Forma: defensor urbis - Il bacino marciano e la stazione della sub lagunare
Workshop Di Progettazione Architettonica A-A 2008 - Universita’ Iuav Di Venezia
Il binomio conservazione-innovazione è sempre stato per Venezia un tema cruciale per la forma, per la sua stessa essenza. Sacre origini ed innovazione tecnica, tempo escatologico e tempo mondano, formano da sempre, per la città della Vergine, il nodo principale della dialettica politica, religiosa, civile, architettonica, urbana. Ma da quando la Serenissima decide, fin dall’inizio del XVII sec. di rinunciare alla “modernizzazione”, decide anche l’inizio del proprio inesorabile declino. Venezia vede nell’avanzare inesorabile della “modernità” la sicura minaccia alle proprie origini. Non è forse questa orgogliosa volontà di rinuncia l’unica chance per sopravvivere?
A distanza di quattro secoli, diversamente, la nostra cultura contemporanea ne proclama paradossalmente la modernità ignorandone l’agonia. Ma di quale modernità si tratta, allora?
Il termine contiene allora un’ambiguità di fondo. La modernità sacrale incarna una natura teologico-metafisica; la modernità nichilista, una natura tecnico-materialista. Due modalità di pensiero contraddittorie, diverse per presupposti ed obbiettivi, che si riflettono pesantemente sull’idea di forma. La forma di Venezia, svuotata della sua unità sacrale, si trasforma in effige del proprio culto o simulacro del proprio corpo.
Venezia, città stoica, non rifiuta allora della modernità la sua attualità ma la sua inattualità. Non accetta una modernità parziale e provvisoria, ma aspira alla sua modernità: quella escatologica, contenuta nelle sue sacre origini.
Il conflitto conservazione-innovazione riemerge dunque nello scontro tra i due grandi paradigmi del pensiero occidentale: epistemico-teologico; tecnico-scientifico. All’interno di questo unico orizzonte si colloca il progetto della sub-lagunare: il nuovo sistema territoriale di accessibilità alla città lagunare. In particolare dell’ipotesi per una stazione di uscita prevista nell’ambito del bacino marciano.
Il progetto avrà dunque di fronte due grandi scenari per analogia di temi e di scala.
Sullo sfondo, la dialettica rinascimentale sulla “santità” delle origini. Il dibattito natura-artificio, attorno alla triade laguna-città-terraferma, tra Alvise Cornaro e Cristoforo Sabbadino. Il conflitto politico-ideologico-architettonico tra continuità-discontinuità per le nuove Procuratie (Sansovino–Scamozzi). La battaglia teologica tra il doge Leonardo Donà ed il papato romano.
In primo piano, invece, lo scontro tra nichilismo e metafisica; tra la parte e l’intero dell’imago urbis; tra temporalità della tecnica e intemporalità della prudentia. Ovvero: tra dimensione pratico-materiale e dimensione mitico-sacrale.
In questo senso qualsiasi “forma” non può rimanere indifferente rispetto alle potenze storiche ed alle forze della necessità, diventandone il punto di coagulo visibile.
Tre questioni principali sono dunque a fondamento del progetto: natura storica, natura fisica, natura teologica.
La natura storica riparte dalla proposta del ‘500 di Alvise Cornaro: inserire nel bacino di fronte a S. Marco un teatro, un’isola artificiale, una fontana di acqua dolce, per una nuova teatralità urbana e civile. La natura fisica riprende l’orografia delle velme e delle barene lagunari, ovvero il paesaggio sommerso ma generante. La natura teologica si rivolge alla grande tela del Tintoretto, il Paradiso, posta sopra lo scranno del Doge nella sala del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, immagine archetipa e suggeritrice di Venezia.
La “forma” della futura stazione assorbe, quindi, per riflesso e per inversione l’eco di queste immagini. Affonda sopra una velma, specchia piazza S. Marco, bilanciandosi con la Punta della Dogana. Un recinto-isola capace di contenere oltre 20.000 persone. Un grande invaso per attività e funzioni, invisibile all’orizzonte, con il piano della stazione a meno ventiquattro metri, la quota di arrivo dei treni. Una sorpresa per il viaggiatore che si trova direttamente immerso in un bacino di luce, in un “atopico doppio”: l’analogo rovescio di piazza S. Marco. Il luogo dell’attesa si trasforma in luogo della “vigilia”: prepara lo sguardo alla visione prima di ascendere al “paradiso” di Venezia.
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Prof. Arch. Renato Rizzi
Assistenti Arch. Rossetto Andrea, Arch. Ernst Struwig
Relatori:
Prof. Ing. Armando Mammino;
Prof. Arch. Mauro Marzo
Assessore alla mobilita del comune di Venezia Enrico Mingardi