Volando sulla megalopoli
"Volando sulla megalopoli. Napoli Città Metropolitana", exhibition curated by Cherubino Gambardella, from October 29, 2015 to January 7, 2016 at the monumental complex of Santa Maria la Nova in Naples.
Napoli ha una bellezza sovrumana e imperfetta, una bellezza che si è sempre completata aggiungendo, rimodellando, adattando.
Questa particolare forma di magnificenza, che consente diversi livelli di lettura, vive ovunque: nei monumenti, nei paesaggi, nel cuore degradato della città, nelle sue periferie dure e stridenti, nelle campagne, nelle industrie simili a cattedrali.
In un lato del Chiostro dell’antico convento di Santa Maria La nova a Napoli visualizzo una sovrascrittura, una architettura semplice e complessa al tempo stesso quale è la grande metropoli campana. Penso a una struttura per accogliere undici visioni e undici bassorilievi che ho commissionato ad altrettanti architetti.
Non intendo parlare del passato, già altri lo hanno fatto bene e tante volte sulle diverse anime di questo territorio, vorrei, invece, che questa opportunità divenisse l’occasione per fondere, in una architettura imprigionata nell’antico, undici immagini di luoghi inattesi della Città Metropolitana.
Queste grandi cartoline inventate sono come racconti concepiti per potenziare una attualità di cui abbiamo bisogno subito, un oggi che, come dice Domenico Rea, prenda con sé "il buonumore (quel desiderio di continuare un’opera all’indomani)" senza dimenticare la memoria che in questo modo non va perduta, anzi, costituisce "il miglior sapore del presente".
Certo, non ho mai pensato che questo approccio potesse restituire immediate soluzioni agli annosi problemi di questo luogo; credo, piuttosto, che da troppo tempo abbiamo smesso di usare l’immaginazione e il racconto per figure come uno strumento narrativo, come una carica energetica per il grande pubblico.
Napoli e i suoi dintorni lasciano, specialmente in questi ultimi due secoli, convivere un duplice corso di eventi: da un lato le eccellenze sociali, economiche e ambientali e dall’altro una città in attesa di potenti suggestioni che ne rimettano in moto la mutevolezza del volto.
Nello spazio soggettivo che misura la distanza tra residenza e lavoro la città metropolitana ci interroga oggi sulla natura della sua identità. Casali, borghi e interi quartieri si incontrano, spesso confondendosi, nella definizione di un vero e proprio arcipelago meticcio di tufo e cemento, nella successione senza soluzione di continuità di caratteri formali, morfologici e funzionali simili ma diversi, comuni ma singolari.
È, allora, urgente sollecitare una riflessione collettiva e condivisa sul significato della Città Metropolitana oggi e sulle possibili strategie per identificare e valorizzare le diverse anime di una medesima koinè.
Quindi, una strada possibile è quella di riunificare arte e architettura sotto il segno della città metropolitana per consentirci di immaginare un recupero “dal basso”, veramente popolare e democratico, di quel corredo di segni che leggiamo come degrado urbano e che poche mosse dense di immaginazione potrebbero aiutarci a cambiare.
Penso, pertanto, al valore simbolico delle “macchine da festa”, immagini volte al recupero di una dimensione artistica ed esteriore del volto urbano. Credo sia utile provare a riattualizzarne il senso ponendosi il problema degli spazi pubblici e privati, delle facciate di case, capannoni, scheletri abbandonati, spazi di risulta da recuperare a un uso collettivo attraverso operazioni diffuse di abbellimento.
Le azioni da compiere sono molteplici: dalla dipintura, vista come correzione minima di una facciata, al recupero formale di quei corredi tanto disprezzati costituiti da caldaie, balconi, tettoie, verande. Dalla
ricomposizione del volto arcigno di aree industriali, al tema del paesaggio come giardino e produzione collettiva, agli spazi dello sport e del tempo libero, fino al recupero e al rinsaldo dei monumenti.
Tra tanti argomenti, una sequenza calibrata di undici esempi, di undici temi cardine, può guidarci in una operazione di risveglio civile che parte dalla suggestione visiva, dalla forza dell’immagine per mettere in moto futuri processi di revisione di un assetto magmatico e possente.
In questo senso, allora, le riflessioni devono condensarsi tra le tante traiettorie possibili su una sintesi di visioni simboliche ed evocative: undici tavole e undici bassorilievi raccontano i temi cardine della strategia. Questa, lungi dal voler essere esaustiva, si pone il problema di marcare un punto di partenza per una visionarietà che, a ben vedere, nasconde molti aspetti di concretezza fino ad oggi inesplorati.
Il primo tema affronta il problema di un nuovo disegno del suolo e del paesaggio vegetale, individuandone una necessaria strategia di valorizzazione. Una terra friabile, recentemente massacrata da un criminale inquinamento e da sempre soggetta a processi franosi deve ritornare ad essere campagna.
