Phanesthai | Osservatorio fotografico di Paesologia
il 23 novembre 1980 l'ennesima forte scossa dei terremoto determina il definitivo abbandono di Romagnano al monte. Il paese verrà interamente ricostruito più a valle. Dal 2010 la nuova ammistazione, acquisita la proprietà dei ruderi, inizia una serie di opere edili in attrito con l'identià e la salvaguardia della memoria dei luoghi.
Il progetto è un osservatorio paesologico sul paese abbandonato. Un luogo privilegiato nel quale apprendere e soprattutto fermarsi a comprendere la meravigliosa metamorfosi di un paesaggio antropico che ritorna natura, prima che soccomba definitivamente sotto le macerie della modernità.
“Phaínestai è la parola con la quale la filosofia greca indica l’apparire. “Pensiero”, “conoscenza”, “consapevolezza”, “esperienza”. Indica la totalità di ciò che appare, affermata in base alle ragioni adottate via via dalla filosofia (Husserl, Gentile, Heidegger, etc..) . E la ragione, il motivo per cui si afferma l’esistenza di tutto il contenuto che appare, è appunto l’apparire di tale contenuto. Appunto perché l’apparire da qualcosa è ciò per cui tale qualcosa viene affermato. Per questo, ciò che appare “deve” essere affermato, “ è necessario” che sia affermato e “non può essere negato”.
Il progetto ispirazione da una serie più ampia di riflessioni sul senso del passato e della rovina, sul valore dell’antichità inteso come culto del patrimonio contemporaneo, ormai globale, e la neonata “non-disciplina” della paesologia, teorizzata e poetata da Franco Arminio.
Focalizza, inolte, l’attenzione su un particolare patrimonio, per lo più ancora in potenza, costituito dai “paesi desolati e arresi dell’Italia interna”, sottolineando l’importanza del Racconto, sia esso architettonico, letterario o artistico, come fase fondamentale del processo conoscitivo, inteso come appropriazione e restituzione dei luoghi.
Il pretesto progettuale è il paese abbandonato di Romagnano al monte (SA), completamente disabitato dopo il terremoto del 23 novembre del 1980 e ricostruito più a valle.
Dal 2010 il nuovo comune ha acquisito la totalità dei ruderi del paese antico e iniziato una serie di interventi edilizi finanziati da fondi europei in attrito con l’identità e la salvaguardia della memoria e l’identità dei luoghi.
Due gli strumenti scelti: la fotografia, come strumento conoscitivo e l’architettura, come processo compositivo. Discipline notoriamente affini nel rapporto con la composizione, la luce e la misura.
Da un lato la pellicola, dimensione spaziale entro cui organizzare il disordine del mondo.
Dall’altro la finestra, geometria semplice capace di racchiudere “la nostra vita immensa” e la necessità di pensare Architetture che sappiano invecchiare, non per lo spettacolo nostalgico che ne offrirebbero consumandosi ma per essere fondamento e sostegno all’architettura e al paesaggio di domani; interventi che non si limitino a ricopiare un’architettura storica, ma dialoghino con il territorio mediante un linguaggio consono al proprio tempo.
Quando si visita Romagnano vecchia, la prima tappa è il tetto di una abitazione in rovina, a ridosso della strada. Una piattaforma di cemento, piana, dalla quale ci si ferma a guardare il paese abbandonato che si rivela all’occhio come un’epifania man mano che ci si avvicina al bordo della spianata.
Vi è tuttavia un limite a tutto ciò, ossia la mancanza di una misura, di una cornice che attribuisca significato al panorama.
Da questa prima, embrionale, esperienza trae ispirazione la proposta progettuale.
Il progetto si articola sul concetto di Camera Oscura: una macchina, architettonica, dalla quale guardare il paesaggio e lasciarsi impressionare dalla quantità di tracce e segni che questo via via va arricchendosi.
In funzione di ciò diviene necessario effettuare una scrematura dell’informazioni iniziali: una sorta di “percorso preparatorio”, propedeutico all’esperienza propria del guardare.
Viene così a configurarsi “un’ incisione nella collina” attraverso la quale volutamente si cela la vista diretta del paese. La luce vene percepita solo indirettamente dall’alto, isolata nella sua singolarità. Al contrario, la vista del paese e di particolari porzioni di esso avviene puntuale e attraverso aperture misurate ed un apparecchio architettonico finale “una torre di avvistamento” che ne esalta i contenuti veicolando l’esperienza del guardare e quindi dell’appropriazione prima del luogo.
Potremmo sintetizzare la proposta in due macro sistemi: l’incisione e la torre; il “movimento” e la “stasi”.
Lungo l’incisione trovano collocazione due micro sistemi progettuali: da un lato, quello a monte, verso la strada vi è una piccola galleria fotografica, all’interno della quale avviene una sorta di “educazione all’immagine” attraverso il filtro sensibile di fotografi che nel tempo si sono cimentati nel rapporto col paesaggio e le comunità che lo abitano.
Dall’altro, sul lato più prossimo al paese, vi sono delle officine fotografiche: un struttura dedicata nella quale continuare la ricerca fotografica e l’impressione lenta della stratigrafia del paesaggio nel suo continuo divenire: rovina prima, natura geometrizzata poi.
Proseguendo lungo il percorso centrale troviamo, in continuità con la galleria fotografica, una biblioteca/fototeca, dove è possibile completare ed approfondire l’esperienza dell’apprendimento.
Elemento conclusivo del progetto è una torre. Ancestrale elemento di avvistamento, attraverso la quale è possibile condensare la “formazione” sviluppatasi e, finalmente, fermarsi a guardare il paesaggio:
il paese abbandonato attraverso una cornice in sei/dodicesimi, il paesaggio naturale per mezzo di un proiettore stenopeico al primo piano e, nella corte superiore, l’azzurro del cielo che, come diceva A. Rossi, resta tale quando tutto il resto cambia.