"Il chirurgo alzò gli occhi, impassibile.
— È pronto?" 1
Questa è la storia di un’architettura morente posta sotto i riflettori (di una sala operatoria) e proposta come ultima e unica frontiera per la sperimentazione progettuale. L’interesse verso questa realtà muove dalla sua condizione di essere spazio in attesa. Nella capacità di saper assorbire ed essere assorbita si manifesta la sua attitudine alla trasformazione.
In questo processo di mutazione s’inserisce la strategia d’intervento immaginata, generata da una potente collisione onirica.
L’obiettivo è di interrogarsi su come la naturale repulsione all’innesto di una nuova architettura, in un contesto universalmente considerato intoccabile, possa in realtà essere frutto di una raccapricciante visione razzista sul tema dell’ibridazione urbana e delle logiche metamorfosi intelligenti di ogni territorio. Cura del territorio quindi: è questa la naturale funzione di una protesi urbana. Sostituire attraverso un dispositivo artificiale una parte del paesaggio mancante, o integrarne una danneggiata. Innestare un componente estraneo, all’interno di un organismo prossimo alla morte, che vive nutrendosi della sua decadenza e della sua memoria e che crescendo al suo interno ne porta la rinascita come in un miracolo contemporaneo. L’opera racconta l’istante in cui questo animale architettonico in divenire aggredisce lo spazio dell’opificio dando inizio al lento processo di nutrimento e riattivazione scandito da inattese contaminazioni, approdi e fughe, salite e discese.
1 Isaac Asimov, Segregationist, in AA.VV., Il terzo libro delle metamorfosi, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1969, collana «Urania» n. 508 (23 febbraio 1969), traduzione italiana di Bianca Russo, pp. 4-8.