“Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano”.
I due corpi si studiano a vicenda senza mai mescolare le anime, la pelle, le ossa; ricordando l’ordine che li regola, chi vigila e chi viene sorvegliato.
La Casa del Custode vuole essere allo stesso momento sguardo e memoria. Uno sguardo attento che non invade il campo e che non desidera sovrastare l‘antico. Misurato e prudente gesto nella ripetuta scansione del ritmo, nello spartito che guida la musica di geometrie modernamente antiche.
La volontà di denunciare l’ossatura della Casa si fonda sulla necessità di spogliare quasi completamente l’edificio da ornamenti e artifici, come se questi potessero distrarre lo sguardo del custode dalla Villa e dal suo giardino. Il trilite, la modularità, la tessitura riecheggiano un passato vicino, presente e forte vestito a nuovo.
Nello svestire violento l’edificio non manca l‘impegno di rendere unico e speciale l’abitare; ne sono testimonianza la libertà e la ricercatezza degli ambienti che rifiutano partizioni rigide e precise, il dialogo profondo tra esterno e interno che diviene prima un’intesa semplice e continua poi sguardo mirato e discreto, e infine l’idea di mantenere uno spazio riservato come luogo di intimo respiro.