Le strade sono ormai un fatto ingegneristico. Ovvero, dipendono esclusivamente dal sapere tecnico-scientifico, il quale, avendo per scopo l'efficienza e non il valore non può altro che rispondere a questioni quantitative. Tutto ciò che comporta, invece, la qualità viene affidato ad un momento successivo: ad un sistema di norme astratto-burocratiche sempre più complesse e complicate. Ma poichè le norme, nel loro insieme, nascono dal mondo quantitativo non possono che essere incompatibili o incongrue con il mondo qualitativo (quello della forma). Infatti, mentre l'efficienza (la quantità) si può misurare, il valore (la qualità) si può solo contemplare. Quindi, le norme astratte o gli indici parametrici risultano essere, paradossalmente, inutili (1) a questo scopo. Il V.I.A., Valutazione d'Impatto Ambientale, è il tentativo estremo, macchinoso, costoso, ma altrettanto futile, per controllare "scientificamente" la qualità estetica di ogni grande opera (infrastrutturale e non). Un impossibile, trasformato in utopia culturale e sociale -con costi altissimi in termini di degrado ambientale- nei confront del quale si incomincia a nutrire in maniera sempre più evidente l'inutile (2) sterilità. Una gogna legislativa alla quale bisogna obbligatoriamente sottoporsi per ottenere un'inutile (3) salvacondotto. Inutile, allora, per tre volte consecutive, perchè tutti sanno che queste opere incideranno comunque negativamente sul paesaggio e sull'ambiente. Tant'è che progetti di tale natura si portano dietro lo strascico delle compensazioni, degli indennizzi, degli incentivi, delle mitigazioni. Termini che si traducono immediatamente in quantità di soldi da dare ad una comunità, ad un paese, ad una città, o di lavori da realizzare a risarcimento di un "danno estetico", è danno culturale e sociale. E la dimostrazione diventa subito palpabile: l'economia è un calibro perfetto per misurare quel "negativo" che ogni opera infrastrutturale alla grande scala si porta dentro e dietro. Il negativo: la mancanza o l'assenza di qualità della forma. La mancanza del sapere della forma.
Ogni "opera" è però "paesaggio", "forma", inevitabilmente e sempre "estetica". Brutta o bella che siano. Ma la differenza tra "brutto o bello" che appare in superficie è il riflesso languido di una differenza ben più radicale e profonda e compatta che scorre nel sottosuolo del nostro pensiero occidentale: l'imponente corrente del pensiero nichilista tecnico-scientifico (oggi dominante) che ha occultato la sorgente del pensiero classico simbolico-metafisico (ai margini, ma non certo estinto). Comunque due paradigmi culturali, due grandiose "visioni" del mondo, radicalmente oppositive. La prima, vede il mondo come separazione, isolamento; la seconda, come unità e relazione. Dunque quantità e qualità non sono due parole semplici ed "equivalenti". Non si possono pronunciare indifferentemente. Sono il nome proprio di due "uni-versi di-versi": piatto, bidimensionale e individuale il primo; verticale, tridimensionale, universale, il secondo. Ma solo ora emerge la vera differenza tra i nomi: la quantità non può contenere la qualità, poichè è la seconda a contenere la prima. La dimostrazione è ovvia quanto banale. La qualità è il modo con cui la forma appare. La quantità, è invece il contenuto amorfo della forma. Contenitore e contenuto: lo stesso intimo rapporto tra la brocca e l'acqua. Dunque, la quantità non può aver cura del modo con cui la forma si mostra. Così che le conseguenze della qualità sulla quantità non sono affatto ne scontate ne indolori. Se e quando il sapere tecnico-scientifico volesse davvero riflettere sulla qualità dovrebbe abbandonare la contraddizione logica e ontologica nella quale è immerso e rifluire autenticamente nell'alveo del sapere metafisico-simbolico. Un cambia di rotta importante. Solo così arriveremo a compiere una leggera rotazione del nostro sguardo (sapere): minima, ma essenziale.
Lo studio d'impatto ambientale per il nuovo tracciato della Pedemontana (da Montecchio a Treviso, lambendo Thiene, Marostica, Bassano, Montebelluna) si dispone sullo sfondo di un duplice orizzonte: reale e teorico. "Reale", poiché siamo di fronte alla dissoluzione compiuta della forma del territorio. "Teorico", perché il nostro sapere tecnico-scientifico, ha abbandonato da tempo l'originaria fonte della nostra ricchezza estetica: il sapere metafisico-simbolico.
Inoltre, bisogna ricordare che larea veneta occupa una posizione importante nella storia della cultura italiana ed europea. Le aree di questo territorio paesaggistico appartengono alla grandiosa tradizione della cultura greco-latino-mediterranea. Tradizione nella quale si sono sviluppati attraverso l'arte in generale (letteratura, poesia, pittura, architettura) i codici formativi di una nuova sensibilità estetica (ed etica). In altre parole ciò che ha formato il carattere, il timbro del nostro spirito, della nostra "identità".
Il progetto ricerca, dunque, una strada inusuale per coerenza di temi, per gerarchie di scala, per posizione geografica, per dimensione temporale.
