EXPO DOPO EXPO_La cittadella
L’intervento concentra una stratificazione di attività e funzioni risolta all’interno di un edificio che contiene la complessità di un’intera città. Una nuova grammatica in cui il lavoro, l’abitare, la dimensione collettiva, la natura dialettica della città e delle sue parti sono sintetizzate in una forma, un’isola nel mare della dimensione metropolitana dell’Hinterland milanese.
Un elemento, due ipotesi: un punto, una linea. Lo spazio nasce dalla combinazione di un elemento tettonico di base che dà origine al sistema compositivo. La declinazione del modulo intorno a un centro o lungo una linea costruisce le differenze dell’impianto, individua una chiara gerarchia di parti non definite da un’immagine funzionale ma da un principio insediativo.
"La stanza è l'inizio dell'architettura. Il progetto è una società di stanze, è un luogo bello per vivere, lavorare, imparare." L. Kahn, 1973
L’Area EXPO come occasione per una strategia di riordino territoriale
Nell’area metropolitana lombarda, la più grande del Paese, l’eccessivo consumo di suolo si accompagna al proliferare delle dismissioni produttive (nel 2010 sono state censite 179 aree dismesse solo nelle province di Milano e Monza-Brianza. L’area EXPO si trova a 5 km dall’Alfa di Arese -150 ha-, a 8 km dalla SNIA di Varedo -80 ha- e a 10 km dalle aree Falk di Sesto S.Giovanni -115 ha-). In tale problematico contesto territoriale l’area EXPO presenta elementi peculiari che ne fanno una risorsa unica per posizione, servizi, reti infrastrutturali e qualità delle risorse naturali.
La proprietà pubblica dell’area e le dimensioni dell’intervento consentono di sperimentare una politica sistematica di riordino territoriale con modalità sinora tentate solo in alcune grandi città europee; un processo di concentrazione insediativa basato sul trasferimento di quantità edificate, alla scala dell’area vasta e sotto il governo della Regione Lombardia.
Individuati i complessi dismessi che interferiscono con la continuità della rete ecologica, si propone il loro trasferimento insediativo all’interno di grandi comparti, tra cui anche quello di EXPO (o altri, quali Varedo, Arese, Sesto), incentivati dall’incremento di valore immobiliare ottenibile con la concentrazione.
Le aree liberate sono destinate a programmi di riconnessione della rete ecologica e assegnate ai comuni per la rigenerazione urbana, con il vincolo di un bilancio a zero consumo di suolo. Per questo motivo, la proposta, più che essere un progetto di architettura, tende ad identificare un paradigma insediativo ad elevata concentrazione edilizia, ripetibile anche in altri contesti.
L’originale connubio fra ricerca universitaria, ricerca industriale e funzioni di incubatore d’impresa, e le dimensioni fisiche e finanziarie che l’intervento assumerà, prefigurano una drastica ricomposizione del sistema della governance. Da qui l’idea di concentrare la grande quantità di SUL prevista in un unico articolato organismo edilizio che, senza un forte coordinamento di livello nazionale, non sarebbe proponibile e che, per questo, evidenzia gli elementi logici di fattibilità fin nella sua proposizione fisico-funzionale. Nell’organizzazione di EXPO il Decumano rappresentò il sistema federativo delle centinaia di interventi proposti dagli espositori. Il progetto ribalta tale approccio: una soluzione fortemente unitaria che irradia le sue capacità trasformative dalla dimensione edilizia alla scala territoriale.
Concentrazione insediativa e diffusione delle qualità
L’aria della città rendeva liberi perché le mura proteggevano la libertà degli scambi da aggressioni esterne e le regole del diritto davano certezze alle relazioni all’interno. Oggi l’immagine della dispersione insediativa rappresenta plasticamente la pervasività dello scambio fisico e la sua tendenziale insubordinazione alla regolazione spaziale. La cittadella della ricerca, dell’innovazione e dell’economia della conoscenza, con la virtualizzazione di gran parte degli scambi, non necessita di dispersione; piuttosto ricerca la sostenibilità e si offre per politiche di rigenerazione insediativa e di riduzione della bulimia edilizia, fonte di inefficienza economica e di insostenibilità ambientale.
Il trasferimento di gran parte dell’Università da Città Studi alleggerirebbe la pressione dei flussi su Milano, contribuendo a ridurre l’ormai insostenibile livello di inquinamento. Lo sviluppo del nuovo polo universitario e degli altri centri di ricomposizione insediativa incrementerebbe la struttura multipolare del sistema metropolitano, aumentando la domanda di mobilità nel nuovo sistema policentrico. In questa prospettiva, è necessario passare dalla vecchia logica radiale ad un nuovo principio di organizzazione della mobilità, che colleghi direttamente i centri, i nodi funzionali e le interfacce logistiche attraverso mezzi di trasporto impostati come passanti, piuttosto che secondo schemi di origine-destinazione.