Abbiamo un indiscutibile bisogno di coltivazioni produttive, di recuperare casali dismessi, di rendere appetibile anche dal punto di vista economico un paesaggio vegetale che, nonostante il recente degrado, conserva ancora straordinari caratteri di monumento naturale, e sicure possibilità di occupazione e di produzione agricola.
Le pendici del Vesuvio, il Parco degli Astroni, l’Ager Campanus, devono tornare ad essere luoghi di pausa edilizia, di respiro collettivo, di bonifiche necessarie per restituire fiducia a una collettività stanca e provata.
Oltre il disegno del suolo, anche se ad esso strettamente contigua, emerge la necessità di ripensare il concetto di spazio aperto e collettivo, soprattutto nelle aree periferiche. Bellissime piazze, strade antiche incise con sfarzosa precisione animano i centri storici del napoletano. La vitalità di questi spazi collettivi è innegabile e la recente riscoperta turistica, dovuta anche a una interessante dimensione della città come meta crocieristica, ne è la prova lampante. L’interessante “museo obbligatorio” che la metropolitana sta faticosamente ponendo in essere ha avviato un processo di valorizzazione di molti spazi urbani. Manca però ancora una visione che ci permetta di comprendere come trasformare, attraverso una bellezza attrattiva, necessaria e condivisa, le aree aperte della periferia, dei quartieri dormitorio, dei luoghi del degrado e della criminalità consentendo quella mescolanza di usi e di ceti sociali che è da sempre uno dei migliori antidoti all’abbandono.
Non esiste una città senza un’attenzione alla cultura e all’istruzione dei suoi abitanti. Penso che uno sguardo alle scuole pubbliche di Napoli e del suo territorio sia fondamentale. Abitare bene durante il periodo di formazione è necessario affinché ci si plasmi una coscienza civica, e pertanto il tema degli spazi dedicati alla cultura e all’istruzione necessita di una particolare cura. Va trattato nel rispetto dell’esistente, ci sono tante belle scuole, ma è necessario che questi luoghi vengano attualizzati. La sicurezza e l’apertura controllata alla dimensione sociale vanno commisurate in una visione che veda protagoniste anche le aree scoperte, favorite nel loro uso da un clima sostanzialmente mite. Scuole come case e come piazze, quindi, scuole libere per una istruzione che parta dall’educazione civica.
La casa nella Città Metropolitana è un problema annoso, dalla carenza di alloggi del dopoguerra alla iperproduzione scadente di un mercato edilizio che ha fatto della casa un simulacro senza qualità. Bisogna riprendere a curarsi della residenza, sia di quella centrale che di quella periferica, è opportuno ricordare la forza dei prospetti napoletani popolati da tende e balconi, teatro di una vita all’aria aperta che è stata sempre ricercata persino nei fondaci più scuri e nei vicoli più incisi. La casa è il volto di una città, e quindi una metropoli ha il dovere di ripensare ad una immagine per le proprie residenze, per lo spazio abitativo dei propri cittadini.
Ne "La Dismissione" Ermanno Rea racconta la storia di una delle più singolari deindustrializzazioni avvenute a Napoli negli ultimi anni, quella di Bagnoli. Oggi c’è solo un vuoto. L’industria deve tornare ad abitare il napoletano con la forza espressiva di nuovi monumenti, perché non si può pensare che un territorio così vasto possa vivere solo di turismo. La mescolanza di attività produttive sane e non in contrasto con l’ambiente può risolvere una delle più antiche aporie che hanno generato un impoverimento del territorio.
Analogamente, una campagna produttiva può diventare luogo di attrazione turistica a patto che se ne reinterpreti il volto secondo canoni diversi da una stanca oleografia che ne ha decretato l’isolamento e la morte.
Similmente non possiamo sognare coste disabitate quando un nuovo accordo tra natura e costruito è ancora possibile.
Del resto, senza guardare lontano, basta concentrarsi sulla costa di Posillipo per rintracciare delle risposte scritte da tanto tempo, puntualmente ignorate nei nuovi modi di recuperare la linea di costa.
La strana paura della contaminazione e della riscrittura è anche protagonista dell’incapacità di vivificare i monumenti. Questi, imbalsamati in un format definito dalla stanca ripetizione rituale delle teorie del restauro non riescono ad attingere alla potenza dello spolio, dell’integrazione, del riuso, assumendo, spesso, le fattezze di spettri isolati e interroganti.
Lo stesso rituale imprigiona le aree del terziario, consegnate ad una espressione globale e poco attrattiva. Questi spazi del lavoro sono vere e proprie città a orologeria, senza mescolanza, senza vita, abitate negli orari di ufficio e deserte per il resto del tempo.
A tutto questo va aggiunto il ruolo delle infrastrutture, vere e proprie occasioni mancate di architettura, monumenti inconsapevoli e interrotti, dagli antichi ipogei alle linee ferroviarie, dalle strade alle autostrade. Sarebbe opportuno incominciare a pensarle come elementi di unione, piuttosto che formare inutili barriere invalicabili per ogni tessuto metropolitano.