Restoration of the Mosaic hall of Castelvecchio museum
Il progetto di Filippo Bricolo (Bricolo Falsarella Associati) per il Museo di Castelvecchio riguarda il recupero della parte centrale dell’Ala Est lasciata incompiuta da Carlo Scarpa nel suo magistrale restauro del 1964. Fulcro dell’intervento è la nuova Sala del Mosaico disegnata per ospitare un grande frammento di una pavimentazione romana proveniente da una domus del II secolo d.C. rinvenuta nella piazzetta posta sul lato est del castello, tra l’antica Via Postumia e l’Adige.
L’accesso
La nuova sala espositiva è collegata al cortile principale del castello attraverso un alto spazio di accesso che funge da ingresso anche a Sala Boggian, ovvero uno spazio per mostre e conferenze posto al primo piano e raggiungibile attraverso un imponente scalone.
Un grande e sottilissimo pannello in ferro risolve la doppia natura dell’androne determinando un necessario filtro verso la nuova Sala del Mosaico e indicando, allo stesso tempo, il percorso che conduce alla sala posta al piano superiore.
Il pannello sembra sfiorare il pavimento ed i gradini della scala e reca, strategicamente, due incisioni orizzontali sui lati opposti suggerendo, così, le due diverse direzioni. Sopra le incisioni si trovano le scritte: “Sala Mosaico” e “Sala Boggian” realizzate rielaborando e realizzando in ferro le fonts ideate da Scarpa - ma mai realizzate - per l’ingresso della sala da concerti.
In secondo piano, rispetto al pannello, si trova un portale formato da quattro profonde lamiere in ferro nero spesse 10 mm. Due lamiere sono poste sui lati verticali, una è posata a pavimento ed un’altra è sospesa a formare un cielino.
Il portale ha il ruolo di determinare un piccolo rituale di accesso alla Sala del Mosaico, necessario per creare un gradiente emotivo tra l’androne di ingresso e lo spazio prettamente espositivo. Le lamiere sono state inserite nel grande varco esistente sfiorando le pareti laterali e ponendosi in posizione ribassata rispetto all’arco superiore.
A livello luministico, il portale sfrutta le caratteristiche di riflettanza del ferro nero per determinare un dialogo tra i due spazi. Stando nell’androne, il fianco visibile del portale riflette le calde luci della Sala del Mosaico specchiandole verso lo spazio di accesso.
Il ferro evidenzia il mutare delle luci nelle diverse ore del giorno fino al loro repentino scaldarsi con il sopraggiungere dell’imbrunire. Stando nella Sala del Mosaico, lo stesso fianco verticale specchia le luci ed i colori del cortile del Museo dentro la Sala del Mosaico. Il portale, in questo modo, si propone come una cerniera di riflessi.
Questa nuova soglia diventa un espediente narrativo che divide ma unisce, che anticipa ma rallenta, che distanzia ma invita al passaggio.
La sala del mosaico
Entrati nella nuova sala espositiva, il grande mosaico sembra levitare nella generosa spazialità esistente.
La sala è caratterizzata da alte pareti realizzate con mattoni. I mattoni sono stati lasciati volutamente a vista senza modificare e cancellare la patina del tempo. In questo modo si viene a determinare un dialogo tra le murature e l’antica matericità del pavimento romano.
In pianta, il mosaico è inserito diagonalmente nello spazio in modo da poter essere visto nella sua interezza dall’interno della Sala.
Questa collocazione consente, inoltre, di apprezzare la vista del mosaico anche dall’esterno del Castello.
Tale visione, infatti, è permessa dall’unico intervento realizzato da Scarpa in questi spazi: un sistema di porte composto da una grande vetrata ed una bussola in legno bruciato che collegano il Museo alla piazzetta dell’Arco dei Gavi (qui traslato nel 1932 dalla sua posizione originale nella vicina Via Postumia).
