Restauro del Chiostro dell'Ex Convento di San Domenico sec. XVII°
Residenza municipale del Comune di Gioia del Colle
Analisi storica
Il complesso di S. Domenico sorge nel nucleo storico dell’abitato di Gioia del Colle e più precisamente nell’area delimitata da Via Vittorio Emanuele, Piazza Margherita di Savoia, Via Manin, Via Rossini e Via Schiavoni.
Le origini si fanno risalire al XVI secolo, quando cioè un nobile di origine spagnola, di nome Federico De Silva, giunto a Gioia al seguito degli Aragonesi, fece erigere un convento per i Domenicani con annessa chiesetta proprio nei pressi dell’imponente castello normanno svevo. Probabilmente il manufatto venne realizzato su un precedente impianto, risalente al XV secolo, che alcuni attribuiscono all’Ospidaletto San Giovanni. Ad ogni modo la posizione dell’edificio, proprio a ridosso del borgo degli Schiavoni, lascia supporre la volontà da parte dei frati domenicani di istruire i residenti alla tradizione latina del culto cattolico, lì dove l’impronta bizantina era ancora presente . Al 1460 risale la fondazione del monastero come vicariato, fino al Decreto di Papa Innocenzo X che lo soppresse, per poi essere ricostruito nel 1654 e definitivamente soppresso nel 1809 .
Alcuni documenti conservati nell’Archivio Capitolare di Gioia del Colle riportano delle dichiarazioni riguardanti il monastero, che ci consentono di comprenderne l’evoluzione: in occasione della Santa Visita di Mons. Giulio Cesare Riccardi del 1593 si fa riferimento ad un «convento di Santa Maria della Grazia, che possiede un altare privilegiato tenuto da Frati Predicatori» ; l’Apprezzo del 1611 cita una chiesa «nominata S. Maria della Grazia servita da Monaci Domenicani, et ivi dimorano tre Frati più o meno secondo la volontà de’ Superiori, celebrandosi dalli detti continuamente e giornalmente le sacre messe con molta frequenza del Popolo e devozione di particolari benefattori. Vivono detti frati parte con elemosine e parte con le poche entrate, che tengono […]» ; ancora dai successivi Apprezzi del 1640 si apprende che «Fuori da detta terra dalla parte del Castello, accosto la Porta Maggiore è uno Convento di S. Domenico, dove risiedono 2 Padri Sacerdoti, et 2 Laici: tengono l’abitazione e comodità necessaria, et vivono d’intrate […]» ; documenti più tardi riferiscono che nel Convento vi erano un «frater Marcus à Solofra Magister», un «frater Iacintus à Iovia lector» e due conversi; infine, negli ultimi anni del 1600 il convento era un semplice «Vicariato in fabbrica e della m.ma Diocesi, ed ospitava Sacerdoti 2, conversi 4 et un tertiario» .
Nel 1766 Padre Domenico Bradascio, Priore Provinciale dell’Ordine dei Predicatori, grazie anche al contributo dei fedeli, riuscì a finanziare un intervento di restauro e di ampliamento del convento di S. Domenico, spendendo complessivamente 300 ducati. L’operazione fu possibile attraverso la concessione ottenuta col Decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari del 6 maggio 1766 .
Nel 1809, con l’incoronazione di Giuseppe Napoleone sul trono delle Due Sicilie, gli Ordini “possidenti” furono soppressi ed espropriati dei loro beni. Così anche il Convento di San Domenico, insieme ad altri 59 conventi domenicani pugliesi, venne confiscato. I documenti relativi alla soppressione riportano un’accurata descrizione dell’immobile, distribuito su due piani, con magazzini, cantina e sottano a piano terra, stanze di abitazione, corridoi, refettorio e cucina al primo piano e ulteriori 4 magazzini al secondo piano. Inoltre, addossate a siffatto edificio, vi erano delle dipendenze, ovvero un deposito di paglia e alcune stalle ad est e abitazioni con annesso magazzino a sud, date in affitto.
