Tecnopolo di Reggio Emilia. Italy
TESTIMONIANZA / OGGETTO
Nel patrimonio architettonico dell'area “ex Reggiane” persiste una realtà dinamica, poiché si tratta di un insieme aperto, non definitivo, in perenne mutamento: di esso fanno parte gli elementi concreti delle fabbriche, delle strade e dei piazzali, ma anche gli elementi astratti come il processo industriale, la visionarietà e l'avanguardia. La reciprocità tra uomo e macchina ha conquistato un ruolo determinante, d’influenza su qualsiasi elemento architettonico, per risolvere con la massima efficienza il concetto di funzionalità. Se il processo industriale è stato il principale elemento di caratterizzazione morfologica della fabbrica, la visionarietà e l'avanguardia sono stati i principi ispiratori del mutamento tipologico di ogni capannone. Lavorazioni specialistiche e nuove filiere produttive hanno più volte sollecitato la funzione dinamica di ogni singolo fabbricato, sovrapponendo, accostando, suddividendo l'architettura e lo spazio circostante. Anche il Capannone 19 si presenta, oggi, come il risultato di una sovrapposizione tra un reparto di fonderia, prima, e di sbavatura, dopo. Una basilica di ferro la cui navata centrale ha sempre contraddistinto lo spazio di movimentazione: prima con i nastri trasportatori poi col carroponte, lasciando ai transetti laterali le lavorazioni statiche, prima dei crogioli e poi dei torni. Anche questa architettura, come il resto dei capannoni, riconosce, nella sua giustapposizione strutturale e nei suoi accessi, la geografia del fascio di binari che attraversava tutta l'area produttiva, agendo da transito fisico delle fasi di lavoro.
TESTIMONIANZA / SOGGETTO
Il senso di appartenenza che si produce nella filosofia comportamentale dell’architettura è quello permettere ad ogni fatto architettonico recuperato di mantenere in sé quella qualità misteriosa di riconoscibilità. In tal senso, recuperare architettura industriale significa, a mio avviso, ristabilire la relazione tra manufatto e funzione, tra uomo e macchina.
La conoscenza, la ricerca e l'indagine rivelano il significato della rovina, del suo deterioramento oltre che delle sue regole compositive e costruttive: in questo senso sono parte fondamentale le testimonianze soggettive, come rumori, odori, residui delle lavorazioni e tracce murali, che sono state lasciate dai processi industriali e umani.
Oggi il degrado più significativo delle Reggiane, oltre all'evidente stato di abbandono, è il silenzio.
Nel Capannone 19 è ancora percepibile un luogo di lavoro grazie al palinsesto di dettagli che, nella loro sequenza sintattica e complessiva, ristabiliscono l'equilibrio di racconti e significati. Il degrado apparente è testimonianza soggettiva da conservare, mentre il degrado percepito è la mancanza della componente umana e dinamica del processo lavorativo. In tal senso mi piace definire il degrado dell'area “ex Reggiane” come la scena di un teatro abbandonato dove, una volta entrati, gli spazi sono ancora in grado di suscitare forti emozioni senza, tuttavia, comprenderne fino a fondo il motivo.
INNOVAZIONE / CONSERVARE
La memoria delle officine reggiane è una componente statica: scena immobile di un teatro d'aria in cui descrivere prospettive suggerite dai binari, dalle macchine e dai muri usurati dal tempo, dalla fatica e dal lavoro. Modificare la scena è sinonimo di alterazione della memoria, quindi della realtà; inquadrarne parti è sinonimo di valorizzazione della testimonianza, quindi della verità.
In un contesto in cui la testimonianza è così fragile, al punto tale da far perdere il significato di memoria, la vera innovazione progettuale sta nella conservazione integrale. Un restauro totale non solo del manufatto ma anche dei residui di processo, delle macchie, delle scritte, delle imperfezioni. L'approssimazione e il degrado apparente vengono consolidati e trasformati in un palinsesto di informazioni, note, appunti e racconti. Il Capannone 19, bonificato dell'amianto e dal terreno inquinato, rivela all'interno la sua storia come una grande sala affrescata dove si moltiplicano le prospettive e i punti di vista mentre all'esterno ribadisce la sua tipologia basilicale con l'introduzione di nuovi volumi architettonici.
Il processo di consolidamento strutturale del sistema delle fondazioni ha permesso, poi, di distribuire il complesso sistema impiantistico lasciando immutata l'architettura originale; la sostituzione del manto di copertura con lucernai giustapposti ha permesso di illuminare lo spazio sottostante a più livelli.
INNOVAZIONE / IMPLEMENTARE
L’ambiente ha influenza sul comportamento del singolo, secondo regole ben note del campo dell’operatività e dell’ergonomia. Ma non basta. Non è solo l’ordine, il minimalismo, il grado di luminosità e la negazione dell’apatia seriale che risulta positiva alla resa operativa. Vi è un livello superiore, di micropaesaggio, che è la “resa architettonica dell’insieme”. Coniugare testimonianza e innovazione è stato possibile grazie alla costruzione nel costruito, traducendo i caratteri insediativi della macchina che opera nella fabbrica in un progetto architettonico.
