Ristrutturazione del complesso di Valmarina come sede del consorzio del Parco dei Colli
È dato per scontato che il progetto qui descritto non intende in alcun modo entrare in contraddizione con il manufatto così come si presenta oggi, ivi compresi quegli aspetti delle più recenti trasformazioni che meno si adattano a interpretare la vicenda storica del manufatto stesso; è scontato che nel progetto s'intende non solo fare emergere la vicenda storico-architettonica del complesso edilizio di Valmarina, ma altresì rispettarne quegli aspetti che hanno speciale attinenza con la sua collocazione nel paesaggio rurale circostante e che pure appartengono alla sua storia, quegli aspetti cioè che sono indotti dalla presenza e dalla consuetudine stessa delle forme attuali, primi fra tutti i confini, le emergenze dei volumi, i profili e perciò anche le angolazioni prospettiche e le aperture visuali, specie quelle alte dall'interno verso l'esterno, e poi le tecniche costruttive, i materiali e così via. È altrettanto scontato, però, che il presente progetto ha la sua prima ragione di essere nella nuova destinazione d'uso del manufatto. E che da questa trae le principali direttive del suo farsi.
Questa nuova funzione, che è profondamente legata alla storia del manufatto e del territorio che lo circonda attraverso il suo stesso compito istituzionale, introduce tuttavia anche delle differenze sostanziali, oltre a quelle intuibili meramente funzionali. Ciò deriva principalmente dal nuovo rapporto che viene a stabilirsi fra il manufatto e il territorio circostante, cioè a dire, fra la sede dell'istituzione e il parco che la circonda e che ne è la sola ragione di essere. Infatti, se riconosciamo che il complesso edilizio di Valmarina è stato fin qui il luogo destinato principalmente a governare e custodire i prodotti della campagna cui apparteneva e questo suo ruolo, così come accade spesso negli insediamenti rurali, era espresso con efficacia dal suo carattere chiuso, letteralmente introverso dal punto di vista tipologico, rispetto al territorio, dobbiamo anche riconoscere che, se di qui in avanti lo stesso complesso edilizio s'identificherà ancora con il governo e la custodia di un bene legato al territorio circostante, tale bene però non è più rappresentato dai prodotti, ma dal luogo stesso della produzione in quanto tale, cioè dalla campagna stessa, dalle sue forme e dalla sua storia; dal suo essere natura trasformata dal lavoro, campagna appunto, o bosco, o corso d'acqua; dal suo essere anzitutto manufatto, cioè prodotto della cultura e della storia; dal suo essere memoria e testimonianza, cioè monumento. E come tale degno di cura e di vigile custodia.
È ragionevole pensare che questo modo differente d'intendere il medesimo oggetto - la campagna, cioè la terra produttiva, intesa come parco, cioè come storia e cultura della terra produttiva - si manifesti in modo differente anche sul piano tipologico e architettonico; e più precisamente che esso si esprima come una tendenza dell'edificio ad aprirsi all'esterno, piuttosto che a richiudersi, a un estendersi, a un proiettarsi verso la campagna circostante.
Non altrimenti avveniva nelle "case di villa" del passato, nelle grandi residenze suburbane, dove nuove corti o giardini, espressione di un nuovo rapporto con l'elemento naturale, si aggiungevano all'esterno dell'edificazione a quelli canonici interni e gli edifici stessi si aprivano sempre più verso questi nuovi spazi conquistati alla casa, appunto il giardino, il frutteto, il parco. Quanti sono gli esempi di questi antichi edifici che sono sorti su strutture rurali preesistenti? Certamente molti, basti pensare agli esempi palladiani. E sempre la trasformazione più vistosa e tipologicamente più rilevante era questo rivolgersi, questo aprirsi dell'edificio all'esterno come a voler includere il paesaggio circostante. Ed era sempre la parte più importante della casa, la più rappresentativa, ad essere diretta verso lo spazio esterno, verso l'elemento naturale diventato così vero e proprio prolungamento della casa stessa. Di modo che l'intera composizione architettonica dell'edificio ne veniva determinata, e così le gerarchie, i punti di vista, l'esposizione ecc.
Non altrimenti avviene nel presente progetto.
La variazione di destinazione d'uso del complesso edilizio impone nuovi elementi di riflessione, nuovi condizionamenti alla composizione architettonica del manufatto esistente, che, in analogia con gli esempi di cui si è detto, non potranno che portare a una revisione delle gerar-chie e dei ruoli dei singoli elementi compositivi.
Nel progetto si è cercato di rendere questo passaggio insieme evidente e discreto, inequivocabile ma anche cauto, rispettoso. Si è voluto cioè che il segno del progetto volto in questa direzione fosse in ogni caso un segno che andava ad aggiungersi agli altri segni tracciati dalla storia, indipendentemente dalla loro rilevanza monumentale.