Dopo diversi solleciti indirizzati all’Intendente di Bari da parte del Sindaco del comune di Gioia del Colle, affinché il palazzo fosse adibito a padiglione militare e potesse anche accogliere gli uffici comunali , finalmente il 25 ottobre del 1813, con un Decreto di Gioacchino Murat, l’immobile fu donato alla Municipalità di Gioia per essere adibito a caserma per le truppe di passaggio. Tre anni dopo l’ex monastero cambiò ulteriormente destinazione per essere adibito in parte a Carcere Mandamentale e in parte a sede municipale , prima di ottenere la definitiva destinazione d’uso dopo l’Unità d’Italia.
Nella seduta consiliare del Comune, in data 3 novembre 1861, si legge agli atti la seguente dichiarazione dell’allora Sindaco il notaio D. Antonio Taranto: «”Signori,
La nuova vita nella quale sono entrati i municipi apre non pochi fondi di pubblica operosità e non ultima, anzi prima quella inesausta di lavori pubblici comunali intesi al decoro del Paese, alla comodità dei Cittadini ed alla memoria della Patrie glorie al persuadere ognuno non è mestiere ricorrere al progresso della Francia e della Inghilterra ma guardare le nostre Città: tutte fanno a gara per innalzare nuovi edifici pubblici, aprire nuove piazze e strade ed abbellire i paesi pare che ognuno voglia vestirsi a gala per mostrarsi degne della grande Madre l’Italia.
Il nostro comune però ricco di patriottismo e non secondo ad alcuno in grandezza e civiltà per colpa certamente non sua si trova al di sotto di tutti. Non una sala Comunale degna dell’attuale progresso ed atta per la riunione dei Collegi Elettorali; non Orologio tranne l’antico troppo meschino, non locale opportuno per la nostra Guardia Nazionale e quello che maggiormente stupisce neppure locali per le scuole.
D’altronde il Comune possiede vecchi edifici in parte consumati dagli anni come questo di S. Domenico ma suscettivi sempre ai miglioramenti adattarli ai bisogni del Secolo. Epperò io dietro l’avviso della Giunta Municipale e nella certezza che il Consiglio darebbe il suo appoggio ad attuare così nobile idea mi rivolsi al Principe degl’Ingegneri Signor D. Luigi Castellucci, perché elevandosi all’altezza del pensiero voglia compiacersi ideare un piano di fondamentali riforme ed ingrandimento che risponda alla Civiltà dei tempi e metta Gioja a livello delle Città Sorelle. Gli significai pure di tener mente a costruire ampio a magnifico Portone con ai lati delle superbe Colonne, sulle quali poggerebbe l’orologio del Paese e nel contempo apportare delle debite riforme alle case del pianterreno onde servire un lato per la Guardia Nazionale e l’altro per le Scuole ad aprirsi senza perdere di mira le Carceri Civili e Criminali non che quella separata per le donne. All’affetto accompagnai il rapporto con la pianta dell’intero locale; e ducati trenta come invito ed acconto all’opera da farsi, che prelevai dall’articolo 92 del corrente stato finanziere destinato per lo mantenimento degli edifizi pubblici.
Non tralascerò di fare osservare alle S. L. che con tale edifizio il Comune verrebbe a rinfrancarsi di annui ducati ottanta che paga per fitto di Corpo di Guardia Nazionale… Io attendo di giorno in giorno il desiderato progetto che intendo sottoporre al Vostro sano criterio e non sarà che dietro la Vostra approvazione che lo stesso avrà piena esecuzione”.
Il Consiglio intesa la proposta del Sindaco Considerando ch’è di somma utilità pubblica il provvedere questo Comune di un locale decente ed adatto all’attuale progresso dei tempi, come sarebbe la formazione di una Sala per la riunione del Consiglio e del Collegio Elettorale… approva all’unanimità»
L’anno successivo, nella seduta dell’8 maggio 1862, il Consiglio Comunale adottò la delibera d’approvazione del progetto redatto dall’ingegner Luigi Castellucci di Bitonto per la realizzazione del corpo di fabbrica con la torre dell’orologio e della facciata prospiciente Piazza Margherita di Savoia così come oggi a noi si presenta. «Il momento tanto aspettato è giunto: in quanto l’ing. Castellucci ha inviato il suo rapporto col quale sommariamente accenna il modo di esecuzione di sì bella opera e la spesa per recarsi a compimento i lavori progettati…». «Il Consiglio letto il dettaglio del sig. Castellucci dal quale apprende l’esito occorrente per l’ammontare di d. 5.000, visto il disegno che è conforme ai suoi voti e di quelli del pubblico di cui si è il fedele interprete, intesa la relazione del Presidente del Consiglio e sentendosi sufficientemente illuminato, all’unanimità dietro appello nominale delibera che a norma della perizia sommaria del sig. Castellucci e dal disegno da questi presentato approva la spesa da erogarsi per le necessarie riforme di questo locale» .Intervento dell’architetto Luigi Castellucci
Luigi Castellucci, nato a Bitonto il 17 settembre 1798, intraprese gli studi di Architettura al Regio Istituto di Belle Arti di Napoli e fu proprio lì che ebbe inizio la sua carriera di architetto-ingegnere, segnata da importanti riconoscimenti e da incarichi prestigiosi. Purtroppo però, a causa della prematura morte del fratello, fu costretto a rientrare nella città natale per accudire il padre ormai anziano. Lì si sposò, ebbe due figli e continuò la sua carriera con numerosi incarichi in varie località pugliesi.