I quattro tipi di sguardo.
La sguardo teorico: il paesaggio a-storico della letteratura
La sguardo zenitale: il paesaggio rappresentativo delle iconografie storiche
Lo sguardo verticale: il paesaggio sacro della pittura veneta (XV, XVI sec.)
Lo sguardo interiore: il paesaggio idraulico della sezione.
Lo sguardo teorico: il paesaggio della storia e della letteratura.
Il mondo classico-umanista. ci viene incontro con tre straordinari capolavori. LEneide di Virgilio; la Storia Naturale di Plinio; la Divina Commedia di Dante.
La scelta ha le sue interne ed oggettive giustificazioni. Tutti e tre sono monumenti italiani. Le loro opere fanno specifico riferimento ai luoghi in esame. Tutti e tre fondano uninizio. Virgilio, inaugura la stirpe e la sensibilità italica. Plinio, inaugura il sapere enciclopedico. Dante, la nostra lingua.
Ma da ciascuno dei tre emergono alcune particolari qualità:
Da Virgilio: la reinvenzione mitica rispetto alla supremazia storica; la pietas (nei confronti del divino per comprendere l'umano) come superamento della eris greca (la contesa); il mito della bugonia (rigenerazione da cadavere) come rimedio alla degenerazione della natura.
Da Plinio. La classificazione, anticipazione della specializzazione scientifica, è ancora avvolta nell'arcana maestà dei principi: La conoscenza analitica non è ancora separata da aidos (pudore): La natura, (che è cultura) si manifesta attraverso il prodigioso, l'inatteso, il meraviglioso: dunque, il pathos del prodigioso, l'altra faccia della norma.
Da Dante. La strutturazione gerarchica (delle tre cantiche) fa convergere nel fine teologico lo storico e l'eterno: Radianza luminosa, densificazione estetica, compattazione visiva, chiarezza di immagini vergini: la "sintassi" della nuova lingua.
Dunque: lo sguardo theorico, dove inizia la formazione del timbro, dell'intonazione della forma. Ovvero, la dimensione intellettiva delle grandi immagini, alla cui vastità corrisponde lo spazio storico dell' "astrazione". Ma questo è il vero luogo dove risiede e converge la ricchezza del mondo originario, fondativo e immaginativo (dell'arte, della letteratura).
Lo sguardo zenitale: il paesaggio delle iconografie storiche.
Il secondo tipo di sguardo procede per scalarità e gerarchie. Nel nostro caso l'avvicinamento si attua attraverso lo vista dall'alto delle iconografie. La lettura delle mappe storiche aiuta a riconoscere alcuni caratteri della forma del paesaggio, altrimenti illeggibili. Infatti la differenza tra mappe storiche e immagini aereofotogrammetriche è molto ampia ed altrettanto importante. Le prime contengono sempre una rappresentazione (una descrizione, un racconto), le seconde solo una presentazione. Le prime sono sempre "critiche" (perchè estetiche), le seconde acritiche o neutre (poichè scientifiche).
Lo sguardo verticale: il paesaggio della pittura veneta (XV, XVI sec.)
Cambiare piano di lettura implica un'avvicinamento ed una direzione. La pittura "veneta", (ma meglio sarebbe dire tutta la pittura italiana che va da Raffaello a Giorgione, Bellini, Tiziano ecc.) offre uno straordinario repertorio figurativo. Per due ragioni fondamentali. La prima, poichè il tema della natura e dell'artificio sono unite nella sacralità della rappresentazione. La seconda, per il tema compositivo figura/sfondo: la compresenza della doppia scalarità. Ma esiste una terza ragione, forsa ancora più significativa: il duplice sguardo. Quello del soggetto (il sacro) e quello del paesaggio (la natura). Che i Greci chiamavano: aidos (pudore).
Lo sguardo interiore: il paesaggio idraulico della sezione.
L'ultimo tipo di sguardo entra proprio nel corpo del paesaggio. Una sorta di radiografia per mettere in evidenza le sue qualità costitutive. La possibilità di tale lettura viene offerta dallo studio idrografico ed idraulico. Ne emerge una grande figura. L'intero ambito della pianura veneta si suddivide in due grandi paesaggi. Quello pedemontano che si conclude con le grandi fasce argillose, da dove poi nascono le risorgive. E il paesaggio dei fiumi pensili che si estende fino alle coste lagunari. Una sorta di "inversione di paesaggio" che sta sotto il pelo delle acque fluviali, e la sua sopravvivenza è regolata millimetricamente da una grande quantità di pompe idrauliche. Innumerevoli sensori che stanno appena sotto la pelle del paesaggio. In questo caso, però, è la tecnica a tenere in vita la "natura".
La superstrada pedemontana veneta non dovrebbe essere dunque lo scopo di se stessa, ma il mezzo per raggiungere uno scopo più nobile e sublime, esterno a lei, e che da sempre appartiene allo spirito di quei luoghi, come i nostri grandi predecessori ci hanno da lungo tempo ormai indicato: il divino del paesaggio.