Me lo ricordo Masto Mauro. Si pronunciava con la doppia all’inizio del nome. Aveva un vecchio cappello di feltro nero incollato sulla testa e denti sbeccati. Con lui mio padre ha costruito. Ampliato. Modificato. Hanno incastrato putrelle e tirato su muri. Fidandosi. Sulla casa dei nonni. Nei pressi della stazione. Appena oltre un muro di pietra con le calle schiacciate al piede passano i treni e la casa sussulta. Mio nonno era ferroviere e mia nonna aveva una cantina. Una grotta scavata nel tufo sotto la casa. Si scendeva da una scala umida e scivolosa. Mi ricordo una luce gialla che colava giù e le paure di un bambino per i mostri acquattati dietro gli angoli. Mi ricordo Masto Mauro seduto su due pietre di tufo con un boccione di vino. Aspro dall’uva inacidita al sole. I calzoni schizzati di intonaco e vecchie scarpe a punta. Si lavorava così. Con i vestiti vecchi adattati. Poi si sollevava puntellandosi sulle cosce. Così si puliva pure le mani. Il vino di “qui”. Mio nonno tornava dalla stazione e beveva vino seduto su una sedia di paglia nel vialetto all’ombra di una acacia. Aspettava la voce della nonna che lo chiamava per la cena. Il vialetto si allungava e si allunga per qualche decina di metri fino al muro della stazione, quello con le calle, tra due palazzotti come due mondi. Di qua noi che andavamo a scuola. Di là i figli dei contadini. Del fabbro. Del macellaio. Tutti fratelli e cugini. Ogni volta che uno di noi attraversava il fiume verso l’altra sponda era come una trasgressione. Un contatto con altri linguaggi. Altri gesti. Altri odori. Qualcuno ha fatto una brutta fine. Il nonno era spesso ubriaco. Che non significa essere ubriaconi. Come Nick Molise, altro muratore che inciampa spesso nel vino. Nick costruisce il più sgangherato affumicatoio che mai si ricordi. Con il figlio Henry. Basta una pioggia a farlo crollare (1). Invece i muri del rincagnato Masto Mauro hanno resistito. Non proprio un’arte antica ma una “pratica”. Un sudore. Uno scopo da raggiungere. Sotto la guida e gli occhi concentrati di mio padre. Che fumava sigarette arrotolate a mano. E portava a casa i primi libri [ la copertina cartonata gialla, edizioni Paoline, Jules Verne, Fenimore Cooper… ] Nel tempo i muri si sono ricoperti di intonaco e tinta. Ma io ancora ricordo questo palazzetto “non finito”. Ruvido come tante altre case cominciate e abitate senza gli intonachi. Senza le pitture. Senza le fogne. Con i ferri di attesa pronti. Nate come future rovine. Me lo ricordo oscuro tra i fili di pioggia e polveroso nel sole. Mi ricordo anche un disagio. Giù c’è il mio studio. E in cima la casetta. Poggiata su una putrella dell’Ilva di Bagnoli. Era affogata nell’intonaco. Liberata, mostra tutta la tensione di uno sforzo ai limiti. Esile, troppo esile. Ma concentrata e calma. Qualcuno ha valutato che ce la poteva fare. Aveva occhio.
Masto Mauro aveva una caldarella e una cazzuola e costruiva senza squadro e senza livella. Un’ombra a me, diceva indicando gli allineamenti al tizio che teneva l’altro capo della lenza. Perciò la casa è così storta. Ma contiene in sé il tema del progetto. Come fai a raddrizzarla?
La voce della nonna nel crepuscolo richiamava alla cena. Tutti aspettavano un richiamo in quelle ore intermedie sottratte alla frenesia prima che il mondo cercando di rinnovarsi reclamasse ogni spazio e tempo. Tutti aspettano ancora. E il tempo è catalogo di ogni sequenza. La scritta sulla putrella come i nomi e le date dei muratori incise nei cuori delle murature. Esistono sempre delle tracce da disvelare. E persone e cose vogliono solo farsi ricordare.
Spazio di libri. Uno ad uno scelti. Amati. Letti e compagni. I dorsi si riapproprieranno dei vuoti. Allineati. Vicinanze coerenti o nervose come parole di un’unica storia da leggere. Voci arrivano da giù. Il geroglifico: Ilva di Bagnoli è a testa in giù.
(1) John Fante, La confraternita dell’uva
Interno ad Aversa
• Progetto di Davide Vargas
• dimensione mq. 70
• realizzazione 2012/2013
• costo € 90.000
• libri: 5000……….”li ha letti tutti?”, “molti di più”_ umberto eco