Museo sul Carso Goriziano: museo all’aperto del San Michele
IL CARSO
Il Carso è un paesaggio di estrema durezza, frutto di un continuo sforzo esercitato su un contesto di vita estremamente povero.
Quando riflettiamo su un paesaggio e sul significato della costruzione di tale paesaggio, è fondamentale la piena consapevolezza del fatto che operiamo, semplicemente, in un periodo storico limitato e circoscritto, che si confronta, in ogni momento, con il tempo naturale, con la massa cronologica durante la quale si è sviluppato e formato ciò che, normalmente, chiamiamo supporto biofisico.
Durante questa scala temporale infinitamente più ampia, si sono verificati processi di enorme continuità ma, anche, di estrema rottura, processi minimi e impercettibili da cui son derivate trasformazioni sensibili e silenziose dopo molti milioni di anni e, altri ancora, operando o meno su quei processi momentanei di inaudita potenza e di capacità distruttiva (veri momenti di "re-invenzione" spontanea e totale della condizione di partenza, transizioni nettamente in contrasto con lo stadio anteriore).
Probabilmente uno degli aspetti più affascinanti del paesaggio carsico di Gorizia è, precisamente, la presenza, travolgente, costante e congiunta dei segni di entrambe le famiglie di processi: quelli della persistenza infinita e silenziosa e quelli della rottura, brutale e rigeneratrice.
Dei primi, la roccia calcarea, nelle sue infinite conformazioni, è, essa stessa, testimone costante di un processo complesso di deposizione e consolidamento, acquisizione di coerenza, tra i vari materiali depositati, lungo un processo di enorme durata - incommensurabile rispetto alla nostra scala di vita.
Questo elemento costituisce, di conseguenza, in tutte le sue manifestazioni, dal più spettacolare affioramento di pietra nuda ai più trascurabili frammenti lapidei, un fantastico registro del tempo, delle reali alterazioni climatiche (durante le ere geologiche), dell'alterazione delle caratteristiche chimiche dell'ambiente acquatico, dell'evoluzione, propria delle forme di vita che colonizzarono determinati periodi di tempo - un registro che racconta tratti precisi della storia più remota della Terra.
Su questa materia, apparentemente inerte ma concretamente pulsante di storia e di eventi, si son succeduti processi di straordinaria forza e immediatezza, un'energia capace di "spostare le montagne". E questa energia, ci lega, in gran misura, alla configurazione morfologica visibile al giorno d'oggi, spettacolare nei suoi eccessi e nei suoi contrasti.
Un'altra fase di accadimenti avviene in seguito, anch'essa associata ad un processo lento e perseverante, anch'essa collegata all'acqua ma in questo caso in senso diametralmente opposto - in quanto la sedimentazione ha operato per aggiunta, somma, acquisizione; il processo carsico ha agito (e continua a farlo, determinando così un collegamento immediato e concreto tra il tempo naturale e il nostro tempo) per sottrazione, per detrazione di materiale e il suo relativo trasporto.
Tale processo, anch'esso iniziato in tempi che rimandano alla scala geologica, è sempre operativo, tutti gli anni, tutti i giorni, tutti i millesimi di secondo, e fa parte delle nostre vite e non solo come un fenomeno remoto che ha costruito il nostro substrato.
E le sue manifestazioni sono auto-datate, relativamente e dimensionalmente: quanto maggiore è l'assenza della materia, del "negativo", quanto maggiore il pezzo scolpito, più antico e più estesa è stata l'attuazione del processo. Ciò è valido come principio - un polje è potenzialmente più antico di un pozzo ma, come in tutti i processi in cui un agente meteorico interviene su un substrato, contano inoltre, per ottenere un risultato osservabile, tanto le caratteristiche più specifiche quanto le vicissitudini a cui tale principio è soggetto.
Indifferente alla magnificenza della capacità costruttrice dei tre grandi processi di cui parliamo, brevemente, e all'enorme carico di dati che comporta, persiste una tacita coscienza del fatto che questa terra è "inadatta" alla vita degli uomini. A causa della topografia particolarmente accidentata, che ostacola qualsiasi operazione a cui si possa pensare; a causa dell'estrema secchezza della superficie, indipendentemente dalla abbondanza di pioggia, ad eccezione del fondo delle depressioni; a causa dell'assenza di terreno o dell'inconsistenza del suolo che, per diventare lavorabile, obbliga ad una completa, infinita rimozione delle pietre.