Nonostante siano ancora rintracciabili nell’hinterland milanese le matrici formative del territorio (i rapporti tra suolo, idrografia, agricoltura, centuriazione romana e sistema dei centri storici della pianura), la continuità dei sistemi ambientali appare oggi compromessa.
Per tali ragioni il progetto propone di restituire il funzionamento ecosistemico di un ‘paesaggio culturale’ a partire da un’idea di territorio come complesso integrato tra valori naturali e antropici.
Occorre quindi ripensare la rete ecologica in termini progettuali, a partire dal riconoscimento della ricca potenzialità del sistema idrico.
Il raggiungimento di tale obiettivo è reso possibile da due principali strategie d’intervento:
- ricostituire la continuità dei corridoi ambientali, tramite l’espansione delle aree core ed un drastico incremento degli elementi di riconnessione (stepping stones, aree complementari);
- riattivare il sistema di irregimentazione delle acque finalizzato al riequilibrio ambientale, agricolo e naturale.
L’impianto
La scelta di concentrare l’intervento in un unico sistema insediativo nasce dal tentativo di riconoscere e reinterpretare la matrice fondativa e il carattere storico delle strutture insediative determinanti l’identità paesistica dell’hinterland milanese: una cittadella immaginata, analogamente ai borghi storici, come un nucleo densamente organizzato, isolato e concluso, tra pioppete e boschi, cardine di un telaio di vasta scala, strutturato sul sistema cardo-decumanico preesistente.
Un paesaggio costituito da fitti filari di pioppi alternati a specchi d’acqua e fontanili che, con assetto geometrico, incontra il bosco rigenerato in continuità con gli ultimi residui di selva dispersi nell’intorno.
Un nuovo sistema la viabilità.
Il sistema del trasporto pubblico su ferro prevede , in prossimità dell’area d’intervento, due fermate: Rho-Fiera, già presente a nord (linea metropolitana e linee regionali) e Stephenson, di previsione a sud, distanti tra di loro circa 2 km. Tale condizione pone delle difficoltà per l’accesso pedonale al nuovo complesso, risolte con la realizzazione di un sistema di mobilità leggero e locale su rotaia (people mover), che risulta la più opportuna tra le tecnologie disponibili, considerata la distanza da coprire tra i diversi punti di accesso. La nuova rotaia correrà parallelamente alla linea ferroviaria esistente prevedendo tre fermate: una in coincidenza con l’area Stephenson, una in corrispondenza con il sistema di accesso primario all’edificio e infine, riutiulizzando l’attuale accesso pedonale all’area Expo, una in adiacenza con il centro fieristico.
Il sistema della viabilità carrabile interna all’area recupera l’anello perimetrale preesistente. Il nuovo assetto prevede, inoltre, un’articolazione a velocità controllata della viabilità di servizio, funzionale all’accessibilità del complesso e alle strutture ricettive preesistenti e di progetto distribuite nel parco (Cascina Triulza, Padiglione Zero, attrezzature sportive, ecc.).
L’accesso principale avviene attraverso una nuova rotatoria posta sul margine nord-est dell’area, in contrappunto all’Albero della Vita, permettendo l’accesso al sistema dei parcheggi interrati posti in corrispondenza del sedime del nuovo complesso.
Campus: un nuovo paradigma insediativo
Le superfici necessarie per la realizzazione del nuovo Campus sono concentrate in un edificio composto da una struttura orizzontale di collegamento a piastra e un sistema in elevazione.
Si tratta di una scelta insediativa solo apparentemente autonoma e assiomatica. Come già descritto nei capitoli precedenti l’edificio è concepito come un frammento di un sistema discontinuo, ma allo stesso tempo fortemente legato alla struttura delle trame territoriali e come rappresentazione di una scelta politica, una scelta che si articola su un doppio registro: da un lato pone il problema del consumo di suolo, dall’altro cerca un nuovo significato della rappresentazione del lavoro, della produzione immateriale e della ricerca, accettando l’instabilità di un programma legato a funzioni in continua trasformazione.
La scelta quindi è quella di una cittadella, una stratificazione di attività e funzioni in un edificio che contiene al suo interno la complessità di un’intera città sintetizzandole in una forma che vuole esprimere il rapporto tra spazi di produzione materiale e immateriale, che tiene insieme il tempo del lavoro e il tempo libero in una relazione porosa dei tempi di elaborazione, produzione e svago. Una nuova grammatica in cui il lavoro, l’abitare, la dimensione collettiva, la natura dialettica della città e delle sue parti sono sintetizzate in una struttura concentrata, nell’oceano metropolitano dell’hinterland milanese.
La giacitura del progetto rilegge gli edifici esistenti nell’area - di cui si richiede di mantenere le volumetrie edificate- come tracce di un suolo archeologico, accostandosi o sovrapponendosi e reinterpretandone il ruolo in una nuova scala; Palazzo Italia e l’Albero della Vita diventano parte di un elemento di piazza alla scala del nuovo edificio in un insieme di basamento e specchi d’acqua che tengono insieme i diversi elementi della composizione mediando tra le scale.
