Dispensario medico di N'golofalà
Nella fascia sub-sahariana dell’africa occidentale la Repubblica del Mali è una tra le nazioni più povere al mondo: a stento sostenuta da un’economia di sussistenza, legata ai pochi prodotti della terra, dove molta della popolazione non ha la possibilità di accesso alle minime infrastrutture (acqua, sanità, scuola).
L’area in cui si è operato è il limite sud della regione del Beledougou, difficile da raggiungere (due ore di pista) con minime risorse di sostentamento, e non poche difficoltà affrontate anche a causa delle difficili condizioni ambientali. In un contesto così caratterizzato, ogni scelta progettuale, costruttiva, strategica o compositiva vive di un confronto diretto con i bisogni evidenti dei luoghi, delle persone, del clima, e delle possibilità tecniche e pratiche. All’interno di un programma per infrastrutture pubbliche nella regione, promosso da AFRICABOUGOU, associazione onlus italiana, il progetto di architettura diventa opportunità per sperimentare un processo di collaborazione partecipativa con gli abitanti, futuri utilizzatori della struttura, con i quali il processo viene condiviso in tutte le sue fasi e per generare sviluppo nel mercato del lavoro all’interno dell’economia rurale dei villaggi. Tempi, materiali e lavorazioni sono concordate in riunioni ed assemblee; il programma delle opere é studiato compatibilmente ai materiali reperibili sul mercato locale e soprattutto sulla base della disponibilità di manodopera, legata alle stagioni di lavoro nei campi. Ad opera realizzata, un comitato di gestione, al quale prendono parte uomini e donne del villaggio, assicura la manutenzione e la gestione dell’edificio.
L’edificio è un presidio medico, e luogo di socializzazione utilizzato dalla comunità locale del villaggi. Un portico realizzato con due volte in terra, racchiude uno spazio d’ombra dove tre alberi di mango ed una lunga seduta in pietra sono luogo di incontro di tutto il villaggio. All’interno una sala di 7.00 x 7.00 è in comunicazione con una stanza per visite e vaccinazioni ed un locale farmacia. Una semplice placca solare in copertura garantisce la presenza della luce anche di sera, ampliando le possibilità di utilizzo della struttura anche dopo il tramonto. La necessità di realizzare un grande ambiente che all’occasione diventerà sala di ospedalizzazione o aula per riunioni comunitarie, ha spinto a definire, in un processo di attualizzazione ed adattamento tipologico e strutturale, un sistema sperimentale ibrido che impiega, accanto alla volta a corsi inclinati, una trave di cemento a T rovesciata che serve per impostare le volte in terra cruda e realizzare luci libere di notevole dimensione. Una trave a sostegno di due volte in terra è tutto il progetto. Sorprendenti i risultati sia economicamente che a livello di prestazioni tecnico strutturali. Dopo solo una settimana di lavoro per impostare il getto della trave, si è così avuto la possibilità di costruire, con strumenti e manodopera presenti in villaggio, un edificio esclusivamente in terra.
Come nella tradizione locale la terra è il materiale principale di costruzione. La cura nel limitare l’impiego di tecnologie importate, estranee alla naturale predisposizione all’auto-costruzione propria della popolazione rurale, e soprattutto portatrici di dipendenze economiche e commerciali, ha spinto alla ricerca e all’applicazione della volta nubiana, un’alternativa tecnica basata sull’uso di coperture in terra cruda costruite senza casseforme.
Manodopera proveniente dai villaggi del vicino Burkina Faso, esperta in questo tipo di costruzione, ha supportato il lavoro di cantiere delle popolazioni locali; ogni villaggio ha garantito, oltre alla fabbricazione dei 10.500 mattoni in terra cruda, l’assistenza e la presenza di giovani apprendisti che hanno cominciato ad imparare i primi rudimenti di questa semplice tecnica costruttiva divenendo muratori in una sola stagione di cantieri. Da coltivatori quali erano, i giovani apprendisti sono stati già questo anno impegnati in altre costruzioni, al di fuori della propria regione.
Un progetto di architettura che cerca risposte alle evidenti necessità: la terra e le mani sono le risorse principali, alimentati dalla partecipazione della popolazione, affinché ciò che si realizza venga percepito e vissuto come bene appartenente alla propria collettività, e quindi da preservare e sostenere con il massimo dell’autonomia e responsabilità