Complesso multifunzionale ex Socini
Le nuove relazioni che si instaurano tra un edificio nuovo e ciò che è preesistente non possono riguardare e non riguardano semplicemente la capacità di integrarsi nel contesto, possibilmente nascondendosi alla vista e badando soprattutto a non disturbare. Il tema vero e la reale responsabilità che deve essere affrontata è in che modo una nuova architettura possa passare dallo stato della sua passiva sopportazione a quello di matrice di un nuovo paesaggio urbano e di costruzione della città, secondo nuovi significati pur senza smarrire il filo della continuità con il passato. Si tratta di enunciazioni e concetti più volte praticati in linea teorica ma dei quali è giusto dare conto nel momento in cui si pongono in essere pratiche di trasformazioni rilevanti all’interno di paesaggi che appaiono, in qualche modo, definiti.
La potenza delle tecnologie di trasformazione del territorio oggi a disposizione sono ormai tali da rendere ogni nuova architettura agli occhi del cittadino un atto di arroganza se non di vera e propria violenza. In Italia questa crisi di condivisione, di rifiuto di auto-rappresentazione della società nella costruzione dell’architettura e della città è stata aggravata da un’esperienza di decenni di speculazione e corruzione. Il nostro lavoro di fare architettura ha conosciuto progressivamente nel tempo un sempre più avvilente atteggiamento di diffidenza, se non di aperto contrasto e preconcetta contrarietà.
Questa realizzazione ha conosciuto inevitabilmente lo stesso clima fin dalla apertura del cantiere. Credo che si tratti di una cosa normale e che per questo spetti a chi ne ha la responsabilità autoriale l’obbligo di dimostrare che non si tratta di una realizzazione improntata alla prevaricazione ma, al contrario, che essa nasce da concetti e intenzioni che tengono in primo piano le esigenze dell’ambiente, declinato da tutti i punti di vista, e delle esigenze dei cittadini, non solo quelli che sono qui ospitati, ma intesi come comunità civica.“Non edificio ma frammento di città” è poco più che uno slogan che però racchiude, come un nocciolo concettuale, il seme dal quale poi ha germogliato l’intero processo progettuale. Costruire un edificio convenzionale in questa situazione di frangia tra città e territorio avrebbe sicuramente significato creare un’ulteriore barriera all’avvicinamento alla città, già reso difficile dalla forte densità di infrastrutture presenti nell’area.
Questa è una zona in trasformazione da oltre un secolo, da quando cioè lungo tutta la valle del Riluogo, si sono sommati i lavori della linea ferroviaria, quelli della nuova stazione di Angiolo Mazzoni, poi dello scalo merci e del deposito delle locomotive. Le successive infrastrutture stradali, di uscita da Porta Ovile verso la nuova stazione e, più recentemente, la cosiddetta “strada fiume”, hanno finito per cingere questo luogo con una specie di cappio invalicabile. Il PRG di Bernardo Secchi (anni Novanta) ha individuato nello stesso versante est della città, dove Piccinato, negli anni Cinquanta, aveva previsto la più interna delle due tangenziali, il luogo ove sviluppare il tema più ambizioso del suo progetto urbanistico. Con l’individuazione del cosiddetto “Fiume”, di fatto un asse attrezzato a densità variabile, steso tra Isola d’Arbia e Stellino, aveva individuato una concatenazione di interventi a maggiore o minore grado di densificazione, punteggiato da nuove centralità funzionali, tali da ribaltare su questo versante un’accessibilità alla città che non c’era mai stata, sia per motivi storici che per solide difficoltà fisico-morfologiche.
L’idea di fondo di trasformare un luogo di margine, quasi un retro urbano, in una porta di accesso alla città, un vero e proprio attracco dal territorio, è stato l’elemento che ha cambiato la scala del progetto, determinando il passaggio dalla dimensione edilizia dell’ edificio singolo, a quella urbana dell’organismo morfologicamente complesso e funzionalmente molteplice. Nel momento in cui questo organismo architettonico si pone come una cerniera territoriale e di fatto estende il proprio rapporto al territorio più ampio, supera lo stretto legame con il contesto più limitato, con la parte di città più prossima e diviene esso stesso città: costruisce cioè un brano di paesaggio. Credo che questo sia, in generale, l’unico modo possibile per contrastare l’espansione incontrollata di una periferia urbana sempre più insignificante e inefficiente; cercare di ottenere configurazioni architettoniche morfologicamente significanti, di densità equilibrata e funzionalmente integrate, sorrette da un’armatura di spazi destinati alla collettività, capaci di rispondere a esigenze urbane non banali.
La permeabilità.
