Una grande villa degli anni settanta progettata da G. Casalegno, architetto locale di una certa notorietà, è acquistata da una famiglia di quattro persone. Poggia orgogliosamente sulla sommità della collina sopra la città, su un riporto di terra che la innalza in un'innaturale posizione di dominio sul paesaggio.
La villa non è brutta, non è bella. Il progetto cerca di operare sull'involucro esistente il minimo indispensabile: il tetto è ricostruito in lamiera grecata, le facciate sono rivestite con un cappotto tradizionale, tutto il più neutro possibile. Il lavoro si concentra invece sul grande garage deposito totalmente interrato.
Al livello del piano interrato una forma pentagonale, in parte derivata da giaciture esistenti, in parte arbitraria, si fa largo fra il terreno e i muri della casa, scava e deforma, cercando di mettere in rapporto diretto l'interno con la collina e di rendere abitabile quel grande spazio. Il pentagono è un contenitore che coesiste fra il garage, la casa e il paesaggio: contiene un po' di interno (un salone con zona giochi) e un po' di esterno (una gradonata verso il parco), rendendo ambiguo il confine. La sua "facciata" esterna è utilizzata come galleria fotografica, visibile anche dal garage attraverso una lunga vetrata trasparente.