Il cuore di Chiari
"Gli spazi aperti": le piazze, i portici, il vicolo, il cortile.
Le fasi progettuali successive alla progettazione preliminare, corrispondente al concorso di
progettazione in due fasi vinto nel 2005, si sono succedute nell' arco di circa un anno a partire dal
- La progettazione definitiva ed esecutiva ha coinvolto tre lotti, avviati mano mano che venivano finanziati, sia per le opere strutturali-edili, sia per le opere di arredo-finitura e di allestimento del "museo della città"; quest'ultimo, “conclusivo” dell'insieme, inaugurato nel febbraio 2011. Rispetto al pur premiato progetto concorsuale, la realizzazione appare significativamente "ridimensionata". Sin dalla fase progettuale ma forse a maggior ragione in fase esecutiva, problemi e logiche di vario genere: di competenza, di “convenienza”, nonchè procedurali, hanno infatti comportato il "ridimensionameto espressivo" di tante parti, nonchè la significativa alterazione delle soluzioni architettoniche, sia concorsuali, sia di quelle da noi proposte, nell'arco dell'intera e faticosa realizzazione, come "migliorative in extremis". Se da un lato, anche a causa di pregressi "attriti" con l'amministrazione, l'ente preposto alla "tutela" dei beni non è stato "dialettico", imponendo veti assoluti verificatesi poi come pregiudizi, visti i successivi riscontri storici favorevoli alle nostre prime intuizioni progettuali, dall'altro lo stesso ente ha reso possibile la realizzazione, al disotto degli assai precari edifici di origine medioevale e su espressa “persuasiva” esigenza della committenza, di nuovi e ampliati interrati, assai più impattivi rispetto alla nostra prima soluzione concorsuale. La prassi e le tempistiche della burocrazia, in questo caso della sovrintendenza, del tutto "sfasate" rispetto alle tempistiche “elettorali” (2008, lega e Sen. Mazzatorta sindaco, riconfermati) hanno fatto il resto: una volta approvato il progetto da parte della sovrintendenza era follia la sola idea di proporne e soprattutto farne approvare velocemente un'altro, pur "migliore" grazie ai nuovi riscontri documentali, pena lo slittamento dei lavori e, soprattutto, il "default", come oggi va di moda dire, delle "inaugurazioni" e della campagna elettorale. Insomma se ciò che è stato realizzato appare, soprattutto esternamente e persino per alcune soluzioni delle piazze, all'insegna della più acritica "conservazione" o, meglio, “ricostruzione naif”, lo si deve alle sovrintendenze, in particolare quella bresciana, che, sin dagli esordi del progetto definitivo, ha imposto assai poco obiettivi e costruttivi paletti; le necessità e le tempistiche della committenza hanno fatto il resto. Altra chicca in fase di progettazione esecutiva è stato il ricorrere a sorpresa, da parte dell'amministrazione committente, per i tre successivi e conclusivi lotti, alla prassi dell'appalto integrato. In pratica il progetto esecutivo, in prima battuta commissionatoci per il primo lotto e previdentemente da noi redatto per intero e in tutti i dettagli, non si è mai potuto far valere fino in fondo per il suddetto cambio “in corsa” procedurale. Sono immaginabili le conseguenze, pur strenuamente ma relativamente inutilmente combattute, sia per i lavori edili, sia per l'esecuzione dei dettagli, sia e soprattutto per le soluzioni impiantistiche realizzate. L'esperienza, comunque molto utile, mette bene in evidenza la difficoltà del “produrre” architettura in ambito pubblico, ma soprattutto storico/artistico, al giorno d'oggi, in Italia. Il lodevole strumento del concorso di progettazione, se da un lato, come dovrebbe essere, costituisce un'opportunità per l'accesso all'architettura, ma sempre troppo rara, dall'altro, all'atto della sua “messa in pratica”, pone il progettista nella condizione di lavorare con “squadre” inevitabilmente poco o per nulla affiatate, assai poco coese e compartecipi e in cui ognuno, dal "principe mecenate" RUP all'istallatore di “scaldabagni”, dal restauratore al “cangiante” regolamentatore usl, dal direttore dei lavori al geometra revisore dei conti nonché esperto costruttore, dall'ingegnere strutturista alla ditta addetta alle “iniezioni di pastella consolidante”, dal sindaco all'assessore, dice con forza la sua, e in cui ognuno persegue fini a se stanti e poco empatici. L'architetto progettista, in tale contesto, si ritrova ad assumere il ruolo di reggitore della “bella” scenografia, salvo poi, per puro suo scrupolo, spendersi, arrovellarsi il cervello per salvare il salvabile.