Sul terzo numero (1976) della rivista “L’Architettura” diretta da B. Zevi e interamente dedicata al progetto di Cappai Mainardis, il romanziere Paolo Volponi, responsabile dei “Servizi sociali” della Olivetti, scrisse che il centro servizi sociali e residenziali di Ivrea, sorto su un’area destinata dal piano Piccinato al rinnovo urbano, “non è un edificio, cioè il contenitore di una funzione o di più funzioni comunque integrabili in una unità architettonica, ma è un sistema urbano: un rione, un quadrivio, un alveare, un portico medievale che raccolga tutti i suoni e percorsi dei giri del borgo-chiocciola, abitativi, mercantili, amministrativi, ricreativi. Non ha quindi una faccia secondo i canoni dell’architettura, ma ha degli scorci (proprio come sintesi tra più luoghi e più incontri); tutt’al più delle vedute e delle predisposizioni, al paesaggio, al corpo della città”.
1975 una navicella spaziale atterra poco distante dalla Serra morenica di Ivrea, appoggia delicatamente i sui pesanti piedi in calcestruzzo armato sfiorando dei resti archeologici di epoca romana, sono passati 2000 anni, non è facile trovare un posto adatto per l’atterraggio, attorno solo vecchi edifici in mattoni e pietra. Preistoria.
Progetto emblematico del pensiero olivettiano, le Residenze Est sono l’ultimo lascito di A. Olivetti (1901-1960) al canavese, pensate al servizio di Ivrea nel tentativo di ricomporre la relazione tra persona e comunità, tra privato e pubblico, sveleranno con la propria autosufficienza la crisi del rapporto con la città tradizionale.
Questo nuovo oggetto tecnologico, avrà il compito di attivare la vita sociale e culturale degli ospiti dell’Ing. Olivetti, persone provenienti da grandi città, abituati a muoversi fra opening e conferenze, ma spaesati in un tranquillo centro di provincia circondato dalla natura e accompagnato dal lento scorrere della Dora Baltea.
Il progetto di Cappai / Mainardis sorge su un’area destinata al rinnovo urbano in aderenza al muro di un monastero del ‘400 dal quale si stacca con una sapiente pausa di 5 m di vetrate modulari che si affacciano su una stretta via semi privata. Sul lato opposto l’edificio è separato dal lungo Dora da dei giardini pubblici che terminano in una piazzetta dominata dallo sbalzo del blocco degli appartamenti sopra l’accesso principale dei negozi e delle residenze.
La planimetria si sviluppa su sei livelli principali che ospitano il garage, una piscina / palestra, delle rovine romane e medioevali, una sala convegni, un cinema, un ristorante, due bar, negozi su più livelli, e 55 mini appartamenti.
In sezione l’edificio svela tutta la sua complessità, fra piani e interpiani, sbalzi, scale, ponti e rampe.
La struttura portante è realizzata in calcestruzzo armato e travi d’acciaio, la principale, lunga quasi 70 m, dialoga a distanza con la linea perfetta di 25 km della collina morenica, i riflessi delle tamponature in metallo e in calcestruzzo verniciate di giallo e d’argento si confondono con la cornice delle Alpi innevate.
Quello che doveva essere un edificio che si affacciava in tanti modi alla città, arrivando addirittura a inglobarla con la complessità funzionale di una megastruttura, oggi sopravvive isolato a nord da una semplice sbarra che rende la via antistante un parcheggio privato e una latrina pubblica, mentre delle inferriate di “sicurezza” hanno annullato l’originaria permeabilità dal giardino verso il centro sull’asse nord / sud.
La gestione e manutenzione dell’intera struttura è resa ancora più complicata dalla vendita nel 2007 da parte di Pirelli RE a proprietari privati che con passione cercano di mantenere vivo l’edificio; oggi la legge sui supercondomini forse faciliterà il recupero degli spazi comuni finora considerati terra di nessuno.
Il piano sopraelevato dei negozi è stato il primo a cadere in disgrazia, il lungo corridoio ricoperto di gomma tempestata Pirelli è alternativamente utilizzato come ricovero notturno, luogo per incontri amorosi, superficie per l’antica arte del graffito.
Il piano commerciale ad altezza strada invece, grazie a una visibilità maggiore, mantiene la sua funzione in testa all’edificio, all’ombra dello sbalzo della stecca dell’Hotel Serra che ha chiuso i battenti nel 2001 e che conserva al suo interno alcuni gioielli: tavoli che si ripiegano sulle pareti, sgabelli che spariscono con un meccanismo perfetto nel bancone del bar e lo spazio raccolto e inusuale della sala colazione, un lungo corridoio, stretto e basso, con delle proporzioni più simili a quelle di un rifugio di montagna o di una carrozza treno.
La sala conferenze, detta “Cupola” è l’unico spazio pubblico ancora utilizzato che non ha subito modifiche, mentre nella hall d’ingresso è stato aggiunto un mezzanino parzialmente integrato alla struttura esistente e la sala del cinema ha perso il suo disegno originale dopo la sostituzione delle poltroncine. La piscina seminterrata, illuminata naturalmente da bocche di luce e oblò navali, è uno spazio che non ha mai smesso di funzionare, un grande volume vuoto di cui s’intuisce la presenza dall’esterno grazie ai boccaporti di aereazione.
Il paesaggio di cellule di alluminio incastonate sulla struttura della trave principale ha valso al progetto il soprannome di “macchina da scrivere”, per la sua somiglianza ai tasti sul carrello della Lettera 22 di M. Nizzoli.
Alcuni di queste cellule abitative mantengono all’interno l’impostazione originale con innumerevoli soluzioni riprese dall’architettura navale (l’armadio/specchiera rotante, i gradini cassetti, la parete armadio, etc.) che sfruttano al massimo il poco spazio disponibile. Il volume del terrazzo entra nei 40mq portando luce al tavolo e alla scala/mobile da cui vi si accede. Uno stretto corridoio illuminato da delle finestre di tipo sommergibilistico porta allo studiolo/terrazzo dove la perfezione meccanica raggiunge il suo apice con il soffitto/parete in lamiera porcellanata che, grazie a una catena, slitta su una linea a 45 gradi aprendo lo spazio sui giardini antistanti.
Ivrea, grazie ad una committenza illuminata, è stata un grande laboratorio a cielo aperto del Movimento Moderno, oggi i risultati sono vari: la “Canarinia”, com’è popolarmente chiamato il progetto di Cappai / Mainardis (seguendo l’analoga sorte toccata alle residenze ipogee di Gabetti e Isola dette “Talponia”) è in uno stato di parziale abbandono, ma è una struttura tuttora all’avanguardia che può offrire spazi unici alla città. Il 3 maggio 2012 Ivrea è stata ufficialmente inserita nella lista propositiva italiana dei siti candidati a diventare Patrimonio UNESCO, sarebbe la prima volta per un esempio di architettura moderna in Italia. Un buon auspicio.