L’anello di Cupra
Icone della femminilità dalla preistoria a Rubens, da Van Gogh ai contemporanei.
Dal 31 luglio al 23 ottobre 2016 a Palazzo dei Priori, Fermo.
Il titolo della mostra, curata da Marcello Smarrelli, sottende un percorso denso di suggestioni, storie e immagini attraverso reperti archeologici, opere pittoriche, sculture e installazioni di grandi artisti italiani e internazionali, tra cui Jacobello del Fiore, Rubens, Hayez, Van Gogh, Segantini, Previati, Giacomelli, Beecroft. L’esposizione, oltre a un importante nucleo di opere in prestito dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano, attinge alle collezioni pubbliche e private di Fermo e del suo territorio, nell’ottica di valorizzazione del ricco patrimonio culturale delle Marche. Ne risulta una mostra concentrata e ricca di senso, un viaggio nella storia della rappresentazione della figura femminile, uno dei temi più cari all’arte di tutti i tempi, in cui le preziose opere della collezione permanente del Palazzo dei Priori entrano in un serrato dialogo con i capolavori provenienti dai vari prestiti.
La mostra prende spunto dalla dea Cupra, partendo dall’anellone a nodi, un unicum nel suo genere che spicca per importanza nelle collezioni fermane, ritrovamento archeologico associato alle donne picene. L’anellone con i suoi caratteristici nodi, di cui ancora oggi non si comprende a pieno l’uso e il significato, viene assunto a icona della femminilità e nella sua simbolica circolarità diventa il punto di partenza e l’immagine stessa del percorso espositivo. La dea Cupra, per caratteristiche e iconografia, precorre la nascita di Venere, ritenuta l’anello di congiunzione tra tutte le immagini di donne – a partire dalla dea sumera Inanna e dalla babilonese Ishtar - che, a sua volta, lascerà in eredità parte dei suoi attributi iconografici alla figura monoteista e cristiana della Vergine Maria.
Una vasta e consolidata bibliografia traccia il profilo di una dea-matrice, una Grande Madre o una Grande Dea che indenne attraversa il tempo e la storia di molti popoli, fino ad approdare alla concezione stessa di matriarcato di età moderna. Le teorie filologiche ed archeologiche più attuali confutano questo modello, riferendo dell’esistenza non di una, ma di numerose figure divine femminili all’interno dei pantheon antichi, ciascuna Grande e distinta dalle altre.
Per questo motivo in mostra troveremo affiancati “ritratti” e modelli di femminilità molto diversi tra loro, ognuno caratterizzato da un’idea di unicità e non convenzionalità, in una visione trasversale che abbraccia tutte le epoche fino ai giorni nostri: le Storie di Santa Lucia di Jacobello del Fiore, l’Adorazione dei Pastori di Peter Paul Rubens, La Maddalena Penitente di Francesco Hayez, Les bretonnes et le pardon de Pont Aven di Vincent Van Gogh, Le due madri di Giovanni Segantini, La quiete di Gaetano Previati, Ritratto a mia madre di Mario Giacomelli.
La mostra si caratterizza come un percorso nel mondo stratificato e multiforme della femminilità, procedendo per suggestioni e salti temporali con accostamenti inediti tra diverse figure: la dea progenitrice, la vergine, la santa, la prostituta, la profetessa, la regina, la femme fatale, l’eroina, la madre… Accanto alla visione storico-iconografica della donna, la mostra ne offre una più ampia e universale, legata all’idea della terra (Gea), rappresentata idealmente dal grande Mappamondo conservato nella Biblioteca di Fermo, realizzato dal cartografo Silvestro Amanzio Moroncelli nel 1713.
Anche l’allestimento rispecchia la visione circolare dell’anello: il cerchio diventa punto di vista formale e visivo di unione tra opere molte conosciute ed altre da scoprire. Un segno di infinito che racconta, sotto una nuova luce, storie intense ed emozioni grazie a un insolito e rivelatore punto di vista.
La mostra è arricchita da una pubblicazione con testi del curatore Marcello Smarrelli, della giornalista Alessandra Mammì, del docente universitario Lorenzo Braccesi, della curatrice e archeologa Raffaella Frascarelli. Un ricco apparato con descrizioni e immagini delle opere offre al visitatore gli strumenti per una lettura chiara e approfondita del progetto espositivo.
Lo spazio archetipico.
Il nucleo centrale della mostra è realizzato nella Sala dei Ritratti del Palazzo dei Priori attraverso un singolare allestimento progettato dallo studio di architettura stARTT. Il progetto lavora sulla suggestione dello spazio circolare quale allusione all’elemento archetipico dei ritrovamenti di Cupra. All’interno di questo recinto ideale le opere sono accostate per rimandi figurativi, emotivi o tematici, al fine di sottolineare l’idea curatoriale e quindi restituire l’immagine di una femminilità che attraversa la storia, con i suoi cambiamenti, le innovazioni, ma anche la tradizione e i pregiudizi.
La stanza nella stanza.
Attraverso un gioco di luci le immagini emblematiche delle donne sono idealmente sbirciate, spiate, ammirate dai ritratti dei “Viri illustres” che decorano la sala, in un suggestivo gioco di “sguardi” e rimandi tra opere, spazio scenico e contesto. Ciò allude al rapporto sempre nuovo, complesso, affascinante e terribile tra universo femminile (lo spazio scenico temporaneo) e universo maschile (lo spazio fisico di contesto). In questo senso la mostra si configura come un allestimento site-specific che vuole valorizzare lo spazio architettonico che la accoglie e il patrimonio della collezione degli uomini illustri della città di Fermo.
L’eco infinito.
La mostra è “immersa” all’interno dell’opera sonora Veni Echo dell’artista Matteo Nasini, realizzata appositamente per questa mostra. Nel percorso è coinvolta anche la Sala del Mappamondo, creando un nuovo circuito attraverso il museo e un’inedita chiave di lettura di questo spazio, così emblematico nel percorso museale e nella storia di Fermo.