Nelle due proposte presentate la strategia insediativa generale è comune ma si declina per differenza nel rapporto tra edifici, spazio e paesaggio. L’approccio dunque risulta duplice:
- il primo è il modello della cittadella concentrata, del sistema che si costruisce per addizione intorno a uno spazio centrale e si invera nell’interno, nello spazio cavo;
- il secondo nasce sull’idea della misurazione e sulla sequenzialità di una sezione che si ripete in un campo spaziale definito.
Due progetti, una campata tipo
Il sistema che dà origine a entrambe le ipotesi nasce dalla combinazione di una cellula spaziale minima organizzata su un principio tettonico: un modulo quadrato di lato 21 mt suddiviso in una parte portante, contenente i servizi, e in una parte portata in cui si collocano attività lavorative e di ricerca-studio. La combinazione dell’elemento modulare di base dà origine a un sistema compositivo che permette di definire i diversi spazi: aule, spazi studio, uffici, spazi di ricerca. La campata è la stessa nella piastra come negli edifici in elevazione.
La ricchezza degli spazi è ottenuta dalla combinazione del modulo tettonico che, a partire dalla pianta del singolo elemento, costruisce le differenze dell’impianto dei due progetti, individua una chiara gerarchia di parti riconoscibili ma non funzionalmente bloccate, non definite da un’immagine funzionale, quanto da un principio insediativo originario.
Le scelte derivano quindi dalle possibili declinazioni di una logica additiva di un’entità individuale, un elemento base, che unisce in sé logica tipologica e sistema costruttivo, un montaggio di parti che dà origine a un insieme, attraverso la modificazione dei rapporti tra elementi base. Tali elementi definiscono nella composizione i loro rapporti conformando, nelle torri, nei ponti e nelle lame, spazi diversi ordinati in una chiara sequenza gerarchica. Anche la piastra, luogo per eccellenza del principio non compositivo, assume un carattere diverso nelle due proposte progettuali, per stabilire, attraverso l’utilizzo della campata base, un sistema di gerarchie di spazi riconoscibili, caratterizzato dalla relazione tra percorsi e spazi dello stare. Da questo principio hanno origine le due ipotesi:
Lo spazio centrale, intorno a un punto
Il progetto sviluppa il modulo base secondo una logica aggregativa che individua nello spazio centrale il suo elemento di riferimento primario. L’edificio in questo modo si pone come segnale alla scala del territorio. Le variazioni dell’aggregazione degli elementi di base definiscono una sequenza di spazi interni che dal piano terra, al di sotto dei tagli nel basamento, conducono ai luoghi significanti dell’istituzione. In questo caso il quadrato di base è assunto quale figura non direzionata da cui prendono forma gli spazi interni del sistema: la grande hall, la biblioteca, la piazza sopraelevata. Le torri si combinano ai vari livelli disegnando spazialità diverse che costituiscono un ordine gerarchico all’interno dell’intero complesso.
Dal punto di vista funzionale il progetto è suddiviso negli spazi del tecnopolo all’interno del sistema basamentale e della piattaforma.
Gli spazi di connessione tra la piastra e le parti in elevazione sono dedicate ai luoghi collettivi, rappresentano il cuore dell’edificio. I diversi corpi si compongono a formare spazi di diversa natura, caratterizzati da diversi gradi di luminosità e rapporto esterno - interno.
La sequenza, lungo una linea
L’ipotesi interpreta nello spazio il tema della sequenza come principio insediativo archetipico. Come nel caso della precedente ipotesi qui il principio insediativo deriva dall’incontro della scala territoriale, dell’idea di misurazione dello spazio e dall’uso della campata come elemento di base, tettonico, che costruisce gli edifici. Attraverso una leggera accentuazione delle distanze tra i corpi di fabbrica l’insieme delle torri perde la centralità di uno spazio centrale e origina una sequenza di elementi che si ripetono lungo l’asse longitudinale della piastra. Un doppio sistema di lame chiude la sequenza all’interno della misura trasversale dell’area.
Il sistema della campata viene in questo caso specchiato intorno alla struttura portante generando un elemento direzionato da cui ha origine lo spazio lineare delle sequenze.
Ai dipartimenti universitari si accede dal piano di copertura della piastra. Tale piano di copertura è pensato come uno spazio pubblico che ha lungo i suoi margini le principali funzioni comuni: la mensa, le sale sportive e le palestre, la biblioteca.
Dallo spazio pubblico si può scendere alla Hall comune che unisce gli uffici del tecnopolo e gli spazi dell’Università o, tramite un sistema di passerelle, si accede direttamente ai ponti in cui sono collocate le aule più grandi dei diversi dipartimenti universitari.