La casa di Tonia come ogni architettura nasce dalla necessità legata al desiderio: la necessità di convivere con un’assenza costruendo una presenza fatta di terra.
Se ogni presenza è ragione di un’assenza, come sostiene Dom Hans van der Laan, allo stesso modo un’assenza denuncia una presenza. Ogni forma, dice il monaco architetto, esiste solo attraverso l’esistere della sua assenza: attraverso la sottrazione di se, parte della materia dall’unità della materia terra. Una terra che non è paesaggio fino a che non ha una forma, fino a che qualcuno non inizia l’opera di sottrazione che si fa presenza. “La casa si aggiunge alla natura , perfeziona lo spazio naturale per permetterci di vivere” . La casa è quindi sottrazione allo spazio naturale.
Ed è un recinto di terra questa architettura che ho concepito come una stanza senza soffitto. Entro nella terra. Sono tra la terra e il cielo. Nutrimento della terra. Tutto viene dalla terra tutto torna alla terra. Da natura ad altra natura. Dalla terra tolgo la terra per costruire la casa di terra, ma il tempo riporterà la terra alla terra andando a cancellare l’assenza assorbendo nella sua unità ogni presenza. Soltanto adesso capisco che la casa di Tonia è la casa che mia madre ha sempre desiderato, sognato, tra la terra e il cielo in un campo recintato da allori che guarda il mare.
La casa di Tonia è come una casa di campagna che si disegna come le case di campagna amate da Giovanni Michelucci assecondando la necessità del momento; Michelucci racconta del contadino che mura per la famiglia che cresce; in una bellissima pagina del libro “dove si incontrano gli angeli, pensieri fiabe e sogni”, parla della necessità come ragione vera di ogni architettura portando il buon esempio del contadino che, a differenza del tecnico che costruisce assecondando il massimo delle volumetrie consentite (e possibilmente oltre), costruisce la sua casa colonica seguendo il ritmo vitale, senza che questa abbia mai una conclusione, così che al nascere del figlio aggiunge una stanza alla sua casa. Io provo a continuare questa favola dicendo: così come si toglie una stanza quando una madre si allontana.
L’architettura necessaria non può, oggi, non confrontarsi con il tema dell’assenza e programmare la costruzione del vuoto necessario. Assenza quindi non come negazione dell’architettura ma al contrario come ragione profonda e costruttiva della possibilità che ancora questa disciplina manifesta quale strumento per la modificazione del mondo e dei suoi provvisori equilibri. L’architettura può avere ancora una valenza fortemente positiva e ancora collettiva se, come la poesia, riprende ad assecondare il desiderio degli uomini (che ancora guardano le stelle) e la necessità del togliere, del sottrarre, dell’alleggerimento calviniano che ci avvicina all’essenza del giorno, del tempo, della vita come di una vita che continua anche oltre l’assenza.