La Fabbrica di Eraldo
L’idea guida dello progetto deriva da un’imprescindibile quanto perentoria valutazione del luogo: la mancanza nelle vicinanze di un edificio urbano di valore storico o artistico come interlocutore e riferimento ha condotto ad una architettura chiusa rispetto all’esterno che privilegia una sequenza interna di ambienti percorribile attorno a un nucleo centrale. Attraverso il rapporto con i due soli elementi di scala urbana (la piazza antistante e il canale) il manufatto guadagna risonanza e si aggancia in maniera calibrata con il sito, occupando un vuoto nella cortina edilizia del centro abitato.
L’edificio – a pianta quadrata e con alcuni volumi aggettanti di sagoma differente a ogni livello ad articolare la figura – è leggermente staccato rispetto al piano di campagna grazie ad un basamento arretrato e a due vuoti che sprofondano sul lato nord-ovest che lasciano penetrare la luce e consentono l’accesso al piano interrato.
Il piano terra si ritrae dal filo del corpo di fabbrica in corrispondenza delle vetrine, svuotando l’angolo e realizzando un portico a “L” – un passaggio urbano che, per contro, mette in diretto rapporto lo spazio pubblico della piazza con il corso d’acqua e tramite un ponte pedonale raggiunge la riva opposta.
Tale relazione è riaffermata al primo piano da una visuale che attraversa tutta la profondità del corpo edilizio, una sorta di canale ottico che approda a una terrazza e consente l’orientamento.
L’aspetto compatto e propriamente materico dell’edificio è dato dalle facciate rivestite in pietra basaltica disposta per fasce a correre a nascondere la struttura in cemento armato che si rivela alla vista solo varcata la soglia d’ingresso. Dall’interno, infatti, le vetrine sono chiuse da pannelli e l’unico rapporto con l’esterno è dato, a sorpresa, da un patio centrale – attorno al quale si avvolgono e snodano in un moto centrifugo gli spazi espositivi e commerciali – e da un giardino segreto, abbracciato dai muri di cinta.
La sovrapposizione di quattro parallelepipedi trova un cardine comune nel pozzo di luce che penetra nell’edificio e si espande al primo piano, sulla doppia altezza del livello inferiore, apparendo come un’erosione o una scheggiatura interna del volume monolitico.
L’ultimo livello svela invece un altro tipo di scavo, rovesciato, e quanto era delimitato e introverso ai livelli inferiori qui si schiude: terrazze e logge allungano gli spazi di un’abitazione in realtà raccolta al centro del volume, secondo un moto questa volta centripeto.