Queste terre alte sono, quindi, luogo di pascolo, delicato complemento all'agricoltura della valle, inospitale paesaggio pragmatico, caratterizzato da un profondo equilibrio dinamico, nel quale il mantenimento di uno stile di vita sostenibile, anche se ai limiti dello strettamente necessario, esige uno sforzo continuo e costante, accumulato lungo le decadi ed i secoli, sempre insufficiente - al contrario, la perdita di tale equilibrio può verificarsi in maniera quasi istantanea, sia attraverso un evento naturale estremo, sia a causa di una pausa involontaria o imposta nel continuo processo di contrasto delle circostanze che, in modo permanente, alterano il punto di equilibrio verso condizioni sfavorevoli alla sopravvivenza antropica.
La coincidenza tra il termine carso, che definisce, in forma maggiormente radicata, questo paesaggio, e i processi naturali che lo determinano, ci trasmette in maniera chiara il riconoscimento da parte della comunità della predominanza della "natura" nella costruzione del suo paesaggio, di come la specificità della componente naturale si sovrapponga a tutte le altre.
Nel quadro di percezione di questo paesaggio inospitale, quasi indomabile, prossimo al concetto paradigmatico di "naturale", concepire la presenza della guerra, come manifestazione esclusivamente umana, essenza stessa della natura umana, causa una inevitabile reazione di estraniamento.
É probabilmente un senso di estraneità causato da una visione della guerra che opera sul substrato, su dinamiche e presenze tanto superiori, come se si trattasse di un quarto processo trasformatore geologico/erosivo, una violenza brutale, non solo degli uomini ma anche delle questioni naturali.
I segni lasciati dalla guerra sono, anch'essi, inquadrati in un abaco di classificazione e di percezione del processo di scrittura che li definisce. Poiché sono di nature differenti, nell'intensità, nella qualità del gesto da cui sono scaturiti - il processo erosivo che derivato dall'attività balistica intensa e continuativa, e i solchi delle trincee che si disegnano quasi fossero indicazioni delle curve di livello, sono tracce con significati differenti, perché, in gran parte, hanno relazioni distinte con il tempo e con il paesaggio. I nuovi spazi che proponiamo si integrano in questo spirito, e tentano, ancora una volta, una reinterpretazione della nostra natura - fisica ed umana, della sua essenza più profonda.
Principi fondamentali della concretizzazione materiale della proposta.
Territorialità. Percorso.
La proposta agisce come negazione di un possibile approccio oggettuale, cioè fine a sé stesso in ogni sito, per offrire una modalità integrata di riconoscimento di un territorio che viene svelato, non soltanto nella sua dimensione storica, ma anche geologica, botanica, turistica, gastronomica, etc, quindi nella sua quadridimensionalità.
Permeabilità
Il continuo fluire dell’acqua ha costituito il meccanismo determinante, essenziale, della genesi del sistema carsico. L' interazione fisica e chimica dell’acqua con il materiale litologico di base conduce alla definizione di formazioni specifiche della morfologia carsica e determina la condizione caratteristica di aridità della superficie, come conseguenza delle eccezionali condizioni di infiltrazione – in velocità e quantità – che avvengono attraverso di essa.
Questa condizione di aridità superficiale e di grande ricchezza della falda acquifera profonda, si relaziona direttamente con la permeabilità caratteristica degli strati superficiali, sub-superficiali e sotterranei dei substrati carsici. Di fatto, la dinamica di costituzione di strati di alta porosità, con grande numero di cavità di dimensioni radicalmente diversificate genera, in profondità, un flusso che avviene in maniera immediata e con grande portata.
Quando il nostro intervento si inserisce all’interno di un territorio con queste caratteristiche, la tematica della permeabilità, in tutte le sue accezioni, in quanto fattore centrale dell’essenza stessa del luogo, ha costituito una dichiarazione di principio di importanza primaria.
L’intervento proposto avverrà, quindi, in modo tale che l’interferenza con i sistemi di permeabilità sia la minore possibile o inesistente, e in modo che le dinamiche di percolazione si mantengano inalterate.
