Cimitero di Budoia
Pensare al cimitero di Budoia è stata un’operazione concreta e allo stesso tempo fortemente emotiva. Parte della storia vissuta del paese, nelle persone lì sepolte, trova alloggio in questo nuovo cimitero.
Abbiamo pensato ad un intervento nel paesaggio, con il muro di cinta che apre scorci verso le montagne.
Le sepolture, grezzi blocchi monolitici, conservano le preziose spoglie delle persone, un tempo parte di quello stesso paesaggio.
La soluzione progettata evita l’accoppiamento dei blocchi di loculi e permette che le lapidi siano isolate da grandi aree di materia grezza.
Per contrasto le lapidi che porteranno i nomi e le foto sono studiate per essere oggetti preziosi e raffinati: sottolineano così l’alto valore attribuito al luogo della sepoltura e non accettano la tipologia del loculo, evocando invece quella del sepolcro.
Il cimitero non è mai per noi la scatola dove sono alloggiati i defunti, ma piuttosto il luogo dove alloggia la memoria dei defunti, il luogo della comunicazione con la memoria, della preghiera e dei pensieri, il posto dove i vivi rivivono nel ricordo i rapporti affettivi trascorsi
E’ stata realizzata solo una parte del progetto generale e forse per mancanza di fiducia nelle nostre capacità progettuali, o per altri motivi, una scelta politica illuminata ha affidato ad altri più meritevoli il completamento del cimitero.
I materiali che dovevano essere utilizzati erano essenzialmente due (ma adesso sono almeno 7 come i nani, si attende Biancaneve) e vivevano del confronto e della reciproca contrapposizione: cemento lavato, che mostra la sua composizione granulometrica, in contrasto con la lapide di ottone lucida e con la nicchia liscia e dorata che fa da imbotto alla lapide stessa.
Il muro di cinta era il fulcro del rapporto con l’esterno: alto solamente un metro verso l’interno del cimitero avrebbe dovuto permettere la percezione del paesaggio prealpino verso ovest.
Questo non è stato capito oppure non è stato preso in considerazione nel proseguio della progettazione.
Dall’esterno, invece, il muro riprendeva - e riprende - le altezze indicate dalla normativa. Tramite l’uso del sasso nel rivestimento veniva reso evidente il dislivello interno originario, che attualmente non esiste più: il sasso, una volta raggiunta l’altezza dello scomparso terrapieno interno, si trasforma in cemento slavato.
È certamente un intervento di modesta entità che, nonostante le irrispettose mutilazioni, mantiene per noi una forte carica emotiva.