Il suo repertorio di interventi vede numerosi palazzi di residenza privata e di campagna, edifici comunali, un teatro, edifici ecclesiastici, chiese, camposanti, numerosi restauri e anche opere di ingegneria idraulica e di urbanistica.
Il progetto di ampliamento e rifacimento della facciata dell’ex Convento di S. Domenico a Gioia del Colle si inserisce negli anni più fervidi della carriera dell’architetto, cioè quando, subito dopo l’Unità d’Italia, l’esigenza di dare un nuovo assetto alle città rese indispensabile riadattare antichi e dismessi edifici alle nuove pratiche amministrative.
Identica operazione di recupero e ridestinazione d’uso viene effettuata dal Castellucci nella città di Andria (1839-1864) e anche in questo caso spicca la sua forte personalità. Grazie alla recente scoperta nell’Archivio comunale di Andria del carteggio fra il Comune e l’architetto bitontino è possibile comprendere le intenzioni e i riferimenti architettonici e stilistici a cui attingeva l’architetto, dovendo affrontare temi così complessi e in contesti anche molto diversi tra loro.
Trasformando i due ex conventi (dei frati minori conventuali quello di Andria, e domenicano quello di Gioia) in Palazzi di Città, il Castellucci concepì due opere veramente ardite, attingendo alle fonti medievali e rinascimentali del potere laico (Gubbio, Cortona, il Bargello a Firenze, il Ducale ad Urbino, la Loggia Lauranesca a Napoli). Infatti, il nuovo vasto fronte del palazzo di Città di Andria (61 m), articolato su due livelli, è interrotto al centro da un corpo aggettante su un alto zoccolo con due rampe di scale (22 m) che immettono su un ballatoio e in un prònao a tre ampi fornici con una luce di 6.5 m che si conclude con il civico attico adibito a pubblico orologio.
A Gioia, invece, il corpo centrale presenta analogie con le logge lauranesche e veneto – dalmate, avanzando leggermente rispetto al blocco edilizio unitario posto a chiusura del bellissimo chiostro interno, in modo da accentuare il verticalismo del fronte facciata. Questo avancorpo è costituito da tre arcate a tutto sesto sovrapposte e dall’effetto incorniciante e chiaroscurale del doppio ordine di paraste, anch’esse avanzanti rispetto alle due ali laterali del prospetto.
Il portone d’ingresso, secondo un copione di impaginazione abbondantemente utilizzato dal Castellucci, è posto in perfetta simmetria al centro di due archi modulari a tutto sesto, che reggono la loggia al primo piano. Quest’ultima, arretrata, viene evidenziata dall’ombra e abbellita dalla decorazione a cassonetto con rosetta sull’intradosso dell’arco.
Per concludere la facciata e per esaltare la rinata destinazione civica dell’edificio, l’architetto posiziona in sommità il torrino dell’orologio, fortemente voluto dal Consiglio Comunale.
La parte di facciata arretrata rispetto all’avancorpo centrale è segnata verticalmente da delicate paraste che, alternate ai finestroni disposti su due piani, scandiscono una certa ritmicità nella massa monumentale che definisce la facciata. La sommità delle paraste, decorata con capitelli ionici, sorregge un’ elegante trabeazione, base del parapetto del terrazzo.