Questo principio è un risultato diretto della nostra più profonda convinzione di fronte alla responsabilità dell’intervento: il progetto di architettura del paesaggio assume l’interazione con il territorio come suo momento generatore, assume l’espressione del carattere dei luoghi come suo più intimo obiettivo.
Qualsiasi intervento all’interno del Carso considera il mantenimento della permeabilità, dell’integrità dei meccanismi che a esso conducono, come un punto di partenza assolutamente imprescindibile e lo integra come un elemento di progetto unico e valorizzante. Questa attitudine si manifesta, in primo luogo, per quanto riguarda il sistema di rivestimento e la nuova pavimentazione, che costituiscono il supporto matriciale di accoglienza dei visitatori e occasione di nuove chiavi di lettura del Carso.
Materialità
Il Carso è, allo stesso modo, materia. Materia onnipresente, poderosa e multisfaccettata, straordinariamente ricca in termini plastici, sensoriali, e in termini di definizione del carattere e dell’essenza dei luoghi in cui lavoriamo.
La scelta dei materiali e delle soluzioni costruttive per la concretizzazione della proposta assume un’ importanza centrale per la riuscita pratica dell’opera, per come acquisirà una certa maturità, per la dignità con cui sopporterà il passaggio del tempo, divenendo un punto di riferimento oppure cadendo nell’oblio ma, soprattutto, per la rivelazione dell’anima del Carso.
Il rivestimento delle superfici, negli spazi di visita, in particolare quando si tratta di pavimentazioni, rappresenterà il mezzo di contatto imprescindibile tra le persone, e la loro fisicità, e il sito nel suo elemento più profondamente naturale: il suo substrato litologico, la sua geologia, in un processo di vera interpretazione “libera” dei luoghi.
In termini pratici, la definizione di queste materialità deve inoltre obbedire a criteri di resistenza e durabilità in quanto si spera e si pretende che lo spazio sia soggetto a un carico di utilizzo molto intenso, e che il tipo di usi possa essere molto differenziato, a volte caricato di una certa aggressività, a volte eccessivamente concentrato in gruppi di visita organizzati. Deve inoltre approfondire la sensibilità e la tattilità: l’importanza dei sensi nell’appropriazione dello spazio e nell’arricchimento di questa appropriazione è proporzionata alle qualità di relazione sensoriale e alla carica emotiva che provoca il contatto con alcuni materiali, particolarmente quando applicati in lavorazioni prossime alla loro stessa natura, o sotto forma di reinterpretazione di questa natura.
In questa accezione dovrà essere percettibile il compromesso con l’eccellenza e l’innovazione, in modo che il momento della scelta dei materiali e della costruibilità sia anche una tappa per mettere in relazione il ruolo ambientale dell’opera, la sua perennità e l’applicazione della miglior tecnologia disponibile.
La strategia che vi proponiamo stabilisce un utilizzo esteso del materiale/substrato che troviamo in situ e quattro modi di espressione della stessa materialità – rude, calcarea, imperturbabile – attraverso un processo di progressiva “addomesticazione”, di artificializzazione per utilizzo progressivo della tecnologia. Tutte le superfici, placche, piattaforme, che dovremo creare per ragioni strettamente funzionali, di comfort, e come elementi di equipaggiamento per il pubblico, risultano, ognuna di esse, dal lavoro in situ dei materiali presenti, e dalle declinazioni di questo lavoro. Ne deriveranno quattro forme di espressione, quattro stati di rappresentazione della natura del Carso.
Il primo stato di partenza, testimone del rapporto con il sito, è il terreno del Carso nella sua espressione “selvaggia”, composto da affioramenti irregolari e appuntiti, che delimitano nicchie che contengono porzioni esigue di suolo, dalle quali emergono gruppi di piante omogeneamente arbustive.
Il secondo, stato iniziale di “addomesticazione”, è ottenuto tramite rottura, appianamento superficiale delle irregolarità della pietra affiorante, e successivo riempimento dei vuoti con il materiale così prodotto. Corrisponde ad uno stato di immediata espressione di pietra scabra, esposta, spogliata dalle patine che precedentemente la ricoprivano, riportata al suo colore bianco primordiale.
Il terzo coincide con il precedente nell’operazione e nella definizione della superficie, ma si distingue da esso (spazio dai contorni indefiniti) per l' adozione di un limite preciso, elemento di contenimento di materialità cementizia.
