Riqualificazione architettonica e artistica di piazza Giuseppe Verdi a La Spezia
Concorso di progettazione per la riqualificazione architettonica e artistica
Il complesso rapporto tra natura e sfondo ha costantemente caratterizzato il dialogo tra paesaggio e architettura, tra flussi urbani e città, tra piazza ed edificio. Se da un lato lo spazio collettivo urbano si offre come misura per amplificare, mostrandola, l'architettura circostante, dall'altro ad esso spetta sovente il primato della memoria. Ciò che ricordiamo, ciò che rappresentiamo nelle fotografie delle città viste e visitate è la piazza, il luogo aperto nella densità edificata.
Gli spazi pubblici tradizionali, piazze, parchi, viali, appaiono sempre più spesso come gli elementi deboli della scena urbana, ingombri di oggetti incoerenti, servitù e accessori, che – saturandoli di funzioni - li svuotano di senso, li privano del rilievo e dell'interesse collettivo per i quali furono pensati.
Nel declino del teorema aperto/pubblico, chiuso/privato tipico della città ottocentesca, si sono individuati troppo spesso i grandi spazi urbani a “volume zero” come dei luoghi in grado di sopportare infinite addizioni volumetriche minime, collocate spesso senza un programma, con il risultato di stravolgere completamente il valore sociale delle spazialità originarie. Ciò maggiormente dove le architetture presenti non hanno un valore autoreferenziale, ma si compongono con il vuoto secondo un rapporto sottile, raccontato senza enfasi.
Nel ripensamento di uno spazio urbano pubblico, quindi, l'obiettivo attuale non può essere sommare ai luoghi altre forme, magari con l'intento di produrre una serie di manufatti di servizio pregevoli e di rappresentanza, ma indifferenti degli elementi iniziali. Quegli elementi che hanno costituito la specifica natura del luogo, fotografata nelle immagini d'epoca nella sua nitida spettacolare semplicità.
Paradossalmente, con l'accrescersi di una sensibilità diffusa che individua nel luogo pubblico un potenziale teatro di insicurezza sociale, le prospettive che garantivano l'ampio contatto visivo sono continuamente negate dall'addizione di elementi e volumi, in modo che il vuoto della piazza si trasformi in un banale contenitore di oggetti incoerenti, spesso mobili o pseudo-mobili, pertanto privi di una esatta posizione. Ci siamo abituati a collocare sotto l'incerta definizione di arredo urbano l'eclettico repertorio offerto dal mercato di contenitori, supporti, alloggiamenti, dissuasori, vani tecnici, impianti e molto altro ancora, ovvero di oggetti accomunati solo dalla rassegnata indifferenza con la quale vengono messi in opera e accettati, a volte nel nome di un adeguamento funzionale che li salva da ogni giudizio, altre grazie semplicemente all'inerzia dovuta alla mancanza di risorse o di attenzioni destinate.
Abbiamo scelto di cogliere l'occasione fornita dal progetto, la presenza del lavoro di un artista da affiancare al nostro, intendendo, così, attribuire un valore all'intero processo che fosse superiore al semplice conferimento di uno spazio – una porzione del progetto – dedicato all'opera d'arte, quasi che la superficie pubblica sia eternamente intesa come uno spazio in attesa, in attesa di essere riempito da qualcosa. Il nostro lavoro ha preso le mosse proprio dalla spazialità interna alle opere dell'artista, procedendo in una ricerca comune verso il prodotto finale. A simbolo del processo condiviso (tra architetto e artista), la scelta della rappresentazione, guidata dall'artista verso i propri codici espressivi.
La nuova piazza è fortemente caratterizzata dalla pavimentazione a scacchi, realizzata in materiali locali come marmo e ardesia secondo una trama di metri 1x1, che la rende un sistema unitario e un luogo memorabile, con una identità forte.
Al centro della lunga piazza, a preservare la spina di pini marittimi esistente, viene disposta una sequenza di isole in cemento, dove trovano collocazione aiuole, fermata dell'autobus ed edicola, queste ultime integrate in un unico, semplice elemento architettonico.
Questa parte in cemento si differenzia dalla scacchiera in cui è collocata, oltre che per il materiale, anche per la sua logica accidentale di forme variabili, sensibili agli oggetti con cui entrano in relazione, contrapposta alla logica regolare, cartesiana e indifferente della maglia quadrata bianca e nera.
La spina in cemento divide la piazza in due parti, di cui quella a mare viene destinata in un primo tempo al passaggio dei mezzi pubblici, e resta quindi più libera, animata solo dalle due pensiline delle fermate dell'autobus, mentre la parte a monte ospita uno sciame di sedute in marmo, emergenti dalla pavimentazione in perfetta coerenza di geometria e materiale, come estrusioni della scacchiera stessa.
Queste sedute si raggruppano con maggiore densità laddove la piazza propone con più forza il suo carattere di spazio sociale, di fronte al Palazzo delle Poste e al Palazzo degli Studi, all'ombra delle chiome dei pini.
Tra le emergenze di marmo utilizzabili come sedute se ne trovano altre, più alte, sulle quali vengono incise e dipinte di nero le rappresentazioni eseguite dall'artista dei personaggi del Risorgimento, tra cui lo stesso Giuseppe Verdi al quale la piazza è intitolata.