La facciata, così composta, presenta numerose analogie stilistiche con il Palazzo dei conti Gentile a Bitonto (1849-1860), un altro capolavoro dell’architetto, realizzato proprio nella città natale: corpo unitario scandito da paraste interposte ai finestroni, raddoppio delle paraste nell’angolo, con capitello angolare a tre volute e portale d’ingresso messo in evidenza, sia pur con espedienti differenti (a Bitonto il portale è incorniciato da due colonne lisce di ordine dorico che aggettano e sostengono la trabeazione superiore, anch’essa aggettante).Analisi del sito d’intervento
L’ingresso al Chiostro di Palazzo S. Domenico avviene principalmente dal portale posto su Piazza Margherita di Savoia (quota 0,00), attraverso il quale, dopo una scalinata composta da 9 pedate e 10 alzate, si giunge nell’ala ovest del portico (quota +1.65), quella parallela a Via Vittorio Emanuele. I portici sono composti da sei volte a crociera con una luce interna di circa 3,00 m x 3,30 m. Gli archi di scarico delle volte dell'ala nord, est ed ovest, rivolti verso il cortile del chiostro poggiano su pilastri liberi, mentre l’ala sud presenta i due archi di scarico più prossimi al lato ovest, tamponati da murature di tufo e due dei tre pilastri centrali incamiciati con setti in cemento armato. Gli archi tamponati presentano due aperture con stipiti in pietra, che permettono l’accesso ad una scala secondaria in pietra che serve i piani superiori dell’edificio.
Il piano del cortile, pavimentato con basole in pietra calcarea, è alla stessa quota del portico (+1.65); al centro del cortile è presente una cisterna a camera, che funge da pozzo, dove venivano raccolte le acque meteoriche provenienti dai tetti e dalle terrazze del complesso monumentale, prima della realizzazione della copertura del chiostro.
Oggetto dell’intervento sono anche due vani posti ad ovest del chiostro, coperti da volte a botte ribassate, ripartiti a loro volta in ulteriori 5 vani attraverso 3 tramezzi.
L’accessibilità al Chiostro è inoltre consentita attraverso una porta laterale a questi vani, e più precisamente alla sinistra del portale della Chiesa di San Domenico, a quota pari a quella esterna. All’interno del Chiostro e in tutto il piano terra non ci sono servizi igienici per il pubblico e per i disabili. L’impianto d’illuminazione è insufficiente, con corpi illuminanti a vista e tubazioni con relative cassette di derivazione in PVC grigie esterne.
La pavimentazione dei portici è in basole di pietra calcarea sbozzate a mano, a forte spessore; quella presente nei lati sud ed est è già stata interessata dall’ultimo intervento di restauro e quindi parzialmente ricostruita, mentre la restante parte presenta segni di usura e rottura di alcuni elementi.Quadro normativo di riferimento
Palazzo San Domenico ricade nella zona omogenea A1- Centro storico del piano regolatore generale (tav. 1) e gli interventi, in tale zona, sono disciplinati dall’art.9 delle Norme tecniche d’attuazione. Tutto il complesso monumentale dell’ex Convento compresa, la Chiesa è sottoposto a vincolo storico - architettonico in rispetto della legge 1089 del 1939.Disponibilità dei luoghi
L’Ex Convento di San Domenico è di proprietà dello Stato, mentre il Comune di Gioia del Colle è l’usuario perpetuo dell’immobile. L’Ente ha la disponibilità di tale bene da prima dell’Unità d’Italia.Descrizione dell’intervento
Il progetto di restauro e riuso funzionale del Chiostro di Palazzo S. Domenico è frutto della decisione di creare uno spazio polifunzionale per convegni, riunioni, conferenze ed esposizioni al coperto, destinando alcuni ambienti alla reception, all’informazione e ad un bookshop, e realizzando dei servizi igienici per il pubblico e per disabili (tav. 10).
Il precedente intervento di restauro ha riguardato principalmente la conservazione statica del chiostro, con lavori d’eliminazione dei pluviali, la rimozione degli alberi, l’asportazione del terreno vegetale nel cortile e il ribassamento della quota di calpestio (q.+2,30), la demolizione delle superfetazioni costruite negli anni ’60 (centrale termica, canne fumarie e reti esterne di distribuzione) e l’abbattimento dei muri di tompagno.
