Progetto Milano/Bovisa per la XVII Triennale di Milano
Punto di partenza e di principale riferimento del presente progetto è il processo di degrado e di progressivo abbandono delle aree edificate (specialmente industriali, ma anche artigianali e residenziali) disposte lungo le linee ferroviarie che, dall'anello dei gasometri a nord-ovest della Bovisa, arrivano fino al grande vuoto delle ex Varesine, attraverso un altro grande vuoto: quello della parte nord dello scalo Farini.
Il progetto guarda questa trasformazione, questa grande porzione di città che si svuota, come una straordinaria occasione tecnica per la città. Per una volta la "pura prospettiva tecnico-economica del profitto" che governa la crescita della città è andata a coincidere con la precettistica canonica dell'urbanistica funzionalista (nella fattispecie il modello della città radiale: la città monocentrica interrotta dai cunei di verde teorizzata da Eberstadt, Mòh-ring e Petersen negli anni venti). E ha fatto sì che, senza l'aiuto determinante di un piano, nel tessuto edilizio più compatto ed esteso che si possa concepire, si aprisse un varco tanto ampio e profondo quanto inaspettato.
Il progetto vede questa fenditura continua e profonda nel tessuto edilizio della città non solo come un'occasione unica di trasformazione, ma anche come un problema, relativo alla forma della città, che contiene già in sé la sua risposta.
Notiamo di passaggio che questo grande vuoto ritagliato nella città compatta rappresenta, per altro verso, un duro colpo per il mito letterario-romantico ancora vivo di una periferia industriale dura e ostile quanto necessaria, struggente e ricca di valori umani e poetici, così come i nomi stessi di Bovisa o di Ghisolfa ancora evocano. Ma, mentre i muri grigi e sghembi e i frontespizi spettrali delle commosse periferie di Sironi cadono definitivamente in rovina (del resto non ci sono ragioni serie per dolersi di questo fatto), le ortaglie - quei piccoli orti spontanei e spelacchiati, più o meno tollerati dalle autorità, che hanno conteso fin qui ai depositi, alle fabbriche e alle scarpate della ferrovia piccoli brani di terra di nessuno - sembrano trovare invece, di fronte a questi spazi allargati a dismisura, una legittimazione meno problematica e poter diventare a tutti gli effetti un fatto urbano reale, concreto, con cui la moderna città industriale non può evitare di misurarsi.
Tema centrale del presente progetto è quindi questo grande spazio dilatato e vuoto, che il progetto intende mantenere il più possibile tale: un'ampia fenditura radiale che s'insinua fra i vecchi sobborghi fino a raggiungere il centro della città e che ha l'opportunità unica di restituire individualità e riconoscibilità alle parti di città che essa stessa separa (ad esempio di restituire ai sobborghi storici una loro plausibile misura: da Villapizzone a Bovisa, giù fino all'Isola).
Il primo compito del progetto è quindi quello di indicare una destinazione d'uso per tali aree che sia coerente con la loro inedificabilità, una destinazione d'uso il cui segno fisico rifletta però in qualche modo anche l'abbandono e lo svuotamento che l'hanno preparata.
In questo senso la proposta di progetto potrà avanzare l'ipotesi di tipi differenti di ortaglie (da quelle individuali-spontanee a quelle che raggiungono la dimensione di piccole aziende vere e proprie).
L'altro compito del progetto è, invece, quello di ridefinire i confini architettonici delle parti di città che vengono separate da questo grande vuoto, di restituire a tali parti una forma plausibile, in grado cioè di riflettere la loro labile storia, di modo che il grande spazio libero fra esse compreso derivi la sua forma soltanto da tali margini ricomposti, così come deve la sua giacitura soltanto al convergere e divergere incurante delle molte linee ferroviarie che lo percorrono.
In tal senso, la proposta di progetto non potrà che interessare in tutta la sua estensione l'area in oggetto, confermandone lo specifico carattere di elemento di separazione, di margine appunto, delle diverse parti del tessuto urbano interessate. A questo fine, ci è sembrato che soltanto un grosso intervento architettonico unitario - un lungo, grande edificio continuo - fosse in grado di assumersi questo compito: anche soltanto una linea continua o a tratti spezzata, una lunga quinta sottile, in ogni caso sempre un limite, anche visuale.
Il lungo edificio di progetto riprende, con la sua giacitura, l'unico impianto viario sicuro tracciato a scala urbana della città, l'unica riconoscibile "forma" a scala urbana che Milano si sia data nel tempo in questa sua parte: cioè l'asse nord-ovest della strada del Sempione.
Un lungo, grande edificio, in grado di contenere e di raccogliere nella sua sezione tutti i principali elementi di carattere collettivo, a cominciare dalle stazioni ferroviarie e della metropolitana con tutti i servizi relativi. Un lungo, grande edificio, che cambia direzione o s'interrompe per svolgere il suo ruolo nel modo più diretto e riconoscibile. Un lungo, grande edificio, che continuamente modifica la sua sezione e la sua altezza a seconda della situazione urbana in cui s'imbatte, a seconda del ruolo di quinta prospettica o di elemento fisico di separazione che deve assumere.