Cosmologie
Una installazione, un ciclo di conversazioni e laboratori didattici, a cura di Parasite 2.0.
Dal 3 marzo al 9 aprile 2017 allo Spazio Murat.
Nell’Ottobre del 1968 l’attivista Palle Nielsen realizza The Model: A Model for a Qualitative Society all’interno degli spazi del Moderna Museet di Stoccolma. L’installazione, che a prima vista appariva come un parco giochi selvaggio, metteva bambini di tutte le età a contatto con un ambiente privo di sorveglianza e regole scritte. Visto più in profondità, il progetto condensava i temi propri dei movimenti della controcultura tra gli anni ‘60 e ’70. La loro rivendicazione di un nuovo mondo e di una società utopicamente auto-organizzata e fondata sulla libertà personale. Queste richieste non erano altro che una risposta critica alle problematiche di quel tempo, come del nostro: crisi ambientali, guerre, migrazioni, violazione dei diritti e delle libertà, difficoltà di accesso a beni e strumenti, forte polarizzazione della ricchezza e grande divario sociale, che contribuivano, e contribuiscono, a creare l’immagine di un futuro incerto.
La recente concezione dell’Antropocene, che riprende la parola coniata dal biologo Eugene Stoermer negli anni ’80, e che definisce l’era del definitivo impatto umano sul pianeta, in cui anche la vita della terra è minacciata da uno sfruttamento estremo e irreversibile dell’ecosistema, ha sconvolto il mondo della ricerca e della produzione culturale. Riconoscere questa nuova era geologica ci pone inevitabilmente di fronte alla necessità di rivedere e rivalutare il modo in cui agiamo e le pratiche con cui governiamo e pensiamo le nostre organizzazioni politiche e sociali. Oggi possiamo osservare alcuni degli effetti devastanti di queste pratiche nella condizione di instabilità politica e sociale, provocata dai conflitti sparsi per il mondo, fomentati da attacchi fisici e virtuali, e nelle migrazioni forzate dai cambiamenti climatici e dalle catastrofi ambientali. Questi fenomeni producono grandi esodi di massa e la crescita di politiche protezionistiche, quali la chiusura delle frontiere e la costruzione di muri, che negano fortemente la libera circolazione, uno dei capisaldi dell’era della globalizzazione.
Partendo dalla considerazione che i nostri sistemi di organizzazione della vita collettiva a scala planetaria stanno fallendo, urge una riflessione rapida su nuovi modelli, in un’era in cui l’accelerazione del cambiamento e della tecnologia hanno assunto una velocità incalzante e rendono difficile progettare il futuro, che si trasforma repentinamente in futuro-presente.
In Presente Estremo. L’avanzamento della robotica e le possibilità aperte da cervelli artificiali, per esempio, stanno già trasformando il mondo del lavoro, che secondo il World Economic Forum sta assistendo alla massiccia sostituzione di forza lavoro fisica a favore di robotizzazione e macchine intelligenti.
In questo contesto, Benjamin H. Bratton, teorico di architettura e design americano, nel suo libro The Stack: On Software and Sovereignty, mette in discussione il concetto tradizionale di sovranità che si basa sullo Stato-Nazione, e sviluppa una teoria geopolitica fondata sulla sovranità in termini di computazione a livello planetario su varie scale. Bratton, ipotizza uno Stack, una sorta di megastruttura, fisica e virtuale che si espande con tutti i suoi strati e rappresenta tutto il pianeta, tra cielo e terra, comprendendo le infrastrutture di comunicazione globali, i sistemi di Cloud, la Città, fino al singolo utente. Le possibilità di sviluppo di differenti piattaforme, indipendenti ad esempio da questioni di riconoscimento territoriale e non più legate a classiche strutture governative, ci porta a una rigenerazione di paradigmi nell’ordine geopolitico mondiale, aprendo nuovi panorami nella gestione, politica o non, dei beni e dell’intero ecosistema planetario.
Mentre sotto l’impulso di tecnologie e il governo degli algoritmi, il nostro mondo si trasforma in una nuova creatura sempre più difficile da comprendere, abbiamo progressivamente perso la capacità di immaginarlo e progettare un nuovo sistema di gestione, in alternativa a quelli imposti dalla contemporaneità.
Immaginando una revisione contemporanea del progetto di Nielsen, il collettivo Parasite 2.0 affronta attraverso il gioco le nostre inquietudini sul futuro. Da un lato mette in atto il concetto di “Isola Radicale” e di “Cripto-Deserto”, nella necessità di trovare nuovi luoghi e nuovi spazi per immaginare modalità altre di organizzare la vita collettiva. Dall’altro propone un ripensamento critico del fare, basato sul concetto di Antropocene, sulla progressiva perdita della distinzione tra natura e artificio, sul trans-umano, e sull’impatto che le nuove tecnologie e i sistemi di Computazione a Livello planetario impongono sull’ordine geopolitico e sul nostro modo di vivere e governare il nostro habitat.
Proprio come i diversi strati che compongono lo Stack di Bratton e i loro svariati gradi di comunicazione, il progetto si propone come una piattaforma che su vari livelli, con diversi gradi e linguaggi, comunica e riflette su nuove tipologie di società. Dallo strato fisico, l’habitat a cui dà vita l’installazione, con i suoi messaggi scambiati attraverso il corpo, alle azioni e alle attività realizzate attraverso i laboratori; fino alla diffusione dei temi affrontati con un programma di approfondimento e un dibattito aperto alla cittadinanza attraverso un ciclo di incontri e conversazioni.