In questa piazzetta sono stati rinvenuti la domus romana ed il mosaico stesso. Attraverso questa connessione visiva e fisica, il progetto di Filippo Bricolo ridona senso all’intervento scarpiano ed innesca un fortissimo ed importante legame tra il luogo di rinvenimento del mosaico ed il luogo della sua custodia ed esposizione all’interno del Museo di Castelvecchio.
Al fine di evidenziare poeticamente la sua natura di frammento, il mosaico è stato esposto senza apporre nuove cornici al suo contorno. L’andamento irregolare dei bordi dialoga, così, con lo spazio della sala che è stato lasciato opportunamente in penombra. Questa scelta di natura evocativa sembra dare voce e presenza alle parti mancanti della pavimentazione non pervenute fino a noi.
A livello di sezione, il mosaico è esposto in maniera leggermente inclinata, quasi a leggio, per meglio porgersi verso l’osservatore ed evitare fraintendimenti in merito alla sua originaria posizione. Il reperto è fissato su di un telaio in ferro, disegnato e realizzato in officina a partire da un fotopiano di rilievo. Il telaio si ferma prima dei bordi sfrangiati ed è sostenuto da un cavalletto in ferro posto in posizione arretrata in modo da sorreggere il grande peso senza risultare visibile.
Questa collocazione offre una nuova interpretazione di quel dialogo tra supporto e opera di cui il Museo di Castelvecchio è un notevole compendio. L’allestimento testa la possibilità della totale scomparsa dell’espositore ai fini di eliminare ogni contaminazione con l’opera, lasciandola dialogare solo con lo spazio architettonico in cui è ospitata.
L’allestimento è totalmente reversibile ed il mosaico, in futuro, potrà essere spostato. Dopo lo spostamento lo spazio si presenterà come se l’intervento di allestimento non fosse mai stato realizzato.
La sala di collegamento agli uffici
A fianco della Sala del Mosaico si trova una stanza di passaggio verso la zona degli uffici del Museo.
Prima dell’intervento, questo spazio, contrariamente all’androne ed alla Sala del Mosaico, si presentava privo di qualità. Al suo interno, infatti, era stata realizzata una zona bagni con intonaci non consoni al valore del luogo e pareti e cartongessi che non permettevano la visione dell’ampia spazialità verticale e del grande arco posto verso gli uffici.
Il progetto ha previsto la rimozione di tutte le superfetazioni e degli intonaci in modo da svelare l’architettura nascosta e le strutture murarie dello spazio. Le murature riportate in luce hanno permesso di ricostruire le complesse vicende legate alle stratificazioni di questi luoghi, evidenziando antichi segni di crolli ricuciti, demolizioni e ricostruzioni. Si è deciso di lasciare a vista queste complesse ed eterogenee stratificazioni murarie, ma di farlo in maniera mediata per evitare un eccessivo contrasto. Tutte le murature sono state prima consolidate e poi coperte da una sorta di velatura ottenuta reinterpretando l’antica tecnica della sagramatura mescolando, in precise dosi, sabbia vagliata, polvere di marmo (Giallo Mori), calce NHL 5, calce romana e grassello di calce. Questa finitura è stata ottenuta stendendo l’impasto con l’ausilio di una spugna e finendo la superficie con spazzole metalliche.
Lo spazio così liberato ha ridato dignità a questo percorso, valorizzando le potenzialità prima inespresse di questi spazi che sono utilizzati giornalmente dal personale del museo, dagli studiosi e dai collaboratori per spostarsi dalla parte nord alla parte sud del castello.
Sul lato verso la piazzetta è stata ricavata una zona bagni celata da una boiserie in pitch-pine bruciato, riproponendo i materiali utilizzati da Scarpa per realizzare la bussola oggi presente nella Sala del Mosaico.
La parete che definisce lo spazio dei bagni è molto più bassa del locale ed è stata tarata in modo da scivolare compositivamente sotto l’arco esistente.
L’arco prosegue all’interno formando uno spazio raccolto dove viene ricavata una zona per un suggestivo specchio circolare ed un lavandino basato sul principio della tracimazione.
