Progetto Spaziviolenti. AREA COLLOQUI E AREA RELAX DEL PERSONALE DEL CARCERE di Torino
Primo Premio Riuso 05 Rigenerazione Urbana Sostenibile. Sezione Università, Enti, Fondazioni e Associazioni.
Il carcere si configura come ambito di marginalità sociale, dove non esistono spazi a misura d’uomo, né per i detenuti né per chiunque quotidianamente ci lavora, dove le barriere sono nette e tutti i comportamenti previsti. Progettare spazi ambigui, i cui margini sfumano, consente la realizzazione di ambienti più umani e il processo di autodeterminazione dello spazio stimola abilità concrete, genera attenzione e cura per quanto si è collaborato a creare, e rappresenta un elemento da sviluppare per ottenere un seppur minimo miglioramento della vita interna.
La riqualificazione e la realizzazione di un’area colloqui all’aperto destinata ai detenuti con i familiari e di un’area per il tempo libero del personale penitenziario della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, rappresenta il primo intervento pilota del progetto Spaziviolenti, nato nell’ottobre 2014 da un’idea congiunta del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino e del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino.
Un gruppo composto da circa 30 studenti ed ex studenti afferenti ai due dipartimenti, per più di un anno ha lavorato in concertazione con l’amministrazione penitenziaria e i detenuti, al fine di soddisfare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti nella riqualificazione delle due aree.
Il principale obiettivo dell’intervento è stato quello di garantire un uso dello spazio vario e di libera interpretazione da parte delle persone che lo avrebbero utilizzato.
Area colloqui all’aperto
Il nuovo spazio per i colloqui si colloca in un’area di circa 1000 mq. L’intenzione è stata quella di definire uno spazio accogliente e flessibile, al fine di rendere meno impersonale il delicato momento di incontro tra i detenuti e i propri figli e in generale con le proprie famiglie.
Obiettivo del progetto è stato garantire innanzitutto la privacy tra le varie postazioni, pur assicurando la funzione di controllo da parte del personale di sorveglianza.
Ogni postazione è diversa dall’altra e dotata di sedute e tavoli modulari disposti con differenti schemi aggregativi. I giochi per i bambini si inseriscono in maniera diffusa tra le postazioni. Il 70% dei materiali utilizzati sono stati recuperati all’interno della struttura carceraria.
Ciascuna postazione è ombreggiata mediante tendaggi movibili sui quali sono state stampate serigrafie, realizzate dall’artista Fulvio Luparia che ha lavorato con l’Associazione Sapereplurale insieme ad un gruppo di detenute.
Area delle tartarughe
L’area è destinata al personale penitenziario e si estende per circa 700 mq. L’obiettivo che ci si è posti è stato quello di creare luoghi di condivisione, nei quali si percepisse il valore dell’accoglienza, contro quello dell’estraneità e dell’esclusione, dominanti nella dimensione della reclusione.
Gli interventi si sono concentrati su tre differenti spazi funzionali. Una zona per la cosiddetta sosta breve prossima al bar del penitenziario, un’altra occupata da una pedana multiuso in legno che si sviluppa su livelli diversi, e infine uno spazio ristoro nei pressi del forno e del grill esistenti, in cui sono stati collocati tavoli e sedute per consentire il consumo dei pasti all’aperto.
Tutte le zone di sosta sono ombreggiate con tendaggi movibili.
L’utilizzo prevalentemente del legno risponde all’esigenza di modificare la percezione da luogo impersonale, a luogo inclusivo e accogliente.
Il progetto è stato un percorso generativo che, coinvolgendo mediante l’autocostruzione studenti, neolaureati, detenuti e personale di sorveglianza, ha permesso a tutti di acquisire nuove competenze, scambiare saperi ed abilità, rispondere efficacemente alle reali esigenze d’uso, manutenzione e gestione degli spazi. Se chiunque è in grado di costruire qualcosa - quando viene messo nelle condizioni per farlo - si propone un agire che responsabilizzi coloro che quotidianamente abitano quell’ambiente.
Vi è dunque l’intento di praticare un’architettura come narrazione, che accompagni lo sviluppo di pratiche adeguate per la riqualificazione, che in definitiva introduca la cultura dello spazio all’interno del carcere.
Considerando che in contesti di maggiore scarsità vi è una maggiore domanda di progetto, questo agire progettuale si pone come risposta alla marginalizzazione dell’architettura e degli architetti, oltre che degli spazi, mettendo al centro la dimensione politica del progetto, come capacità di risolvere collettivamente problemi, costituendo strumento di ridistribuzione di diritti e risorse.