Cappella del cimitero comunale di Mazzarrone
L’ ombra appartiene alla luce…
Per me si va nela città dolente,
per me si va ne l’ etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Ed elli a me: “ Le cose ti fier conte
Quando moi fermerem li nostri passi
Sulla trista riva d’ Acheronte”.
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no ‘l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: “ Guai a voi, anime prave ! 1
E’ dalla narrazione Dantesca del passaggio delle anime che il progetto desume i principi simbolici del suo divenire. Quasi un percorso maieutico di avvicinamento, in cui l’ anima è accompagnata verso l’ ultimo attraversamento, l’ ultimo passaggio tra le rive dell’ Acheronte. Luce ed ombra si commistionano e l’ acqua divide ciò che l’ immaginifico umano assimila alla casa per un tempo che il recente pensiero astratto considera eterno, ed il sacro. L’ acqua, questo il primo elemento che il progetto lascia trasparire. Acqua che genera una separazione dalla quale si può intravedere ed immaginare la riva opposta. E come la nave di Caronte, è un percorso rasente all’ acqua che consente di giungere fino alla porta della cappella. Una grande lastra di acciaio corten che solo al suo interno lascia trasparire il vero. Ciò che appariva come fronte monumentale lapideo in verità funge, non solo da grande quinta scenica della prospettiva lungo il percorso di avvicinamento alla cappella, ma anche da quinta scenica dell’ altare, che come in una pieve romanica, prende luce da lacerazioni della massa muraria. Così come fece già il maestro comasco Giuseppe Terragni, ci si riallaccia alla narrazione dantesca per declinare nel mondo terreno l’ immaginifico dell’ ultraterreno. Non è soltanto per la carica emotiva e per la grande devozione cristiana che si è scelto il poeta toscano, ma per ciò che egli descrive lungo il suo cammino. Dante parla di un regno ultraterreno in cui , con grande intelligentia , riesce a far convivere genti di culture ed epoche differenti. Una ricaduta sociale ed artistico-architettonica di cui il nostro mezzogiorno, e la Sicilia in particolar modo, è sempre stata un mirabile esempio. Stratificazione artistica ed architettonica trovano infatti nei grandi esempi delle cattedrali di Palermo, Siracusa, Catania e Noto, uno dei più alti esempi, in cui mondo greco, romano , proto romanico e barocco si commistionano e si compensano a formare un unicum inimitabile. Certo, oggi la contemporaneità non può più permettersi di riproporre riletture storicistiche di epoche passate, ma può forse attingere dal significato che hanno voluto esprimere. Filosofia greca, ingegno romano, riflessione tardo romanica, enfatizzazione barocca hanno così dato vita alla genesi del progetto. I suggestivi ricordi degli scavi di Selinunte e Segesta, Agrigento, con il fascino romantico della rovina, ha dato adito all’ inserimento del progetto nell’ impianto, concepito come un tempio greco, collocato su un leggero altopiano della valle di Mazzarrone. Frammenti di una rovina archeologica che cingono la cella del tempio, generando un pronao ed un epistodomos, con uno stilobate ormai corroso dal tempo. Un impianto fondato sulla concezione greca di analogia, cioè una possibile commisurazione, una proporzione dello spazio secondo un modulo generato dall’ insieme del preesistente campo santo e dalle singole parti della costruzione. Una misura dunque reiterata, che trova palese enunciazione nella cappella. 8,295 metri, misura ritmica della scansione del cimitero, si erge a elemento assoluto reiterato e modulato. Dalla volontà di enunciare questo principio, la ricaduta spaziale ha avuto dunque una influenza dell’ ingegno romano, che porta alla realizzazione di un impianto basilicale ad aula, in cui lo spazio unitario e l’ impianto prospettico, conducono direttamente verso l’ altare, esprimendo la presenza del divino. Di derivazione romana sono le quattro vasche d’ acqua, che oltre al grande risvolto simbolico, fungono da perni refrigeranti dell’ impianto nei mesi più aridi; l’ ingresso al cimitero è concepito come un piccolo orto coltivato a piante a tipica macchia mediterranea, dalle gradevoli essenze: rosmarino, timo, sambuco, felce, con l’ ulivo selvatico che accompagna il cammino verso la cappella. La struttura e la concezione costruttiva dell’ impianto si riallacciano ad un simbolismo proto romanico, in cui l’ elemento murario è inteso come massa e non come superficie compatta. Muro che genera il recinto di una basilica quasi a richiamare un quadriportico di preparazione spirituale alle soglie del portale, oltre a dare adito ad uno spazio più contenuto, quale ritrovo per celebrazioni liturgiche all’ aperto. La conquista della verticalità e l’ azzardo ingegneristico lapideo, temi cari al periodo barocco, sono quelli che declinano il motivo principale della cappella, in cui grandi setti indipendenti denunciano una tripartizione. Una monumentalità che riprende i colori ed il gusto della pietra calcarea siciliana. Una monumentalità lapidea disassata, quasi a rievocare il grande masso della grotta in cui fu sepolto il Cristo Gesù. Disassamento che genera le uniche aperture dello spazio interno, filtrando una luce sempre indiretta, a creare giochi d’ ombra.