LA CASA DELLE ROSE
di Antida Gazzola©
Il percorso per arrivare a destinazione è stato diffìcile, e questo avrebbe dovuto mettermi in guardia: dapprima una creuza ben tenuta ma abbastanza ripida da farmi ansimare, poi un percorso ad ostacoli oltre un cancello difficile da disserrare e ancora giù per una stradina in mezzo a un verde non troppo rigoglioso, infine tre piani di scale da fare a piedi. Quando la porta si è aperta sono entrata in una scena che deve aver galleggiato da qualche parte nei miei sogni.
Tutto è bianco, le pareti, i soffitti, i pavimenti con sporadiche eccezioni: un pannello, rosa-Schiapparelli sul lato dell'ingresso e bianco dall'altro, raccoglie lo spazio del grande soggiorno con tre finestre affacciate sul gigantesco edificio rosa intenso del liceo Deledda, tagliato dalle chiome degli alberi che lo circondano.
Quei due rosa diversi ma intonati si corrispondono in un morbido accordo che fa vibrare il candore dell'interno. Sul soffitto tralci di fiori affrescati all'inizio del secolo sono stati separati dal loro antico contesto pittorico e immersi nello stesso bianco puro delle pareti. Della grazia antica del dipinto è stata conservata solo l'anima, liberata dal peso dello sfondo e delle decorazioni di maniera che l'avevano accompagnato. Qualche verso perfetto separato da un sonetto noioso. Non è la stessa cosa che facciamo talvolta con i nostri ricordi?
Tutto l'appartamento è una narrazione poetica, con finte, trabocchetti per lo sguardo, pannelli che, come certe parole, suggeriscono un'idea smentita da quella seguente o chiarita dalla frase successiva. Lo sguardo è condotto lungo percorsi inediti: la definizione degli spazi, con morbida violenza, costringe a soffermarsi su visuali o particolari che sarebbero altrimenti sfuggiti. Chissà se qualcuno ci vedrebbe un colto riferimento a Scarpa... Io ho pensato a Shakespeare, al "Sogno di una notte di mezza estate", alla sua ingenuità costruita su una riflessione profonda, alla sua profondità giocosa.
Sul percorso che conduce a quella che è destinata ad essere una camera da letto c'è un altro tocco di colore - un giallo quasi ocra - su una delle facce di un pannello di separazione tra spazio pubblico e spazio privato: un punto esclamativo colorato che indica la parte più intima della casa. Sul soffitto della stanza due tralci di roselline asimmetriche sono legate da un nastro che evolve intorno a due quinte rigide, evocando così nitidamente i tendaggi di un'alcova da farle sembrare morbide sentinelle di sonni futuri. La finestra, la luce, la vita che si aggroviglia fuori sono dolcemente schermate, anche se non precluse, da quelle difese.
Per molti motivi quell'appartamento non fa per me. Ne ero andata a vederlo con l'intenzione di acquistarlo, ma solo come opera d'arte. Subito dopo sono andata al vernissage della mostra dei lavori di Vico Magistretti organizzata negli appartamenti del Doge a Palazzo ducale: una sovrabbondanza di magnificenza seicentesca e di ottimo design italiano. Ho girato per le sale mentre dentro continuava a dilagarmi il bianco appena segnato di colore e di fiori dicendomi che in un luogo così forse potrei vivere/ potrei forse anche scrivere.
Ho stretto mani, ho conversato casualmente con la fretta di trovarmi da sola e di poter covare l'emozione di quel bianco, di tutti quei fiori.../ quei fiori così forti negli occhi/..., di quegli spazi fatti per avvolgere la soddisfazione come il tulle di una sposa.