Credo di essere stato coinvolto in questa avventura non soltanto in qualità di architetto, ma più probabilmente per i miei trascorsi da chierichetto…, si trattava infatti di leggere il lavoro di Franko B come una liturgia, cercando di favorirne i precisi rituali.
Ho lavorato sul corpo dell’architettura come avrebbe fatto egli stesso sul suo, modificandolo con aperture e chiusure, forzando la percezione attraverso costrizioni spaziali.
Pur non amando, da adulto, i generi splatter-horror o comunque le immagini particolarmente
cruente, devo ammettere che da ragazzino collezionavo immagini sacre al posto delle più
rassicuranti figurine dei calciatori.
Ma quella che può sembrare un’apparente contraddizione, data la brutalità di alcuni soggetti religiosi, si spiega con la capacità di trasfigurazione dell’arte, capace di trasformare scene hardcore in icone mitiche di eccezionale lirismo.
Tutta l’arte è stata contemporanea, e quella sensazione di disagio che si può provare a contatto
con l’arte di Franko B è la stessa provata dai contemporanei dei grandi maestri della classicità
verso quelli che oggi definiamo i grandi capolavori del passato.
In questo senso Franko B può essere definito un artista classico, con la sola eccezione di aver
sostituito il pennello con il suo stesso corpo e i colori con i liquidi che il suo corpo contiene.
La classicità di Franko B è figlia del nostro tempo: di Abu Ghraib come di Mashad, dei bambini
soldato come della marea nera nel golfo del Messico.
Il primo approccio al suo lavoro può anche essere repulsivo ma, se si riesce a tenere gli occhi
aperti, oltre l’apparente crudità delle immagini si intravede una forma di amore conclusiva, finale,
definitiva.
Le sue performances hanno il senso della celebrazione, diventano un contagio sensoriale.
Franko B affronta il senso della vergogna come un nemico da abbattere, usa se stesso per
liberarci da antiche paure immolandosi come un agnello sacrificale, così che ogni sua tela è una
sindone e ogni sua opera ha un senso di intima religiosità.
Anche questa idea del riscatto attraverso la sofferenza per il bene collettivo mi sembra un tema
molto vicino alle mie memorie da chierichetto…
Franko, ma chi è tuo padre?
Fabio Novembre