Il quarto e ultimo stato di questa serie di modi di appropriazione del terreno carsico, corrisponde all’applicazione dello stesso materiale cementizio, tramite getto, al di sopra del supporto fisico caratterizzato dagli affioramenti rigidi e dalle forme intermedie di disgregazione, determinando una superficie liscia, una pavimentazione estesa, vera plasticizzazione dell’intero materiale di partenza.
Queste quattro modalità operative, espressioni di una stessa materialità, avranno luogo in tutte le aree di intervento, garantendo, complementariamente, un importante contributo per la costruzione di un significato di unitarietà dell’intervento.
Auto-sufficienza.
Il Carso è un sistema di equilibri sottili, in un certo modo fragili. Questo significa che qualsiasi intervento che incide sui fattori determinanti per questi equilibri, può causare gravi perturbazioni, compromettendo la continuità delle dinamiche in corso.
Tra questi fattori hanno grande rilievo gli spostamenti dei materiali. La consapevolezza di tali problematiche porta alla decisione di evitare, in ognuno degli interventi nell’ambito della presente proposta, scambi di materiali con l’esterno, costituendo, da questo punto di vista, un sistema chiuso e sostenibile.
Controllo del carico.
Una parte significativa del carico dei visitatori avviene attraverso l’accesso automobilistico. Il dimensionamento razionale dell’offerta localizzata di parcheggi sarà un elemento di grande importanza nel dimensionamento del carico simultaneo accettabile per un funzionamento ottimale.
La strategia di riconoscimento integrato del territorio, basilare nello sviluppo e nell'articolazione della proposta, trova un supporto straordinario nel tracciato stradale che lega le tre aree, che in questa sede celebriamo nelle loro diverse caratteristiche paesaggistiche.
La strada è il percorso di collegamento ma anche, prima di tutto, il percorso di lettura ed interpretazione: essa stessa è parte integrante e essenziale della nuova struttura di appropriazione che stiamo proponendo, non solo tramite per giungere ai nuclei di interesse, ma è soprattutto una forma complementare di offerta dello stesso contenuto discorsivo e pragmatico.
La strada è intesa come parte integrante della costruzione della nuova attrezzatura culturale, turistica, didattica, celebrativa, e il suo obiettivo di far convivere, in armonia, persone a piedi, biciclette e automobili, parte da questo principio.
La materialità delle pavimentazioni e dei suoli e gli elementi complementari - segnaletica, informativa, arredo urbano,etc - si coniuga con i nuclei di visita principali, nella stessa struttura narrativa, senza la presenza di una gerarchia evidente.
Partendo da questa lettura lavoriamo contemporaneamente con due principi che hanno ambedue come protagonisti la stessa pietra carsica.
Il primo principio riguarda il contenuto, il significato del progetto e, tramite questo, la lettura/riscrittura di un territorio, il secondo principio riguarda il modo in cui, nel progetto, la materia stessa si fa protagonista e si modella alle diverse specificità dei paesaggi che compongono questa terra mantenendo inalterata la sua origine o sottoponendosi alle quattro modalità di lavorazione che abbiamo descritto.
Con ordine consideriamo, in primis, quanto attiene ai contenuti del progetto e proviamo a partire dalla scala del territorio per arrivare a quella dei singoli dettagli, lo stesso faremo anche parlando del secondo principio e quindi operando un cammino inverso a partire proprio dalla materia descrivendo gli interventi sui singoli tre ambiti.
Ogni elemento di questo territorio, anche una singola pietra, è già capace di raccontare una piccola storia come una parte di un più complesso sistema di cui esso stesso è protagonista e autore al contempo.
Il progetto lavora partendo da questo concetto principale, il disegno di una serie di elementi che possono far parte di un percorso, ma che possono anche essere ‘scoperti’ in modo autonomo.
Prendiamo in prestito le parole di Josè Saramago per descrivere l’attitudine, l’approccio di un viaggiatore (ogni utente che si avvicina a scoprire un territorio che non conosce è per principio un viaggiatore) che si avvicina e si interessa al territorio del Carso “...prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo il proprio progetto, presti il minimo ascolto alla facilità degli itinerari comodi e frequentati, accetti di sbagliare strada e tornare indietro, o, al contrario perseveri fino a inventare inusuali vie d’uscita verso il mondo. Non farà miglior viaggio. E, se sarà sollecitato dalla propria sensibilità, registri a sua volta quel che ha visto e sentito, quel che ha detto e sentito dire...”
