Centre for Paper Restoration
Il Centro di Restauro di materiale cartaceo è situato nell’area storica di Lecce, nell’ambito di un insieme indefinito di strade irregolari affiancate da edifici di piccole o medie dimensioni, tutti realizzati nella tradizionale pietra leccese che può essere più o meno intagliata, assecondando le richieste formali dei più diversi stili, dal Medioevo al Liberty passando per la grande stagione barocca dei XVII e XVIII secoli.
La zona interessata dal progetto di recupero riguardava la parte destra del piano terra/rialzato, ambienti angusti, bui ed umidi, suddivisi in piccoli spazi mal connessi, risultato di più interventi che succedutisi nel corso del tempo, avevano alterato completamente la struttura originaria.
Il progetto si doveva sviluppare in una sala di accoglienza, una stanza per il trattamento ad umido della carta, una luogo per la ricerca e l’analisi scientifiche e delle fasi preliminari al restauro, l’archivio, la biblioteca, spazi operativi dove collocare grandi piani di lavoro facilmente movibili; inoltre uno spazio destinato al lavaggio degli utensili da lavoro e uno spogliatoio per il personale preposto al restauro, all’archivio e alla progettazione.
Specialmente al piano terra la struttura era stata realizzata con grossi massi informi di pietra calcare e argilla rossa (bolo) che rendevano complesso qualsiasi intervento. L’altezza delle stanze variava, le stanze principali erano di 5,70 metri di cui alcune conservavano i soffitti con la caratteristica volta a botte, altri ambienti originariamente erano passaggi e ortali scoperti, trasformati nel tempo in luoghi chiusi.
La prima scelta obbligata è stata quella del recupero della struttura originale con l’allineamento delle aperture, trasformate con interveti in cemento armato a seguito della rottura delle travi in pietra leccese; l’ abbattimento dei soppalchi, delle scale e di tutte le coperture in cemento armato, che avevano trasformato questi spazi in luoghi angusti senza luce. Come si diceva una volta: l’eliminazione di ogni sovrastruttura che non avesse una giustificazione storica e strutturale.
Abbiamo usato il bianco per aumentare la riflessione della luce cercando di aprire dove possibile e sfruttando i passaggi e le aperture preesistenti. I tagli creati tra le pareti marcano ritmicamente la forza della struttura; il vuoto che dà vigore al pieno e al tempo stesso rappresenta gli elementi nascosti, realizzando viste prospettiche attraverso le quali si può intravedere leggendone la profondità. Questo è il linguaggio. Un gioco di pieni e di vuoti in cui la pietra leccese prende espressività ed è protagonista assoluta.
Si sono aggiunti elementi che sembrano spuntare, e prendono vita integrandosi perfettamente con la struttura portante, come le scale, le grandi vasche per il lavaggio della carta, e quelle orizzontali per la conservazione e pulitura di pennelli ed utensili da lavoro, che collocate in quello che era un angusto sottoscala, hanno l’effetto quasi di una funzionale intrusione. In contrapposizione, l’illuminazione è stata pensata come piani verticali neutri, che spicca dalla pietra che sembra generarla.
Tra varchi, feritoie e scorci dominano statue di santi, madonne e busti di vescovi dei secoli passati; senza di loro, senza la loro presenza, questo progetto di certo serebbe stato diverso.
L’altezza ha acconsentito la progettazione di un ulteriore piano rialzato che per non opprimere gli spazi sottostanti, doveva avere la caratteristica di un ambiente quasi astratto. Serviva qualcosa di leggero, solido ma immateriale, quasi un parassita che non isolasse e che durante il giorno restituisse la luce che gli veniva data durante la sera. Un filtro di luce fra i due ambienti che cambia come la luce stessa del giorno e della notte.
Dalla scala in pietra leccese che sporge dalla parete e sembra sospesa nel nulla si arriva in questo luogo che quasi illude, uno spazio in metamorfosi. Spazi vuoti interrotti da profili scatolari in ferro che si piegano per formare passaggi, parapetti e balaustre di comunicazione con gli ambienti inferiori e superiori da qui si accedere anche al piano nobile ora l’abitazione della proprietaria.
E’ un contesto, questo, un po’ misterioso quasi sfuggente, dove i tavoli sospesi si muovono, si spostano, si assemblano tra loro scorrendo su binari inseriti ai soffitti.