Due maniglie, ottenute traslando verso l’alto un piatto di ferro alto come la parete in legno, costituiscono un segnale necessario ad identificare la posizione delle porte altrimenti non visibili.
Nel punto dove la maniglia scivola verso l’alto il pitch-pine non è stato bruciato, evidenziando il suo originale e tipico colore aranciato, come accade nella fascia centrale della bussola di Scarpa.
Un secondo lavandino, basato sullo stesso principio, è inserito all’interno della nicchia strombata di una finestra che da verso la piazzetta.
All’esterno dei bagni, in una nicchia rinvenuta in fase di lavori, è stato collocato un lavabo free-standing formato utilizzando conci massicci in pietra della Lessinia.
Ogni concio è alto come una fascia litica di scavo e la parte sommitale dell’ultimo concio presenta la tipica finitura a spacco di cava.
Le luci sopra il lavabo sono posizionate in modo da formare, in proiezione al centro del piano, la figura della vesica piscis, il simbolo di forma ogivale ricorrente nelle opere di Carlo Scarpa.
Il nuovo pavimento di questo spazio è stato realizzato in cemento, in modo da dichiarare in maniera evidente la sua non originalità. Il pavimento è stato realizzato con una finitura grezza appositamente studiata dallo Studio Bricolo Falsarella per dialogare con la forte matericità delle pareti dalle quali si stacca per effetto di un piatto metallico che forma una scura fessura.
Un portale di ferro nero con strombature guida verso gli uffici, raggiungibili attraverso una porta rivestita in lamiera nera.
Tema del progetto è il dialogo tra superfici opache o riflettenti.
I mattoni esistenti in alcuni casi sono affiancati a superfici in ferro.
In alcuni casi questi dialoghi materici sono a più voci: intonaci, murature a vista, superfici in ferro nero.
Le pareti in mattoni e pietra raccontano la storia dell'edificio mentre le superfici riflettenti inseriscono nel progetto i temi del movimento, del passaggio, le ombre dei visitatori.
Verso il cortile realizzato da Carlo Scarpa il nuovo portale si annuncia pacatamente.
Entrando nell'androne d'ingresso si forma un dialogo tra il nuovo portale ed i serramenti di Scarpa posti ai lati opposti degli spazi.
L'incisione nella grande lamiera dialoga con lo spioncino inserito da Scarpa nella sua bussola posta verso la piazzetta ove si trova l'Arco dei Gavi.
Le diverse finiture del ferro determinano dialoghi anche tra le nuove superfici.
Progetto e Direzione Lavori:
Filippo Bricolo - Studio Bricolo Falsarella Associati
(collaboratori: Francesca Falsarella, Simone Sala, Elisa Bettinazzi, Giacomo Scabbio)
Responsabile del Procedimento – Comune di Verona: Sergio Menon
Collaboratore al RUP – Comune di Verona: Viviana Tagetto
Direzione Musei d'Arte e Monumenti: Paola Marini, Margherita Bolla
Sezione Manutenzione e Allestimenti Musei d'Arte e Monumenti: Alba Di Lieto, Ketty Bertolaso, Fabio Guardini
FASE DI ESECUZIONE:
Dirigente Coordinamento Direzione Musei Monumenti: Margherita Bolla
Coordinatore della sicurezza: Andrea Malesani
Consulenza strutturale: Maurizio Cossato
Opere di allestimento - fabbro: Avesani Assistenza di Avesani Stefano
Restauro e allestimento del mosaico: Lares - Lavori di restauro
Opere edili: Bernabè e Ballarin
Opere da idraulico: Franco Vassanelli
Opere impiantistiche: Termosanitaria Pasinato
Lavandini in pietra: Guardini Pietre
Didascalie: Ketty Bertolaso, Margherita Bolla, Studio Bricolo Falsarella Associati
Il mosaico è concesso in deposito dalla competente Soprintendenza
Si ringraziano i Soprintendenti: Fabrizio Magani e Simonetta Bonomi e il funzionario archeologo Brunella Bruno.