Fabrizio de Andrè, la mostra
Genova, Palazzo Ducale, Sottoporticato / dicembre 2008 - giugno 2009
Intervista di Luca Orlandi a Valter Scelsi, su Irmibir (XXI), n°79, Istanbul, giugno 2009.
QUANDO NASCE L'IDEA DELLA MOSTRA? COME SIETE STATI CONTATTATI?
Era prevedibile un interesse da parte della città di Genova verso un atto che fosse insieme esplorazione e memoria della notevole traccia segnata da Fabrizio de André nella cultura nazionale, ed era prevedibile che questo accadesse a dieci anni dalla sua scomparsa. Abbiamo ricevuto la richiesta di interessarci alla progettazione dell'evento verso la fine del 2007 dalla direzione di Palazzo Ducale e dalla Fondazione De André, e i primi contatti operativi sono stati con uno dei curatori, Pepi Morgia.
CHI SONO STATI I PROMOTORI? E I CURATORI?
La mostra nasce per iniziativa della Fondazione Fabrizio de André Onlus e della Fondazione per la Cultura di Genova Palazzo Ducale. I curatori sono Vittorio Bo, Guido Harari, Vincenzo Mollica, Pepi Morgia, in collaborazione con il Centro Interdipartimentale di Studio Fabrizio De André dell'Università di Siena.
COME SI ALLESTISCE UNA MOSTRA SU DI UN MUSICISTA?
La mostra Fabrizio de André, in corso al Palazzo Ducale di Genova, con centomila visitatori in quattro mesi, si è rivelata un prodotto di successo. Per inquadrare i termini di quanto ci interessa aggiungere intorno all'evento, dobbiamo indagare in che modo il fatto di porsi come prodotto (culturale) di successo abbia conseguenze sul lavoro di progetto.
Se si vuole garantire il risultato in termini di consenso e di riscontro nel sentimento popolare, infatti, conviene evitare di correre il rischio di offrirsi, o anche solo di venire intesi, come avanguardia. Proporre la propria merce come arte (magari video-arte, come nel caso, credo, di Studio Azzurro) significa autorizzarne l'istantaneo e pieno consumo e, in qualche misura, garantire il fruitore finale sull'assenza di ricerche complesse e sperimentali, che tale consumo renderebbero difficile e poco invitante.
Nel caso specifico, il tema e la collocazione geografica di questa mostra crediamo non consigliassero di ricondursi al pur disponibile repertorio di esempi analoghi (dove l'effetto "Graceland", paradiso di memorabilia per feticisti di cantante famoso, era il rischio più prossimo), né, tanto meno, di rendere l'evento un pulpito dal quale proporre una lettura univoca della poetica e del notevole calibro culturale del personaggio, aggiungendo una ulteriore voce a uno scenario critico variegato e ancora in corso di definizione. Il ricorso al registro dell'arte come elemento narrativo, pertanto, ha sottratto l'intera iniziativa dal rischio di ogni possibile richiamo alla scientificità e al metodo. O meglio, ha fornito, ove questi richiami si fossero verificati, lo strumento per spostare il piano dell'analisi. E' proprio questa capacità elusiva, in grado di sollevare il lavoro dalle considerazioni critiche delle singole discipline delle quali si compone - o sembra comporsi - a costituire il principale motivo di identificazione del prodotto offerto da Studio Azzurro e contenuto nell'allestimento. Non è compiutamente cinema, ma neppure solo video-installazione; non è tecnologia di avanguardia, come non è teatro, né fotografia. Ovvero è parti di tutto questo. Si tratta, in sostanza, di un prodotto di mediazione. Di un tipo di mediazione, però, che, quando riesce a ottenere una risposta sociale, si propone come arte. Il processo interno a tale produzione artistica risulta, quindi, estremamente simile a quello della poetica della canzone d'autore del Novecento, dove la risposta sociale, se da un lato è evidente che avviene sempre all'interno dei codici, dei gusti che incontrano il sentimento popolare, è anche vero che predispone il pubblico all'ascolto, alla perlustrazione di territori sconosciuti, all'apertura verso l'inconscio. E' così che, chi ascolta le canzoni di De André ragiona sull'amore, la morte, il potere, la guerra, Su quelli che, a torto o a ragione, sono definiti i temi universali. E li sente propri, li elabora in maniera incontrollata, poetica appunto.