L’insediamento è totalmente percorribile e attraversabile in ogni direzione; ogni singolo spazio e porzione di edificio è irrorato da flussi che, prima di raggiungere il punto della meta finale, attraversano altri spazi creando occasioni di scambio, incontro e sosta. E’ un insieme di spazi morfologicamente diversi, concepito per garantire la continuità dei percorsi e un’accessibilità pressoché illimitata; alla base c’è la ricerca della costruzione di uno spazio aperto e democratico della città. I flussi si muovono in aree di “dominio” pubblico dalle quali si passa gradatamente ai diversi “domini” privati, alle diverse attività che, coesistendo e interagendo, produrranno un inevitabile “effetto città”. E’ anche, nelle nostre intenzioni, una possibile risposta al dogmatismo burocratico dell’urbanistica ideologica e opprimente che si muove ancora come una cupa e ottusa coda del novecento.
L’ integrazione funzionale.
La compresenza di attività e funzioni diverse costituisce la condizione primaria, basilare per garantire vitalità al sistema, presidio e presenza umana in ogni momento del giorno e della notte, sia quando, di sera, gli uffici si svuotano, che quando, la mattina, le residenze vengono abbandonate dai loro abitanti. Ma è la presenza contemporanea anche delle altre attività, il commercio, gli uffici privati, i servizi, che mantengono accesa la vitalità generale del sistema e danno valore agli spazi di connessione, facendoli divenire luoghi dello scambio e dell’incontro. Sono proprio gli spazi di interconnessione, i “vuoti”, che rendono percepibile la differenza tra un edificio tradizionale e un organismo complesso. Nel primo caso i vuoti sono strettamente funzionali all’edificato, lo servono, sono ad esso subordinati (cortili, cavedi, terrazze etc.); nel secondo caso pieni e vuoti hanno lo stesso valore, la stessa intensità di significati, pesano allo stesso modo rispondendo ad esigenze reciproche e specifiche, contribuiscono insieme, integrandosi, al raggiungimento della qualità desiderata.
Integrazione tra diversità e identità.
La differenziazione di linguaggio all’interno dello stesso insediamento segnala la specificità delle varie parti, sottolineando la molteplice percezione delle forme, il modo in cui esse si adattano a condizioni di luce diverse, la differente eloquenza dei materiali di rivestimento. E’ anche attraverso un appropriato linguaggio architettonico che si sottolinea la coerenza dei sistemi costruttivi e la proprietà delle tecnologie scelte e si offrono soluzioni aderenti alle esigenze della contemporaneità. Ma l’architettura non è solo linguaggio. C’è differenza tra linguaggio e immagine dell’architettura, la stessa che esiste tra la tridimensionalità dello spazio e la restituzione fotografica della sua immagine. Come tutti i sistemi di comunicazione un linguaggio ha valore se aiuta a trasmettere messaggi di significato complesso. In questo progetto sono evidenti le intenzioni, non sto parlando ovviamente dei risultati, che non sta a me valutare, di esprimere un’architettura omogenea ma non uniforme, consentire letture molteplici delle forme e dello spazio tenendo insieme le diversità con un tessuto connettivo di spazi comuni.
La condizione delle architetture nuove nelle aree di margine è quasi sempre legata alla presenza di strade di scorrimento, quindi la sua visione è condizionata dalla mobilità, dal movimento veloce. Ciò crea una particolare condizione paesistica, fa sì che il complesso architettonico venga osservato da varie distanze, da quote diverse, contemporaneamente in condizioni di luce differenti. Non esistono retri, anche le coperture sono superfici in vista. Ma tutte insieme queste caratteristiche, tipiche di una architettura di scala urbana, la multiforme morfologia tettonica, le diversità espressive, la molteplicità degli approdi, il dinamismo dei percorsi che la avvolgono, raggiungono l’obiettivo dichiarato nelle intenzioni solo se, alla fine, concorrono a trasformare un insieme di spazi in un luogo urbano, utilizzato intensamente, accettato dai cittadini, riconosciuto come portatore di identità urbana.
Architettura ed energia.
Diminuire il consumo di energia e qualsiasi forma di spreco di risorse non rinnovabili fa ormai parte del bagaglio di responsabilità delle quali ogni progettista deve, in vari modi, rendere conto alla comunità. Nel nostro caso si è scelta una strategia multiforme che ha toccato numerosi aspetti del progetto e della sua realizzazione. Dai materiali usati, ai sistemi costruttivi di chiusura degli involucri, al tetto verde di copertura, al fotovoltaico e solare integrati sulla copertura dell’auditorium, all’impianto di illuminazione degli uffici e delle aree esterne, realizzato totalmente con tecnologia LED, autoregolante negli uffici, all’impianto geotermico costituito da 10 sonde di circa 100 mt. che alimentano un impianto a pompa di calore e riscaldamento radiante che serve i locali di lavoro di Siena Ambiente. Notevole attenzione è stata dedicata anche al recupero delle acque, compresa la captazione degli stillicidi e dei drenaggi provenienti da monte delle paratie strutturali. L’energia elettrica che viene prodotta dal fotovoltaico inserito in copertura copre abbondantemente il consumo necessario a tenere l’edificio illuminato nelle ore notturne, con percentuali di intensità differenziate ma tuttavia necessarie per garantire un sufficiente livello di vivibilità e sicurezza ai percorsi e agli spazi aperti a tutte le ore del giorno e della notte.