La sala polivalente sospende il tempo. Essa è una costruzione logica che riprende il sistema costruttivo del dolmen e lo reinterpreta in chiave logotecnica moderna attraverso l'uso del cemento armato. Il progettista procede per astrazione, la sintesi raggiunta nella costruzione rende la palestra un monolitico tempio. L'unità fra struttura e architettura libera lo spazio principale da qualsiasi impedimento; anche gli ingressi, per non rompere la continuità, si scavano nel terreno.
La testuggine romana di calcestruzzo alterna senza soluzione di continuità il pieno con il vuoto, facendo della costruzione un inflessibile recinto che divide in modo inequivocabile ciò che sta dentro da ciò che sta fuori. I due spazi sono agli antipodi. Il campo semantico che si vive dall'esterno è diffidente: è sublime attrazione verso qualcosa che spaventa. Il terreno che pian piano si eleva fino ad arrivare al basamento dell'architettura funge da podio vero e proprio; e subito il sentimento di assoluto si corrobora, inconsciamente.
Dentro completamente l'opposto. Il vuoto diventa padrone dello spazio e la luce che entra dai regolari risparmi dei muri, gioca il ruolo fondamentale di dare al progetto quel quid che trascende la corrispondenza forma-funzione, gli fa prendere vita. Il contrasto che sussiste tra la rigida artificiale geometrica forma del calcestruzzo con la morbida casualità irregolata della natura confersisce alla sala polivalente ciò che di non prevedibile esiste nella costruzione di una architetura. "Come tutte le arti, l'architettura può cercare di rappresentare il proprio tempo; in questo caso lo rincorre e si perde. Può cercare di anticipare il futuro; in questo caso si risolve nella presunzione e nell'arroganza. Può sfidare la propria finitudine cercando di essere al di là di ogni tempo; è questo il caso dell'opera di Livio Vacchini".