L’attuale intervento, invece, prevede lavori di manutenzione conservativa sulle facciate del cortile, che comprendono il rilevamento dello stato di fatto del manufatto architettonico (tav. 2-3-4-5), con particolare interesse al riconoscimento dei materiali e delle tecniche costruttive e la successiva individuazione delle azioni manutentive necessarie per la loro conservazione. Per esplicitare la cura rivolta al costruito sono stati analizzati i vari fenomeni di degrado a cui sono soggette le strutture, a partire dalle murature e dai pilastri in tufo, maggiormente ammalorati e proseguendo con i paramenti murari in carparo, le paraste, gli stipiti, i cornicioni, le volte, gli infissi e le opere in ferro.
In linea generale, l’intervento prevede la pulizia del paramento murario in tufo con acqua nebulizzata, l’acqua deve essere spruzzata sotto forma di nebbia che si deve posare sul paramento lapideo e sull’intonaco senza alcuna azione meccanica di gocce battenti. Il flusso non deve colpire le superfici direttamente ma descrivendo una parabola. L’azione pulente potrà essere supportata da azione meccanica con spazzole di saggina.
La protezione del paramento murario in carparo e delle superfici lapidee è previsto mediante applicazioni di consolidanti inorganici sulle superfici pulverulente, per evitare e frenare fenomeni di polverizzazione, disgregazione ed erosione. (tav. 14-15); manutenzione di porte ed infissi in legno e sostituzione di alcuni infissi in alluminio con nuovi in legno, che riprendono le tipologie presenti nel chiostro (tav. 9-20); realizzazione delle parti mancanti di ringhiera della scala interna al chiostro e manutenzione degli elementi originali, attraverso sverniciatura e successiva sabbiatura delle parti corrose (tav. 21).
Un’ulteriore fase è tesa al recupero dei porticati con l’eliminazione delle reti elettriche esterne in PVC, considerate invasive dello spazio architettonico, sostituendole con reti da porre sotto le basole di pietra calcarea da ripristinare e ricucire (tav. 22-23-24). L’operazione, da effettuare lungo il lato ovest e quello sud del chiostro, prevede lo svellimento del pavimento in basole di pietra calcarea esistente; scavo a sezione obbligata, eseguito a mano, del terreno di riempimento sottostante, per una profondità media di 1 m e formazione di un vespaio areato con elementi in plastica, a forma di cupola delle dimensioni 50x50 costituenti forma a perdere, posizionati in filari affiancati ed alternati ad idonei elementi in plastica in modo da determinare asole ottagonali idonee al posizionamento dei ferri d’armatura. Dato in opera compreso il getto del calcestruzzo per il riempimento delle asole e della soletta superiore, escluso il massetto in calcestruzzo magro per la formazione del piano di posa , il ferro d’armatura e la rete elettrosaldata della soletta. Altezza cupola 30 cm, spessore soletta superiore 10 cm. Infine ricollocazione delle basole esistenti previo restauro di quelle ammalorate (tav. 10-11-12-13).
Nell’ala dell’edificio destinata agli uffici per l’informazione e la reception si prevede il ripristino dello stato dei luoghi, con la demolizione di alcuni tramezzi interni e opere d’intercettazione capillare dell’umidità di risalita dell’apparato murario con il metodo del taglio chimico con iniezioni a passo di 10 centimetri. È previsto, inoltre, l’abbassamento della quota di calpestio di 12 cm. (q.+1.77), lo smantellamento della pavimentazione in graniglia esistente e del relativo sottostrato, con la realizzazione di uno strato di ragguaglio e posa in opera di uno strato di tenuta (guaina spessore da 4 mm.), nonché un’ulteriore posa in opera di strato coibente d’argilla espansa con soletta sovrapposta di calcestruzzo armato con rete elettrosaldata e infine una pavimentazione dei vani con basole calcaree (tav. 22-23-24). Per concludere vi è la realizzazione dei servizi igienici per il pubblico, nel vano più a sud, concepiti come un blocco separato dal contesto in cui viene inserito, che quindi non interferisce e non intacca il manufatto storico, permettendone la conservazione originaria. Il blocco dei servizi, posto al centro dell’ambiente, è realizzato con pannelli in legno di abete tamburato, rivestiti sia all’interno che all’esterno da lamiera in lastre di rame tipo Tecu con finitura patinata verde (tav. 19a-19b-19c-19d).