In questo senso l'aprirsi del nuovo complesso edilizio verso il suo parco - visto questo fatto come l'espressione più caratteristica della nuova destinazione dell'edificio -va inteso nel progetto piuttosto come il segno di una concreta alternativa architettonica, connessa alla ricchezza evocativa e alla potenzialità sul piano proprio tipologico del manufatto esistente; va inteso come il segno di una vocazione dell'edificio, che qui si realizza solo in una piccola parte di esso, ad assumere e ad esprimere, quasi didascalicamente, la nuova destinazione e ad accoglierne la legittima esigenza di individuazione e riconoscibilità. E così, per realizzare questo aprirsi, questo rivolgersi del complesso edilizio verso la campagna, si è scelto di intervenire su un solo lato del perimetro, su quello più irrisolto, il più accidentale, quello in cui la chiusura verso l'esterno risultava meno strutturale al complesso stesso e la più forzata, cioè il lato ovest.
Si è voluto anzitutto proiettare all'esterno di questo lato lo spazio verde alberato della corte interna al perimetro attuale, con la formazione di un giardino di uguale dimensione al posto di uno sterrato con alberi già destinato a ortaglie. Nel progetto, la continuità fra i due giardini è resa possibile dalle frequenti aperture (porte e finestre) che compaiono nel nuovo muro di confine su questo lato. Questo nuovo muro, che corre tangente ai corpi rustici esistenti lungo il lato ovest ripetendone il profilo e che si distingue vistosamente dagli altri lati del perimetro per la composizione delle sue parti, per le dimensioni e i rapporti delle aperture, per i materiali impiegati, per i tagli, le pezzature e per le immorsature di questi nelle strutture murarie esistenti ecc., svolge in realtà un compito molto importante nel nuovo sistema compositivo dell'edificio e si propone come fronte principale della nuova costruzione.
Del resto, già la presenza stessa del giardino esterno ha spostato in parte, per così dire, l'interesse dell’edificio su questo lato del perimetro. Che, se prima era stato il lato "secondario", quello in cui si erano progressivamente raccolti gli elementi accessori e più provvisori del complesso rurale (gli annessi da "bassa corte"), nel progetto viene ora assunto come punto di partenza per l'ordinamento gerarchico e distributivo dei diversi elementi funzionali della nuova sede consortile. L'accentuazione architettonica di questo lato determina, altresì, in simmetria con quello opposto formato dal blocco monumentale del convento, una sorta di nuovo equilibrio, destinato a ristabilire la centralità stessa della corte interna rispetto ai corpi edilizi diversi che la circondano. Anche l'ingresso al nuovo complesso edilizio è previsto da questo lato. Senza interferire nel sistema dei vecchi tracciati campestri, la nuova via di accesso andrà ad aggiungersi con i segnali propri del percorso privilegiato.
Nel progetto, la vecchia strada che corre parallela al corpo a nord, arrivata al cantonale ovest dell'edificio, s'interrompe là dove incontra il nuovo portale d'ingresso. Oltre questo portale ha inizio la sede del Parco dei Colli. Il nuovo portale si apre sul paesaggio: si apre sul pendio coltivato, sulle fasce irregolari dei boschi, sulla linea continua dei colli che tagliano l'orizzonte. Ciò vuoi dire che, nel progetto, l'ingresso alla sede del Parco dei Colli è prima di tutto l'ingresso al parco stesso. E l'edificio, il nuovo edificio consortile che viene a trovarsi alle spalle di chi ha appena superato il portale, sarà anch'esso rivolto verso il parco con il suo fronte principale1.
Quest'ultimo, come si è detto, segue fedelmente il profilo dei corpi rustici esistenti, accentuandone i distacchi e le emergenze, evidenziandone cioè la ragione pratica nel nuovo disegno unitario. In continuità con il portale e preceduto dal basso volume regolare del giardino esterno che emerge appena dal pendio, il nuovo fronte dell'edificio presenta, in successione e ricomposti in un unico disegno, la testata del corpo rustico a nord, la corte di ingresso principale, corrispondente allo stacco che già esiste fra i due corpi rustici su questo lato, il blocco della sala consiliare con il loggiato aperto; e poi, più avanti, dove termina il rilevato del giardino, a una quota più bassa, il portale dell’ingresso carraio e la testata del piccolo corpo dei servizi tecnici del parco, addossato al muro a sud.
Il tutto tenuto insieme, letteralmente, dal disegno di quella didascalica, "analitica" facciata di cui si è detto, nobilitata dall'evidente ricerca di regolarità e unità compositiva che manifesta e dai materiali, dall'uso della pietra in conci o dello stucco. Una facciata costruita, letteralmente montata, come il frammento o il primo abbozzo di un altro edificio sorto in aderenza al vecchio e di cui non sfugge certo l'intenzione celebrativa legata alla nuova destinazione. Come la parte di un edificio, volutamente incompiuto, almeno nel suo apparato decorativo e aulico, contraddittoriamente incompiuto in quanto la soluzione volumetrica finale lo vede razionalizzare e completare proprio quel complesso edilizio da cui formalmente si distacca; e tuttavia sufficientemente integro nella sua proposta formale, nelle parti in opera di questa, da esprimere per intero il suo ruolo eminentemente evocativo e la sua volontà di recupero di un più felice momento storico per l'edificio, cioè a dire la sua volontà (o ambizione) di riscatto sul piano dell’architettura.