IL PROGETTO SI E' ADATTATO AL LUOGO O E' NATO INDIPENDENTEMENTE?
Dire che il progetto si è adattato al luogo non vale più che affermare che il luogo, per azione del progetto, si è adattato al contenuto. Io credo che la soluzione spaziale adottata negli ambienti del Sottoporticato di Palazzo Ducale sia, in sostanza, irripetibile altrove. Non è una valutazione qualitativa, ovviamente, ma solo quantitativa.
Certo la scelta della collocazione è avvenuta in una fase poco avanzata e ha, quindi, condizionato ogni azione seguente. Alla base dell'analisi che ci interessa ci sono le ragioni del progetto architettonico, opportunamente da collocarsi al centro del giudizio sull'opera allestitiva. Per questo, mi sembra necessario riferirsi all'intero processo di sviluppo del progetto, che ha preso le mosse proprio dall'individuazione e conformazione degli spazi dedicati (tramite la liberazione dei luoghi dalle strutture sedimentate in quasi vent'anni di eventi espositivi, non ultimo quello opera di Gae Aulenti per la mostra Arti e Architettura), e che è stato svolto da Sp10studio in coerenza con la messa a punto dell'immagine di identità grafica generale.
COME E' NATA LA COLLABORAZIONE CON STUDIO AZZURRO? QUALI SONO STATE LE SCELTE PROGETTUALI?
Il nostro modo di intendere l'allestimento non ha mai saputo fare a meno di autori che lavorassero con le immagini e con i suoni.
L'occasione di lavorare con Studio Azzurro ci è stata data dalla necessità, emersa durante i lavori preliminari, di una narrazione multimediale che sostanziasse la mostra stessa. Vincitori, con il loro progetto, di una gara indetta dai soggetti organizzatori, hanno lavorato al progetto a partire dalla primavera del 2008.
COME SI E' SVILUPPATA LA SOLUZIONE DELLE STANZE?
L'esperienza intrapresa da Sp10 proprio nel periodo di inizio del presente secolo nell'ambito della produzione in forma espositiva di lavori collettivi svolti con autori della letteratura italiana contemporanea. Mi riferisco all'opera di messa a punto del laboratorio di contemporaneità Magazzino Sanguineti (in Abitare, n°448, pp 122-125) svolta con Edoardo Sanguineti; o alla perlustrazione e documentazione fotografica e letteraria del territorio ligure con Maurizio Maggiani; fino ai lavori svolti in occasione della trasformazione delle storiche aree siderurgiche del ponente, luogo delle opere filmate prodotte da Liberovici, Sanguineti, Carmi.
In una dimensione più ampia, cioè, la relazione tra poetica di De André e gli spazi fisici dell'antica sede del potere politico della repubblica genovese si colloca in un percorso svolto attraverso un lavoro di allestimento che investe il primo decennio del secolo, ma che trae materia dal Novecento, in un sistema relazionale che è al centro del nostro interesse. Il ruolo di servizio del progetto di allestimento, poi, viene svolto tramite il ricorso a soluzioni spaziali piuttosto che a soluzioni plastiche, come nella tradizione italiana e nell'insegnamento esplicito di Franco Albini. La sostanza, la responsabilità di quanto si fa ricordare (nel bene o nel male, s'intende) viene lasciata al lavoro di immagini e suoni prodotto da Studio Azzurro, che comanda anche la disposizione spaziale del racconto e la sequenza delle stanze.
COME SIETE ARRIVATI ALLO STUDIO DELLA GRAFICA DELLA MOSTRA?
L'incarico progettuale si univa, fino da subito, a quello per l'individuazione di un'immagine di identità grafica. La scelta di una foto in bianco e nero scattata dalla moglie Dori Ghezzi con una camera "medio formato", come unica immagine della grafica, crediamo abbia contribuito a rinforzare il messaggio comunicativo. Il font messo a punto per il titolo è un'elaborazione del carattere usato nelle copertine di due dischi degli anni settanta (La buona novella e Storia di un impiegato).