All'esterno la collocazione di volumi serventi trovano coerenza formale nella tipologia basilicale che, da un lato, si compone in accostamento, dall'altro in giustapposizione. Sintatticamente, compresi dalla copertura che ne custodisce la forma, entrambi gli elementi sono subordinati all'architettura storica dall'astrazione formale e dalla materia.
L'uso del calcestruzzo sabbiato, poi, traduce il nuovo manufatto edilizio in un monolite astratto, eliminando le evidenze dei processi costruttivi e lasciando all'archeologia industriale l'unico ruolo di testimonianza tecnologica, artigianale e manifatturiera.
All'interno, il foyer e la sala riunioni sono stati ricavati dall'architettura esistente con separazioni trasparenti e opache. Gli spazi ad alta tecnologia dei laboratori sono stati realizzati mediante la giustapposizione di blocchi in legno la cui immissione / dismissione rende palese i concetti di flessibilità e reversibilità; anche in questo caso, l'astrazione formale e l'uso del materiale naturale, conferisce all'architettura un valore materico che, per scala di intervento e introversione tecnologica, non alterano la sintassi costruttiva del Capannone 19.
Anche gli impianti, inseriti come residui del processo industriale, ricalcano le geografie dei percorsi meccanici interni al fabbricato, riutilizzando passaggi, forometrie, mensole e travi.
REALIZZAZIONE / FORME
Il Capannone 19 è una grande copertura, le cui caratteristiche figurative e tipologiche trovano espressione soprattutto nella forma dello spazio vuoto e circoscritto. La reciprocità formale tra vuoto e pieno, tra elementi lineari e volumetrici, tra forma e funzione, induce il visitatore ad una percezione distale, ovvero diretta, delle funzioni specialistiche (laboratori e uffici) e una percezione prossimale, ovvero ragionata, delle pareti di sfondo del capannone in cui è descritta la memoria dello spazio pubblico (foyer, sala conferenze, corridoi). Il rapporto di scala tra la fabbrica e l'uomo è misurato dall'inserimento dei volumi lignei che scandiscono la sequenza funzionale dei laboratori e dei percorsi.
L'articolazione dei volumi affacciati in galleria, visibili dall'ingresso principale, esprime la dinamicità della ricerca (laboratori) mentre, sul retro, il loro allineamento alla copertura configura terrazze e percorsi per il lavoro interdisciplinare. In tal senso, ancora una volta l'architettura contribuisce a sottolineare il rapporto tra forma e funzione.
Il rapporto tra fabbrica e contesto è mediato dalla copertura che, come un manto, si appoggia fino a terra, racchiudendo l'articolazione volumetrica del nuovo nel rispetto della sagoma storica dei suoi fronti, sui quali sono stati recuperati i murales dell’artista Blu.
I percorsi si estendono, tra interno ed esterno, attraverso lastre di cementi e bitumi intervallati da spaccato di porfido (utilizzato per massicciate ferroviarie), contribuendo così a liquefare il paesaggio esistente, sospeso tra degrado e innovazione.
REALIZZAZIONE / RELAZIONI
Una componente fondamentale per un luogo in cui si sviluppa ricerca è la relazione.
Il Capannone 19 è stato riallestito con nuovi spazi: volumi che si sostituiscono al concetto di una grande macchina industriale, in grado di stimolare relazioni dirette attraverso quegli spazi destinati al pubblico, come la galleria coperta, l'open-space, le terrazze e i corridoi attrezzati.
Ancora una volta, forma e funzione evidenziano la qualità relazionale grazie ad una composizione dell'architettura variabile, adattabile, dinamica ed a tratti sorprendente. Sempre a contatto diretto con la memoria, lo spazio si comprime e si dilata in una sequenza di spazi aperti, semichiusi e passaggi che stabiliscono una relazione biunivoca tra passato e futuro, tra interno ed esterno, tra edifico e paesaggio, tra spazio privato e spazio pubblico.
La macchina funzionale diviene, così, una soglia a diverse scale: nell'open-space è di tipo urbano, richiamando i tratti delle frontalità su strada, sulle terrazze è di tipo pertinenziale, regolando le condizioni di vicinato tra laboratorio e laboratorio.
All'esterno, lo spazio fuori scala, quello rivelato oltre il muro, è controllato attraverso la partizione delle pavimentazioni ,in grado di rafforzare le direzionalità suggerite dal palinsesto figurativo della città, del contesto e dello skyline delle fabbriche circostanti.
Nel Tecnopolo, l'architettura storica circoscrive, come un monumento, lo spazio relazionale, custodendo i significati della storia e della memoria e lasciando all'implementazione reversibile dei nuovi volumi il compito dinamico di organizzare e sollecitare le relazioni, assegnando così all'edifico, nel suo complesso, il significato più ampio di edificio pubblico, di caposaldo urbano di spazio per la città, nonostante la funzione specialistica.