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Napoli 'ha rifiutato la modernità' (Pasolini), nonostante la modernità, abbia steso il suo velo occultante su ogni cosa. Rifiutare o subire la modernità significa affrontare, però, il paradosso dellautentico-inautentico. Napoli, pertanto, non rifiuta la Modernità in quanto tale, ma solo una parte (grande, ma comunque una parte): quella dellinautentico, poiché non rinuncia, e non potrebbe mai rinunciare ad essere nel proprio del suo tempo. Il vasto ventre del tempo vergine partenopeo ingoia tutto. Nella sua segreta cavità non esistono, infatti, distinzioni scientifiche o categorie analitiche: cronologia e mitologia, natura e cultura, geografia e magia, sono ancora fuse in un primordiale amalgama lavico. In altre parole: latemporalità dellorigine risucchia il vitalismo del quotidiano metabolizzandolo in una dimensione astorica, sempre in bilico tra necessità e teatralità (la teatralità è il dramma della necessità). Abbiamo forse già dimenticato La Scienza Nuova del filosofo napoletano G.B. Vico? Nellassioma 76 (seconda sezione) ritroviamo la sintesi della parabola umana: gli uomini prima sentono il necessario, poi lutile, poi il comodo, poi il piacevole, quindi il lusso, e infine impazzano a strapazzare le sostanze (le cose).
La nostra modernità occupa questultimo gradino, quello più lontano dallindispensabile: la necessità. Tra quello e questo misuriamo la distanza che separa gli estremi della modernità: del necessario e del futile. Così noi siamo diventati gli esperti nello strapazzare le cose, e le case! Una distanza rovinosa che rende ancora più tragica leco bruniana (leretico di Nola, arso per sapienza): le nostre opere devono mirare a catturare la voce degli dei, le quali voci- non stanno soffocate tra le pagine dei libri o nelle fitte pieghe della memoria. Esse plasmano da sempre il paesaggio partenopeo. Dai Campi Flegrei al Vesuvio è tutto un incessante ardere (phlegyròs=ardente) di lotte mitiche tra giganti e dei, placate solo momentaneamente in metafore scientifiche (bradisismo). In mezzo a questo magma di forze e opposizioni, reale e immaginario combaciano: il lago Averno (letteralmente, senza uccelli, ovvero senza cielo) spalanca un ulteriore scenario: il tremendo buco dellAde (varcato da Ulisse e dal nostro progenitore Enea) ci fa arretrare e attrarre di fronte
allinconosciuto della vita. E tra il bollore degli inferi e fulmini di Giove-Zeus solo la lenta ginestra di Leopardi contempla il baglior della funerea lava,..qui su larida schiena,..dellutero tonante, ..formidabil monte, sterminator Vesevo. Ma pur condannata anchessa a soccombere dal sotterraneo foco, le sue ceneri, contenenti oro (secondo Plinio), testimoniano lessenza della sua origine: la splendente fioritura, ricordo del fiammeggiante sole. Mondo vegetale (naturale) e mondo mitico (veritativo) ancora uniti dalla potenza delle immagini. Ancora una volta visibile e invisibile si fondono nella materia originaria mitico-cosmica: Persefone. Chiamata anche Kore, fanciulla, ma soprattutto pupilla, viene rapita dal dio degli Inferi, Ade (lo sprangatore delle porte), il cui nome non deriverebbe da invisibile (a-ides), ma dal fatto che esso sa già tutto da sempre (aei-eidos,), ovvero, possiede tutto il vedere avendo preso in dote, appunto, lo sguardo: Kore (la cornea).
Napoli: la duplice condizione della modernità. Mitica e contemporanea. La prima, conservata nei sotterranei; la seconda, sedimentata in superficie. Tra le due, una voragine radicale: la prima accende il vedere, la seconda lo spegne. La coltre di cenere non è più lavica ma tecnica. Il pericolo non è più la natura ma la cultura - nichilista.
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Il progetto per Napoli-Villaricca è inscritto in questo orizzonte. Di fronte allinarrestabile dissoluzione della città, al casuale paesaggio di cose, qualsiasi intervento non può che rinunciare alla sua presenza. Unica possibilità, dunque, lassenza della presenza: rendersi invisibile, affondare nel suolo tufaceo dove il sentimento mitico si è mineralizzato nel labirinto di cunicoli, fessure, caverne, antri, cisterne, spaccature, forre. In altre parole: scendere nellinconscio mitico (e, non sociale), nelle reali fondamenta di tutta Napoli. Ma poiché il progetto ha per funzione la musica, va riconosciuto innanzitutto il suo senso: limmediatezza della musica è il suo essere immagine immediata del sentimento (E. Severino). Naturalmente, del sentimento mitico (estetico, atemporale, veritativo), del quale Architettura è mimesis.
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Due condizioni del vedere caratterizzano il progetto: limmagine invisibile, sul piano orizzontale; limmagine del gorgo sul piano verticale. La figura del gorgo mette in atto tre principi: inabissarsi nel suolo; risucchiare le vene della terra; creare un vuoto al centro per fare galleggiare locchio. Sopra, solo il cielo; sotto, tutte le connessioni praticabili o possibili: dal positivo del Vesuvio, allantro cumano, alla piscina mirabilis di Bacoli.
Lassoluta centralità compositiva dellarchitettura risponde, dunque, per antitesi, alla dispersione contemporanea, avendo per scopo quello di favorire un principio gravitazionale in un area, per definizione, amorfa. Quindi, senza imporre allarea alcuna direzione se non quella di unideale assialità zenitale.
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Programma funzionale e distributivo. La pianta rotonda dellaula centrale (diametro 40 m.) è avvolta da quattro corone: la prima, spessore 6 m., il sistema distributivo orizzontale; la seconda, spessore 6 m., il sistema distributivo verticale; la terza, spessore 14 m., spazi di supporto e servizio allattività musicale; la quarta, spessore 8 m., il sistema distributivo delle rampe (pendenza 4,5%).
La sezione si articola su quattro livelli principali. Quota 0,00, piano della città, la piazza esterna; meno 14, primo livello interrato, spazio pubblico dal quale osservare la calotta della cupola, la piazza interna; meno 28, secondo livello interrato, attività musicali; meno 42-49, terzo livello interrato, la grande aula voltata per concerti. Ogni livello è in connessione con un sistema indipendente di percorsi lineari (le lunghezze dipendono dalle profondità) che penetrano nel tessuto urbano di Villaricca.
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Perdere la verginità vuol dire perdere limmortalità. La sirena Partenope (parthenos, la vergine) figlia del dio fluviale Acheloo e della musa Melponeme (la musa del canto, poi della tragedia), con il suo nome, ci ricorda la perdita di quelleguaglianza. Ma anche altro: sirena è cio che lega e intreccia (da seira, corda). Noi siamo dunque legati, vincolati doppiamente al patto di quel nome vagante: la verginità di quei luoghi, analogamente, ricerca inesausta il festivo inaugurarsi delloriginario come la melodia del canto (la convenienza dei suoni) della sirena ricerca limmagine immediata di quel sentimento straziante: larchitettura ne è lo strumento per la loro voce.