Una chiesa nella piana
La piana fiorentina si presenta oggi come un sistema caotico e all'apparenza casuale. Tracce, misure, segni sapientemente incisi nel corso dei secoli, sono stati alterati o dimenticati negli anni del dopoguerra.
Nei secoli la centuriazione romana è quella che ha impresso i segni più forti al territorio, mantenuti
nel tempo o mirabilmente ricostruiti. La montagna è il limite fisico della piana. Dagli etruschi al
medioevo sono stati tanti i rapporti che l'uomo ha instaurato tra montagna e pianura fino al sistema
di insediamento a pettine delle ville medicee. Sulla partizione centuriale, l'impianto rinascimentale instaura un sistema prospettico, un cannocchiale visivo di collegamento tra monte e piana. La villa, in questo sistema paesistico, rappresenta il fondale scenico, l'elemento ordinatore per eccellenza. Il viale Gramsci, antico decumano, divide da una parte lo sviluppo incontrollato della città, dall'altro
l'ultimo frammento inviolato della piana fiorentina. I solchi dei campi paralleli ai corsi d'acqua e le tombe etrusche sono i segni che emergono in quest'area.
Parallelo alle linee dei campi si inserisce il progetto: un taglio lungo e profondo nel terreno.
Attraverso l'incisione l'uomo primitivo si avvicina al sacro: “Il sacrificio genera vita, è causa di vita, il sacrificio fa la vita, e la vita – la purezza – è causa del sacrificio” dice Emilio Villa nel suo libro L'arte dell'uomo primordiale. Dal sacrificio l'uomo primitivo giunge alla religione, arriva a riconoscere un altro da sé. Non è un caso che il mito etrusco della nascita della religione prenda avvio da un sacrificio, un'incisione nel terreno dalla cui terra smossa prende forma Tagete, l'infans, il primum che insegnerà la religione agli Etruschi.
Nel caos di quel che resta della piana fiorentina, il progetto diventa uno scavo archeologico, una
ferita, un taglio per sacralizzare la terra ma anche elemento misuratore e principio d'ordine. Luogo di religione nel senso etimologico: dividere la terra e tenere insieme le due parti in completa
dicotomia, la città e la piana.
Frammento riemerso, un'enorme pietra resiste all'andamento del solco, omphalos di una croce in
assenza.
Un lieve abbassamento denuncia l'inizio dello spazio sacro, l'invito per l'uomo ad intraprendere il cammino. Simmetricamente a questa, una seconda soglia dove si staglia la croce, in bilico tra la luce e l'ombra, tra l'umano e il divino. La lunga promenade processionnel porta ad abbandonare il piano di campagna per addentrarsi nella terra, scrigno di ombre e custode di rovine. Sotto una grande copertura in aggetto resti, frammenti, rovine abitate. Al centro l' enorme pietra tombale avvolta e sospesa nell'ombra definisce lo spazio dell'aula.
Il solco inquadra una porzione di cielo. Al suo interno un ideale tempio colonnato con al centro il
naos, cella sacra che custodisce il mistero, basamento per la contemplazione del monte liberato dalla
corruzione del paesaggio esterno. Il progetto acquista il carattere di rovina abitata, un corpo
scarnificato occupato dalla vita. Vetro trasparente e intonaco bianco si accostano, senza mai
confondersi, al béton brut.
La croce, fuoco prospettico dell'intero progetto, si perde alla vista durante la discesa nella terra.
All'interno dell'aula, la luce penetra nell'ombra incombente rivelando lo spazio. La parete absidale,
completamente smaterializzata, inquadra il paesaggio della piana in cui il monte, come in un
orizzonte leopardiano, è ritagliato ed esaltato come fondale contro il quale si staglia la croce
ritrovata: la terra si eleva al cielo alla ricerca del mistero.
Il tempo avvolge ogni cosa: la terra si sgretola, si logora, si dilava. Ogni elemento risponde al suo
volere, alla sua azione, alla sua forza.
Tutto è rovina, tutto è frammento, parvenza di un qualcosa che non può più essere. Viviamo il
tempo delle rovine e in queste ci muoviamo in cerca di tracce lasciate nella cenere.