Il complesso del Fortilizio Guelfo è costituito dalla porta Degazia, dall’anteporta con ponte levatoio, dal palazzetto fortificato e ampliato sotto la dominazione fiorentina, dalla Torre Guelfa e dall’edificio laterale da cui partiva l’antico ponte a mare (“Pons Maris”).
Quest’ultimo fu costruito negli ultimissimi anni del XIII secolo e collegava la porta Degazia al bastione di Stampace che, posto in prossimità dell’imboccatura del canale dei Navicelli mediceo, arrivava fino a Livorno.
L’analisi storica non si può limitare al solo edificio del fortilizio ma si deve allargare a tutta la zona dato che in nessun periodo storico il suo destino è stato slegato dal contesto in cui si trova e con il quale anzi ha condiviso nei secoli mutamenti di destinazione e geometria e periodi di sviluppo alternati a lunghi periodi di abbandono.
La “Turris de Arno” risale al tempo della costruzione del terzo cerchio delle mura urbane (1155-61) sotto il consolato di Cocco Griffi, mentre la “Porta Degazia” per alcuni storici è posteriore (fine XII secolo).
All’inizio del 1200, in seguito alle numerose ed importanti vittorie riportate dalla flotta della Repubblica Pisana in tutto il Mediterraneo, si riunirono, in un unico ampio spazio di circa quattro ettari, le intense attività cantieristiche dove venivano varate le navi pisane. Inizia così la costruzione della Tersana e quindi dei tre lati del recinto murario dell’area suddetta che si addossava al tratto meridionale del lato ovest delle mura comunali.
La torre fu edificata durante la prima dominazione fiorentina (1406), quando venne ristrutturata tutta la zona di quello che era l’Arsenale pisano. Il nome venne scelto in contrapposizione alla più antica Torre ghibellina, eretta nel 1290 all’angolo Sud-Ovest del quartiere e andata in seguito distrutta. La torre aveva anche il compito di permettere l’avvistamento, essendo alta abbastanza da scorgere il mare, e al tempo stesso di dominare la città, essendo chiaramente visibile dalla prima metà dei lungarni.
Il fortilizio fu costruito dai fiorentini negli anni 1408-1420 e varie modifiche sono state apportate nei secoli successivi. Infine un rinforzo è stato aggiunto con materiale di recupero all’angolo S-O.
Durante la guerra sono andate distrutte gran parte delle strutture esistenti che sono state poi fedelmente ricostruite.
L’intervento di restauro doveva prevedere la realizzazione di un corpo scala con ascensore che collegasse il piano terra con i piani superiori e la realizzazione al piano terra di servizi per persone con impedite o ridotte capacità motorie, la riapertura dell’arcata dell’anteporta, attualmente tamponata, e la realizzazione di due vetrate, una fissa in corrispondenza dell’apertura più grande, e una invece apribile per consentire anche un’uscita di sicurezza sul fronte ovest al fabbricato in alternativa all’unica apertura di accesso esistente sul fronte nord.
Il progetto doveva inoltre prevedere anche l’inserimento di una piattaforma elevatrice da ubicare all’interno della Torre Guelfa nel vano libero tra le rampe della scala al fine di rendere accessibili, anche alle persone con handicap, le stanze ai piani superiori dalle quali si vede lo splendido panorama dell’area e della città.
Il progetto rappresenta una proposta migliorativa alla soluzione posta a bando di gara.
Questa prevedeva la realizzazione dei servizi di accoglienza, dei bagni e di un vano scala che collegasse i vari piani dell’edificio, acquisendo di fatto quasi la totalità del piano terra, dove i servizi venivano inopportunamante distribuiti, e la realizzazione di un ballatoio dalle forme morbide il cui solaio, insistendo per circa 1/3 sulla superficie della pianta, schiacciava la dimensione verticale del fortilizio, snaturandone le sue caratteristiche.
Inoltre il vano scala si sviluppa libero nello spazio senza presentare alcuna qualità, limitandosi infatti ad una serie di rampe che ruotano intorno al volume dell’ascensore, sviluppando un’area di sedime del tutto sproporzionata.
Confrontarsi con un edificio storico necessita di una certa sensibilità, una capacità di lettura dello spazio e delle sue potenzialità, proiettarle verso il futuro, e garantire quindi una fruibilità compatibile con le esigenze della contemporaneità.
L’idea progettuale prevede l’accorpamento delle funzioni, di servizio e del vano scala, in un unico elemento che si pone longitudinalmente a ridosso della parete superiore e pensato a tutt’altezza, soluzione che permette di esaltare, comprimendo lo spazio della pianta, la verticalità dell’edifico.
Una parete monolitica è posta quindi parallelamente al lato lungo ed all’interno di essa è stata inserita una scala lineare il cui andamento, confortato anche dalla ridotta dimensione trasversale, imprime un senso di claustrofobia, chiaramente ricercata, e, come avveniva nelle costruzioni dell’epoca, sembra quasi scavato nella roccia.
La grande parete è pensata come autonoma e completamente avulsa dalla preesistenza; un grande piano verticale che si impone all’interno del volume.
E’ su questa che viene appesa a sbalzo la rampa delle scale che salendo linearmente stimola il visitatore alla comprensione dello spazio in altezza.
A bilanciare il sistema, quasi potesse essere autoportante, è la posizione simmetrica del ballatoio, anch’esso stretto e lungo ad esaltare la plasticità dell’intervento.
Al piano terreno, le strutture di accoglienza trovano posto al di sotto della lunga rampa lineare, sviluppando nelle porzioni ad altezza ridotta i locali di servizio, mentre man mano che la quota diviene più alta, vengono inseriti il bagno per persone con ridotta mobilità e lo spazio di servizio al banco di accettazione.
Questo si spinge in avanti lasciandosi alle spalle della parete esclusivamente la dimensione necessaria al passaggio e si proietta, formalmente, al di sotto della linea del ballatoio, contribuendo anch’esso alla valorizzazione della dimensione longitudinale.
L’ascensore è posizionato nell’angolo sulla sinistra e sbarca direttamente al livello della sala espositiva.
Uno spazio circolare quindi si muove intorno alla nuova parete monolitica e consente esperienze diverse nel passaggio tra lo spazio intra moenia a quello a doppia altezza del ballatoio.
All’ultimo livello, la rastremazione della muratura permette l’isolamento sia della rampa che del vano ascensore confermando il loro affrancamento dall’edificio storico, palesando la lettura dell’intervento contemporaneo.
Qui è la capriata in legno con la sua struttura essenziale a predominare nella lettura dello spazio.