Immaginiamo ora questo viaggiatore muoversi attraverso il territorio del Carso, lo immaginiamo libero di annotare le proprie esperienze, di tracciare e ritracciare la stessa mappa in modi sempre differenti, di ‘ricalcare’ qualche volta lo stesso suolo o lo stesso sguardo, di percorrere la stessa trincea.
Nella mappa (fisica o solo mentale) che il viaggiatore sta tracciando vedremo ricomparire alcuni punti, più o meno precisi, che, uniti, formano una serie di reti: i sistemi delle trincee della Grande Guerra, alcuni elementi della vegetazione che ritornano come i boschi di pino nero d’Austria, simbolo della grande opera di riforestazione progettata e diretta, a partire dal 1800, dagli Ingegneri dell’Imperial Regia Amministrazione Austro Ungarica, le zone aride sferzate dalla bora e quelle umide di Doberdò e Pietrarossa, i grandi monumenti e sacrari, tra cui Redipuglia, punti di vista speciali che abbracciano il territorio fino al mare, alcuni sistemi produttivi di particolare rilevanza (apicoltura o viticoltura) con i loro frutti....
Il Carso diventa una sorta di testo con molte parole ciascuna con la propria memoria e stratificazione dove, per usare le parole di Roland Barthes, “...le reti sono multiple, e giocano tra loro senza che nessuna possa ricoprire le altre; questo testo è una galassia di significati; non ha inizio, è reversibile; vi si accede da più entrate di cui nessuna può essere decretata con certezza la principale...”
Partendo dalla definizione di paesaggio di Michael Jacob quale “...risultato artificiale, non naturale, di una cultura che ridefinisce perpetuamente la sua relazione con la natura...” e ancora: “...In quanto immagine o rappresentazione della natura, il paesaggio non è mai un semplice dato. Si appella all’immaginazione che la compone (la parola tedesca Einbildungskraft, la <
In questo senso prevediamo la costruzione di un sistema di elementi-coagulo, di punti-informazione e punti-sosta capaci di sottolineare alcuni dei principali elementi notevoli di ogni insieme omogeneo (il progetto ne rintraccia alcuni, ma tale sistema è aperto nel senso che sempre nuove letture e stratificazioni del testo sono possibili in futuro). Il numero iniziale di questi elementi-coagulo, dei punti-informazione e dei punti-sosta sarà minimo all’inizio, necessario e sufficiente ad attivare il sistema della rete e potrà crescere e stratificarsi, spostare la propria attenzione e i propri interessi nel tempo, proprio perché si tratta di un sistema aperto.
Disponendo tutti questi punti (originari e costruiti) in un layer (vi saranno tanti layer quanti argomenti individuati) e i layer, a loro volta in un sito web, l’ipotetico viaggiatore sarà in grado di programmare il proprio viaggio da casa decidendo di operare, ad esempio, una scelta monotematica (visitare tutte le trincee o tutti i cippi), oppure trasversale di conoscenza/esperienza del paesaggio carsico, costruendo il proprio percorso personale e di sperimentazione. Attraverso lo stesso sito prevediamo che sia possibile affittare una bicicletta nei due terminal di San Michele e di Doberdò attraverso i quali iniziare il viaggio.
Innesti, punti-informazione e punti-sosta
I punti informazione e i punti sosta, insieme al sito web, che prevediamo di realizzare da subito in quanto struttura aperta e sempre arricchibile di informazione/esperienza, costituiscono una sorta di prima ‘infrastrutturazione leggera’ del sistema. Alla costruzione di questo sito (cui corrisponde un’elevata capacità di penetrazione in rete con costi molto contenuti e quindi grande diffusione fin dall’inizio del nuovo messaggio, quasi un’incipit di quella che può essere considerata una prima operazione di marketing territoriale) si affianca la costruzione di una prima serie di elementi, innesti sul territorio.
Prevediamo che siano di tre tipi:
innesti sui percorsi principali
punti-informazione che sottolineano punti di vista, percettivi e conoscitivi particolari
punti-sosta quali bivacchi temporanei debolmente attrezzati dove sia possibile anche trascorrere la notte.