La variazione di destinazione d'uso del complesso edilizio influisce in modo decisivo anche sulla figura della corte interna. Anche se qui la trasformazione è indotta soprattutto dalla necessità pratica di razionalizzare la distribuzione fra i diversi corpi edilizi.
Una corte, quella esistente, che evidenzia la sua ragion d'essere come spazio libero all'aperto, come spazio vuoto destinato al lavoro, proprio nell'accidentalità, nella incurante irregolarità degli elementi costitutivi dei fronti che vi prospettano; ad eccezione del lato est, lungo il quale si sviluppa il profondo loggiato in pietra dell'antico monastero. E che contrasta, per questa sua totale vocazione pratica, con l'innegabile fascino delle visuali aperte, dei tagli d'orizzonte che lo scalare dei corpi edilizi verso sud consente in questa di-rezione, ritagliando una singolare quanto sapiente porzione di paesaggio: una condizione, quest’ultima, certamente da preservare.
La necessità di distribuire sia in orizzontale che in verticale gli stretti corpi semplici degli edifici rustici che circondano la corte, utilizzati attualmente solo in parte e, nel progetto, destinati a uffici, sale di rappresentanza e riunione, per esposizioni e convegni ecc., ha avuto come soluzione quasi obbligata la costruzione di un percorso esterno perimetrale che collegasse fra loro i principali elementi funzionali. Nel progetto, questo si è realizzato anteponendo al fronte interno attuale una struttura muraria aperta a sostegno e delimitazione di tale percorso. Si è previsto un secondo fronte interno a loggiato aperto che corre lungo tutto il perimetro interessato dall'intervento di trasformazione funzionale. Questo loggiato assume nel progetto una sua innegabile autonomia. E questo avviene anche se, nel ripetere tecniche costruttive, materiali, rapporti dimensionali ecc. dell'edificio esistente, esso si mostra con una figura complessiva molto vicina al mondo di forme a cui si sovrappone. Questo avviene anche se, per la sua stessa trasparenza, non impedisce in alcun modo la lettura dei fronti attuali e anche se, presentando un'altezza di un piano inferiore rispetto a questi ultimi, consente di leggere perfettamente la successione dei corpi e le diverse altezze degli edifici che stanno dietro.
Del resto, la stessa struttura muraria in mattoni a vista del loggiato e anche la breve e sottile copertura che la conclude suggeriscono qui una sorta di soluzione occasionale, temporanea, di cui risalta la ragione squisitamente pratica, piuttosto che una soluzione alternativa di facciata, fatta per abbellire e per durare.
Malgrado ciò, il nuovo loggiato disegna innegabilmente una seconda corte. Una corte più regolare e unitaria, anche se evidentemente "rustica" (specie se rapportata alla soluzione architettonica del fronte ovest). Una corte di cui il progetto ci presenta un frammento, solo quello necessario al buon uso dell'edificio. Una corte che diventa, infine, la ragione, o il pretesto, per il ridisegno della quota zero della corte stessa e che, nell'evidenziare una parte in piano e lastricata dalla restante che conserva invece il pendio naturale del terreno, assume un ruolo importante nel recupero, quantomeno visivo, del perimetro originario del complesso rurale.
Per il resto, anche qui come nel caso della risoluzione architettonica del fronte ovest, c'è in evidenza una sorta di disegno virtuale di corte. Il disegno di un'altra corte rustica, che non cancella o si sovrappone a quella esistente, di cui risalta soprattutto il ruolo evocativo, ma anche, contenuta, la volontà di riqualificazione formale, o quantomeno la volontà di mostrare tale possibilità nella parte compiuta di essa. Quindi, anche qui, una possibile soluzione formale, dettata da una pura esigenza funzionale, che non accondiscende a risposte mimetiche, che non accetta cioè di far passare per simulacri fermati artificiosamente nel tempo dei manufatti che hanno invece come caratteristica proprio l'adattabilità, la provvisorietà, il fatto di essere anzitutto delle strutture disponibili a essere usate oppure trasformate, com'è il caso di questi corpi rustici. Così come c'insegna gran parte dell'architettura rurale della storia e così come dimostrano nel nostro caso, ad esempio, quei "pittoreschi" frammenti di distribuzione, gli stretti ballatoi e le scale in legno appesi esternamente, che sono serviti fin qui alla parziale utilizzazione dei corpi rustici.
1Un'analoga soluzione planimetrica, evidentemente dettata dalle condizioni del sito e dalla disposizione sul suolo della struttura edilizia più antica, ma poi riportata dalla maestria del suo autore a una soluzione architettonica incredibilmente limpida ed efficace, la troviamo nella villa cinquecentesca di Fumane in Valpolicella. Attribuita di volta in volta a Sanmicheli, a Giulio Romano, a Bartolomeo Ridolfi o allo stesso Della Torre, la cui famiglia ne fu proprietaria alle origini, questo straordinario esempio di "casa di villa" nella campagna veronese è stato un punto di riferimento e di studio pressoché fisso del presente progetto.