNO ALLA TOMBA BRION. Carlo Scarpa e il paesaggio
Che cos’è il paesaggio?
di Stefano Volpato (Curatore della omonima mostra presso il Museo Casa Giorgione a Castelfranco Veneto (TV))
Nell’aprile del 1336 Francesco Petrarca, in compagnia del fratello Gherardo, sale il Monte Ventoso, nelle Alpi sud-occidentali della Francia. L’impresa è narrata in una lettera delle Familiares, indirizzata al frate agostiniano Dionigi da Borgo di San Sepolcro, il quale aveva donato al poeta un libro, le Confessioni di Sant’Agostino, di cui il poeta legge un passo non appena giunto in cima. Abbracciando con lo sguardo l’intera Provenza, dal mar Mediterraneo al fiume Rodano, finalmente appare chiaro in che modo si possa raggiungere la conoscenza divina: “E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le vaste correnti dei fiumi, l’estensione dell’Oceano, le orbite degli astri, ma poi trascurano sé stessi” (Agostino d’Ippona, Confessioni, 397). La filosofia di Sant’Agostino, padre della chiesa, richiama il mito platonico della caverna, secondo il quale gli uomini scambierebbero per reali altro che ombre. Sulla cima del Monte Ventoso, Petrarca è invece capace di collegare “le cose animate e quelle inanimate, la natura e l’opera dell’uomo, e fu forse il primo a operare una riflessione su questa esperienza e a descriverla”, dando così una prima descrizione di paesaggio (H. Küster, Piccola storia del paesaggio, 2010).
Paesaggio che nasce dalla comprensione della relazione tra le cose, e tra l’uomo e le cose; esso è termine fondante per “misurare” la condizione umana. L’homo faber suae fortunae rinascimentale è capace di un nuovo rapporto, critico e problematico, con l’intorno a sé. Appare singolare però come questi primi passi verso la modernità siano così immediatamente, intimamente collegati a un sentimento di transitorietà dell’esistenza umana, la cui amara consapevolezza attraversa i secoli, fino all’età contemporanea.
Come Petrarca, Giorgione è artista del Rinascimento, che in Veneto vede uno stretto e fondante rapporto con il paesaggio. Atipico è il ruolo da protagonista affidato allo scenario naturale della Pala di Castelfranco (Madonna con il Bambino tra San Francesco e San Nicasio, 1505), nella sua parte superiore. Anche nel capolavoro conservato nel Duomo a pochi passi da Casa Giorgione, al paesaggio è affidato un delicato contrappunto al momento di lutto e dolore che ha luogo nella parte inferiore della tavola, dove si svolge la scena più canonicamente dedicatoria. Netta è la distinzione tra lo spazio tutto terreno, quello della caducità, della perdita e della morte e, invece, quello divino della Vergine in trono, che pur volgendo il pietoso sguardo a commemorare il defunto Matteo Costanzo, figlio prematuramente scomparso del capitano della Repubblica di Venezia Tuzio, svetta nella parte alta del dipinto sullo sfondo di una campagna veneta, abbracciando amorevolmente il Bimbo. Ambiguamente calibrato è il punto di vista riservato all’interno della macchina prospettica giorgionesca allo spettatore: un po’ troppo in basso per partecipare da pari alla dimensione della Madre e del Bimbo, ma un po’ più in alto dei santi ai lati del sepolcro, la cui scena è limitata dall’espediente della cortina rossa.
Paesaggio, lutto, memoria e amore sono gli elementi che informano anche l’architettura della Tomba Brion. La costruzione cosmomorfica dell’hortus conclusus medievale si coniuga in modo inestricabile alla raffinata tecnica orientale del paesaggio in prestito. Il paesaggio “preso in prestito” appare essere proprio quello delle tele di Bellini, dello stesso Giorgione e degli altri campioni della pittura veneta: lo stesso di cui Scarpa godeva dalla terrazza di via Robert Browning, nella sua residenza di Asolo. Un’affascinante parallelismo, considerando la formazione artistica dell’architetto veneziano, il suo amore per la tradizione e le sue esperienze museali, suggerisce di accostare la soluzione scenica giorgionesca della cortina, al muro esterno inclinato del Mausoleo di San Vito di Altivole. Entrambi producono un’organizzazione delle viste e una percezione degli spazi, che ora esclude e ora include, con una funzione che appare del tutto analoga nel coniugare i temi da cui muove la poetica dell’architettura scarpiana: “il muro di cinta si allinea, così, sull’altezza degli occhi per creare un orizzonte artificiale, sul quale gli oggetti più vicini (le cime degli alberi, la chiesa di San Vito con il suo campanile) si mescolano al profilo dei crinali che si scorgono in lontananza (Asolo con la sua Rocca, il Massiccio del Grappa). Grazie a questo sottile artificio, Scarpa distende una trama di connessioni visive e costruisce, a partire dal giardino cimiteriale, un nuovo paesaggio, all’interno del quale i suoi raffinati oggetti scultorei entrano in risonanza con le forme caratteristiche del territorio. In fondo, la Tomba Brion è proprio questo: una macchina poetica per elaborare il dolore della perdita attraverso una calcolata visione” (G. Frediani, Quote e orizzonti. Carlo Scarpa e i paesaggi veneti, 2015).
Fuori e dentro, cielo e terra, morte e vita sembrano così avvicinarsi, collocando chi guarda in una posizione di particolare equilibrio, parallelamente a quanto accade nella tavola di Giorgione. Il motivo iconico forse più famoso della Tomba, i cerchi incrociati - portatori di una simbologia antichissima, che allude all’intersezione tra dimensioni celeste e terrena e che in età cristiana trovano sintesi nella mandorla che a sua volta riferisce alla figura di Cristo, Dio che si è fatto uomo - costituiscono così un leitmotiv che informa non solo l’impianto costruttivo e formale del manufatto, ma anche la sua calibrata intersezione con il paesaggio intorno, ora permessa ed ora negata.
A partire dal motivo fortemente iconico dei cerchi intersecanti muove la lettura di Giovanni Cecchinato, che celebra il concetto di coppia, unione tra identità uniche ed univoche, le cui affinità elettive creano un’area comune, un legame - richiamando le ragioni storiche della committenza dei Brion, atto d’amore della vedova Onorina nei confronti del marito Giuseppe, scomparso improvvisamente nel 1968. Nei dittici in cui si articola il lavoro fotografico si evidenzia una zona di parziale sovrapposizione tra due distinte parti, che obbliga a uno sforzo maggiore chi guarda per recuperare nell'idealità l'immagine nella sua interezza e completezza. Sono visioni nella realtà impossibili, quelle di Cecchinato, che rimarcano il carattere ambiguo del mezzo fotografico, in bilico tra verità e rappresentazione, immediatezza e organizzazione formale. Ma che - paradossalmente - hanno la capacità di esaltare, attraverso l’uso di una luce liscia, livellante che solo in alcuni momenti si carica di dramma, la spazialità così fortemente orizzontale del manufatto scarpiano; e conseguentemente, la sua particolarissima capacità di fusione con gli elementi della morfologia circostante, sopra e sotto, quali il cielo, l’acqua, la distesa pianeggiante dei terreni ad est, i dolci profili dei rilievi a nord.
In mostra al Museo Casa Giorgione di Castelfranco Veneto (TV)
dal 28 giugno al 2 luglio
Fotografie di Giovanni Cecchinato
Videoinstallazioni di Riccardo De Cal
Esposizione della plaquette "Memoriae Cause" di Carlo Scarpa del 1977