Gli innesti sul percorso principale indicano una sorta di ‘coagulo’, l’evidenza che in quel punto è possibile, per esempio, abbandonare la strada principale, per visitare una trincea o incontrare un elemento che induce a cambiare percorso.
Questi innesti sono elementi in pietra (o levocell composto di pietra carsica) sull’asfalto esistente delle strade che indicano i coaguli tramite una delle simbologie che fanno riferimento ai singoli sistemi individuati (abbiamo previsto alcuni di questi sistemi a solo titolo esemplificativo, tuttavia, dovessimo risultare vincitori, nella fase iniziale del lavoro, tale scelta andrà calibrata e precisata in accordo con l’Amministrazione). La spiegazione al viaggiatore del particolare significato di quel punto può avvenire attraverso il codice che fa riferimento a uno dei layer oppure, più nel dettaglio, attraverso una connessione web (tramite iphone o altri strumenti di cui potrà dotarsi il museo principale e che potranno far parte dell’’attrezzatura del viaggiatore’).
I punti-informazione sono telai/cornice che inquadrano punti di vista particolari a scala territoriale o elementi puntuali alla scala del dettaglio (un particolare arbusto, una dolina, ecc...) indicandone un codice inciso su una base di pietra (o levocell composto di pietra carsica). Tali punti-informazione determinano differenti ‘reazioni’ dei percorsi dove sono collocati che possono piegarsi per diventare una panchina, scendere a una quota inferiore per avvicinarsi al paesaggio, costruire delle occlusioni o degli schermi che indirizzeranno la percezione verso altri punti. La spiegazione del particolare significato di quel punto può avvenire attraverso il codice che fa riferimento a uno dei layer oppure, più nel dettaglio, attraverso una connessione web (tramite iphone o altri strumenti di cui potrà dotarsi il museo principale e che potranno far parte dell’’attrezzatura del viaggiatore’).
Questo sistema, sempre più stratificato e complesso dovrà essere capace di dare vita a una vera e propria possibile ‘esperienza’ all’interno del territorio. In questo ambito si collocano i punti-sosta.
Si tratta di una sorta di piattaforme attrezzate con energia elettrica ottenuta da un piccolo pannello fotovoltaico, che si trasformano, all’occorrenza in veri e propri piccoli bivacchi, capaci di offrire sguardi speciali sul paesaggio e ospitalità durante la notte. Essi stessi si comportano come punti-informativi connessi al web e capaci di indirizzare l’attenzione verso elementi importanti della memoria, del paesaggio, della vita del carso.
Sono pensati come ‘palafitte’ che si staccano dal suolo, grazie, a pilastri metallici, che sorreggono una scatola in legno capace di fornire un riparo per la notte aprendo due ulteriori pannelli.
Questi bivacchi che possono ospitare fino a due persone saranno generalmente disposti in piccole unità avvicinate le une alle altre in modo da poter ospitare piccoli gruppi di amici per la notte che il giorno dopo riprendano il cammino.
La rete web è inoltre capace di diventare anche una piattaforma multimediale in grado di offrire informazioni, interfacciarsi con le strutture educative e scolastiche del territorio, organizzare eventi che siano poi ospitati nei luoghi fisici previsti dal progetto.
LA MATERIA DEL PROGETTO
Passando dalla scala di masterplan generale alla scala di dettaglio il progetto si affaccia a indagare quell’altopiano che deve il suo nome alla radice paleuropea Kar (pietra) che lo descrive il modo meravigliosamente sintetico. La materia stessa, la pietra diventa protagonista del progetto. Si disegna e si modella adattandosi alle diverse specificità dei paesaggi che compongono questa terra mantenendo inalterata la sua origine di pietra carsica ma sottoponendosi a possibili lavorazioni che la rendono solida, parzialmente solida o liquida rievocando il suo ruolo e la sua struttura come memoria e struttura di un nuovo paesaggio fortemente ancora al contesto esistente.
La specificità della sostanza materiale di cui il paesaggio del Carso di compone diventa, nel progetto, una sorta di filo rosso che lega i tre ambiti di dettaglio ma al contempo viene declinata in modi differenti per ciascuno degli ambiti previsti dal concorso tal chè sia la pietra stessa messa in atto dal progetto a interrogare e tenere insieme le diverse identità di questa terra (militari, naturali (flora e fauna), agricole o della memoria), nei modi con cui si integra, si contrappone e interroga il paesaggio esistente.